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Beccaria due anni prima aveva espresso in Dei delitti e delle pene: bisogna rimuovere
e prevenire le cause dei delitti piuttosto che punirle, in quanto esse sono dovute so-
vente alla carenza materiale e al necessario sostentamento dell’individuo: anche qui il
linguaggio aulico è spesso ostacolo alla reale scorrevolezza linguistica.
Il Giorno
L’edizione critica novecentesca di Dante Isella è quella che ha restituito grande at-
tendibilità alla travagliata storia editoriale del capolavoro di Parini. In un volume in-
fatti sono contenuti i testi del Mattino e del Mezzogiorno, nell’altro invece i testi del
Mattino, del Meriggio, del Vespro (che mutua molti versi dal secondo canto della
precedente edizione) e della Notte. Le continue revisioni dell’opera sono dovute a
molteplici fattori d’ordine ideologico, culturale, storico e stilistico. Il Giorno si pre-
senta come un discorso pedagogico perpetrato da un “precettore d’amabil rito” che
passa in rassegna la giornata oziosa tra svaghi e riti di un giovane aristocratico: il di-
scorso è integrato da continue digressioni su quadri d’ispirazione mitologica. Le pri-
me due parti sono in stile prevalentemente sensistico e realistico, di contro alle ultime
due che assumono toni per lo più neoclassici: ma le ultime correzioni apportate al
Mattino e al Mezzogiorno sembrano volersi adeguare a quest’ultimo stile.
La versione finale del Mattino vede eliminate la dedica e la protasi alla musa, e si
concentra sui temi essenziali del risveglio e del cicisbeismo: al risveglio lavorativo
dei contadini e degli artigiani si contrappone quello tardivo e ozioso del nobile.
L’ironia è onnipresente nel paragonare la vita dell’aristocratico a quella di un eroe,
esaltandone le virtù oziose come fossero imprese appunto altissime: il tutto nella cri-
tica continua ai riti e alle mode della società dominante, non solo agli aspetti superfi-
ciali ma all’aristocrazia nel suo complesso. Forse un limite del canto è l’eccessivo
soffermarsi su tutti i minuziosi momenti della giornata: in ogni caso si avverte
un’eleganza descrittiva e figurativa (ad esempio nella toilette) che tradisce il fascino
di Parini verso i modi preziosi della società nobiliare. In ogni caso tale stile neoclas-
sico investe comicamente tutti questi momenti quotidiani del giovin signore. Il Me-
riggio è concentrato sul pranzo dei nobili ed è costellato da continue interruzioni su
episodi che per Parini diventano occasione di polemica. Subito è ripreso il tema del
cicisbeismo in chiave ironica, come nei versi riguardanti la gelosia. Inoltre è centrale
la favola del Piacere, dove il poeta esprime una piena accettazione dell’egualitarismo
naturale (fisiocratico) di stampo rousseauiano e mette in ridicolo la divisione sociale
procurata dall’esistenza della classe nobiliare: eppure anche qui il linguaggio è denso
di edonismo sensistico. Queste tematiche illuministiche però ci permettono di capire
e la vicinanza e la distanza pariniana dai moduli settecenteschi: sul commercio infatti
– visto come attività dinamica dal ceto intellettuale lombardo – Parini si esprime in
modo critico, soprattutto nella sua accezione di moda. Stessa sorte è destinata alle
scienze, allorché diventano un semplice argomento di conversazione da salotto. E
memorabile risultano poi i versi destinati all’episodio della vergine cuccia.
Il Vespro si discosta dalla figura del giovin signore per allargarsi al suo ambiente so-
ciale di riferimento: una serie di immagini plebee e realistiche costellano l’apertura di
questo canto, continuato poi con descrizioni aristocratiche che invece assumono uno
stile classicistico e galante. Proprio per questo Parini assume anche un tono più aulico
e una sintassi latineggiante. Sempre dotato di un credo fisiocratico, il poeta comun-
que non cela un senso di apprezzamento silente per i modi e le forme galanti. La Not-
te – che come il Vespro rimase inedita – è affidata a sette manoscritti di cui uno solo
è quello adottato da Dante Isella: gli altri contengono frammenti tra cui una “Discesa
agli inferi” comunque incompiuti. Questo canto è comunque molto più organico e co-
eso, e si apre con una descrizione della notte medievale degli avi del giovin signore,
che pur avendo una precisione descrittiva sensistica, risente di un certo gusto notturno
preromantico giunto in Italia con le traduzioni ossianiche di Cesarotti. I meriti
dell’antica nobiltà sono contrapposti all’ozio della presente, mentre vengono esaltate
le virtù dei lavoratori e dei sudditi, col comunque sempre presente fascino
dell’eleganza. La veglia aristocratica è piena di divagazioni – tra cui quella sulla na-
scita del canapè – e si conclude con una rassegna di varie figure nobiliari ognuna con-
traddistinta da una mania o da un vezzo: qui l’ironia è più pungente e scova nelle fi-
gure anche i segni della caducità.
Gli anni di Brera
Dal 1769 al ’77 Parini scrive varie opere minori in versi e d’occasione, ad eccezione
del testo sulle Cagioni del decadimento delle belle lettere in Italia che si insinua nel
discorso a quei tempi pungente sull’insegnamento scolastico. La riforma portata a-
vanti contrastava l’eccessiva mondanizzazione ecclesiastica e premeva per una laiciz-
zazione dell’insegnamento: le scuole in cui il Parini insegnava vennero infatti sposta-
te da Milano al palazzo di Brera. Per il poeta il decadimento della letteratura italiana
fu dovuto a diverse cause risalenti al dominio spagnolo, alla riforma luterana e
all’Inquisizione successiva al concilio tridentino: occasione di rinascita nel suo tempo
è dovuta alle innovazioni delle riforme asburgiche che possono influire sulle cause
esteriori dell’arte (la cultura, i mezzi), ma non sull’ingegno che è dovuto alla libera
attività dell’artista (sempre difesa da Parini). Proprio gli anni di insegnamento a Brera
luogo anche di studi artistico-figurativi stimolarono il poeta a una riflessione sul rap-
porto tra letteratura e le altre arti: al sensimo oraziano e classicista-illuministico, si
associano ora suggestioni anche neoclassiche. In Dei principi fondamentali delle bel-
le arti applicati alle belle lettere Parini parte dalla constatazione che il nesso comun-
que dell’arte è la ricerca del bello non astratto, ma legato all’interesse suscitato
dall’opera. Dunque l’arte si fonda su istanze sensibili che devono dilettare in modo
utile ed educativo il fruitore, tramite l’equilibrio tra le parti, la varietà di esse, l’ordine
e la chiarezza: tutti temi propri di un’opera classicisticamente formata.
Le ultime Odi
Dal 1774 al ’77 Parini scrive quattro odi di occasione senza nessuna riflessione ulte-
riore. La caduta esprime la condizione pariniana in seguito all’esacerbarsi delle ri-
forme di Giuseppe II (tramite cui il poeta rischiava di perdere la cattedra): egli finge
di cadere, ormai vecchio e stanco, e di essere aiutato da un passante che lo riconosce
e ne esalta la fama, esortandolo a terminare Il Giorno e ad affidarsi alla celebrazione
dei potenti adottando il mecenatismo. L’attacco della poesia è dunque icasticamente
realistico, ma finisce per decretare un senso di chiusura e di distacco del poeta dalla
società e dalla polemica giovanile: infatti la situazione di stanchezza degli intellettuali
dell’epoca – come dice Petronio – è quella di personaggi inquadrati negli apparati bu-
rocratici dei regimi e incapaci sia di criticarli che di accettarli passivamente. La tem-
pesta descrive la distruzione di alcune navi spintesi al largo per ambizione e ricorda
la concezione pariniana giusnaturalistica, mentre l’ode Il pericolo evoca la figura di
un’amante veneziana che, incontrata in vecchiaia, espone il poeta al pericolo di un
nuovo innamoramento. Per l’inclita Nice passa da uno stato di atmosfera arcadica, ad
uno di figurazione sensistico-classicistica, infine ad un tema quasi pre-romantico (di
considerazione malinconica dell’amore che sfiorisce in vecchiaia): anche se non si
può pretendere da Parini una poesia dell’interiorità che non gli apparteneva, cioè il
sensismo non può mai diventare sentimentalismo.
Un tratto caratteristico di queste ultime odi è la presenza costante dell’Io del poeta:
l’immagine della sua moralità e dell’ambiente che lo circonda. Questo suo ripiega-
mento in sé stesso distante dalle passioni comuni, rispecchia in qualche modo tutto lo
stato d’animo dell’illuminismo lombardo ormai schierato su posizioni caute e mode-
rate. Se nelle prime odi era più forte l’intonazione polemica, ora si conservano alcuni
temi di fondo anche se descritti in modo più superficiale e debole.
Temi e motivi dell’opera di Parini
Uno dei temi principali dell’opera pariniana è l’utilità civile della poesia unita alle i-
stanze critiche dell’illuminismo lombardo settecentesco. Tali istanze si impuntavano
principalmente alla polemica antiaristocratica: se molti critici hanno visto un affievo-
limento progressivo del tono critico e sarcastico nel corso del Giorno, dobbiamo co-
munque ricordare che negli ultimi canti del poema Parini concentra la sua attenzione
anche su altre figure oltre al giovin signore (per altro ugualmente vuote e marionetti-
stiche). La condanna del mondo nobiliare è dunque nella sua totalità. Alessandro Ver-
ri e buona parte del gruppo gravitante attorno al Caffè lodava il commercio come
forma di crescita nazionale e di produttività attiva, di contro all’ozio delle classi nobi-
liari fatto di mode e salotti: questo testimonia una leggere arretratezza di Parini rispet-
to alle posizioni più illuministiche, così come egli risulta essere più moderato nei
confronti di quelle tendenze filosoficamente troppo radicali e materialistiche. E’ dun-
que una posizione di concretezza riformistica, contro la vuota astrattezza.
Molti critici hanno anche notato la vuotezza propria del protagonista del Giorno, il
giovin signore che non ha personalità né interiorità: questo è vero, ma proprio nella
misura in cui il personaggio pariniano non è un eroe o un protagonista romantico, non
conosce ancora conflitto tra società e individuo. Il Giorno è piuttosto espressione di
una civiltà classicistica che risente dei fermenti dei lumi, e in cui i nobili si muovono
come marionette proprio per meglio schernirli (il giovin signore è un esempio em-
blematico di ciò che non si deve imitare).
Parini nella critica
Nel Settecento, la considerazione che di Parini ebbero il Baretti