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I MALAVOGLIA
INTRODUZIONE: I Malavoglia è il primo romanzo rusticano del suo ciclo di romanzi “Il
Ciclo dei Vinti” pubblicato nel 1881.
Fin dalla prima idea di questo lavoro, Verga vuole realizzare una fantasmagoria,
partendo dal cenciaiolo per poi procedere fino all’uomo politico e infine all’artista.
Nella prefazione definisce le premesse ideologiche che lo portano alla realizzazione
di quest’opera.
L’idea scaturisce dall’adesione al positivismo, di cui Verga accetta il canone
dell'impersonalità e l'analisi e lo studio sincero dei meccanismi della vita sociale.
Nella realizzazione di questo suo studio sociale, è evidente che Verga non accetta
l'ottimismo del positivismo né l'idea di progresso.
Per Verga, il progresso è solo un graduale peggioramento per la vita dell'uomo; la vita
è una continua lotta per il benessere e per la sopravvivenza caratterizzata dalla legge
di Darwin, secondo cui il più forte prevale sul più debole e quest'ultimo è destinato a
soccombere.
Per Verga i vincitori di oggi saranno i vinti di domani, però (a differenza di Leopardi) la
sua idea è statica, ossia i vinti rimangono vinti. In questa concezione non c’è
opportunità di riscatto.
In questo ciclo incompiuto (ne completa 2, inizia il 3 che non completerà su 5) vuole
raffigurare le vittime di questa lotta su 5 gradini della scala sociale.
I Malavoglia rappresentano il primo gradino, ossia il gradino sociale più basso.
Il TEMA: fondamentale è la nascita nel cuore di questa famiglia di pescatori del
desiderio di migliorare la propria posizione. Questa famiglia si rende conto che
potrebbe vivere meglio e nel tentativo di realizzare questo desiderio essa viene
schiacciata e vinta.
Il termine “malavoglia” è un soprannome toscano.
TRAMA: è molto semplice, la storia si svolge nei primi 2 decenni successivi all'unità
d'Italia (tra 1864-1878) ad Aci Trezza, un borgo di pescatori vicino a Catania.
Protagonista è la famiglia Toscano detta Malavoglia, una famiglia patriarcale composta
da:
• nonno Padron 'Ntoni – il capofamiglia
• Bastianazzo - figlio
• Maruzza – moglie di Bastianazzo
• 5 nipoti: giovane 'Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia.
La famiglia si occupa della pesca e possiede la casa del Nespolo (così chiamata perchè
ha accanto un albero di nespolo) e una barca (la Provvidenza).
Quando si rendono conto della loro vita disagiata desiderano cambiare la propria
situazione economica e, tentati dal benessere, si mettono nei guai.
Il vecchi padron 'Ntoni, privato dell'aiuto del giovane 'Ntoni partito per la leva militare,
compra un carico di lupini a credito dall'usuraio zio Crocifisso per rivenderlo e
guadagnarci.
Una tempesta fa naufragare la Provvidenza e nel naufragio si perde il carico e muore
Bastianazzo.
Indebitati con zio Crocifisso e persa la barca, i Malavoglia sono emarginati dalla comunità
paesana che fa circolare malevoli pettegolezzi sul loro conto.
La famiglia è costretta a vendere la casa del Nespolo per saldare il debito e questo è solo
l'inizio di una serie di disavventure.
Il nonno è un grande lavoratore e cerca di tener unita la famiglia, sperando di poter
riprendere la casa perduta.
Il nipote 'Ntoni però non è contento dell'attuale situazione di vita e vuole migliorare la
propria condizione per cui si dedica al contrabbando e finisce in carcere.
Luca parte per il servizio militare ma viene arruolato e muore nella battaglia navale di
Lissa.
Maruzza si ammala di colera e muore.
Lia è compromessa da una presunta relazione con il brigadiere don Michele. Sconvolta,
fugge di casa e “si perde in città” per la vergogna.
Mena – innamorata del carrettiere compare Alfio - a causa delle condizioni economiche e
del disonore per la sorella, rinuncia a coronare il suo sogno d'amore.
A questo punto la famiglia è distrutta: il nonno è vecchio, il figlio, la nuora e Luca sono
morti, 'Ntoni è in carcere, Lia è partita: rimangono solo Mena e Alessi che si danno da
fare per rimettere in sesto la situazione famigliare.
Il nonno nel frattempo si ammala e muore. Dopo la sua morte, Alessi assume la guida di
ciò che rimane della famiglia e riuscirà a riscattare la casa dove vivrà con la moglie, i
figli e Mena, sperando in una stagione più felice per la famiglia.
Nella conclusione 'Ntoni, una volta scarcerato, ritorna di notte per non essere visto ma si
rende conto che non può restare poiché la sua ribellione lo ha tagliato fuori dalla
famiglia e dai compaesani.
ANALISI: Questo romanzo può essere letto come un documento poiché descrive una
realtà sconosciuta al pubblico colto cui l'autore vuole rivolgersi.
Verga descrive gli usi del mondo dei pescatori, inserendo anche i loro proverbi.
Parla di persone che si sentono estranee all'Italia unita, ad esempio Luca, che muore in
una battaglia di cui ignora il fine.
Verga spesso pone l'accento sul senso di estraneità parlando di dazi doganali, quindi vi
sono anche temi che affrontano l'analisi critica delle conseguenze dell'unità.
In quest'opera possiamo cogliere 2 visioni del mondo:
• visione del padron 'Ntoni – un uomo che esalta i valori della famiglia unita,
sostiene i valori di solidarietà e onestà e crede nella sapienza antica. Il vecchio
però è costretto al mutamento e a indurlo alla sciagurata impresa di lupini è
l'obbligo della leva imposto dal nuovo regno, che sottrae 'Ntoni dalla famiglia
privandola di un contributo determinante.
• Questa visione si scontra con quella della nuova generazione composta dagli
altri abitanti di Aci Trezza, che non credono più nel valore delle tradizioni perchè
troppo presi da una smania di progresso. Essi spettegolano, tramano,
sostengono la legge del più forte ed esaltano il tornaconto economico: questi
possono essere gli unici criteri di giudizio.
In questo romanzo il mondo contadino è caratterizzato dall'interesse economico ed
è visto come una società dominata da una lotta spietata per il soddisfacimento dei
propri bisogni materiali.
Secondo Verga non bisogna cercare di migliorare la propria condizione ed egli ci fa
notare che di fronte agli imprevisti del destino bisogna rimanere legati alle radici, ai
valori della famiglia e della tradizione invece di ignorare la propria condizione.
Dal pdv STILISTICO : ancora più radicalmente rispetto alle novelle “Vita dei campi”,
Verga realizza la poetica dell'impersonalità facendo in modo che il mondo
rappresentato sia descritto e giudicato dal suo stesso interno. Secondo Spitzer, Verga
“ha scelto di raccontare gli avvenimenti come si riflettono nei cervelli e nei cuori dei
suoi personaggi”.
Il narratore è dunque mimetico e non adotta più i parametri culturali e morali
dell'autore ma si costituisce come un narratore popolare, che condivide valori e
pregiudizi del mondo rappresentato.
Qui il narratore non si preoccupa di introdurre un personaggio o un luogo o un fatto
come avrebbe invece fatto il narratore classico; è come se questo narratore
appartenesse alla comunità di Aci Trezza e ad essa si rivolgesse, parlando quindi di
cose note a tutti creando così un effetto di spaesamento per il lettore.
I personaggi del romanzo quindi entrano in scena improvvisamente, senza
presentazioni come se il lettore li conoscesse già.
Il narratore dei Malavoglia è dunque frutto di un montaggio di una molteplicità di voci
e punti di vista interni alla comunità – per questo si parla di un narratore corale.
Nel corso della narrazione, si alternano epiteti e giudizi ora favorevoli ora ostili ai
Malavoglia e ad altri personaggi.
In questa comunità tutti giudicano tutti, si scontrano diverse mentalità senza però che
nessuna autorità superiore intervenga e stabilisca di chi sia la ragione.
È il lettore quindi che deve trovare un significato morale all'opera.
Il processo di immedesimazione è reso complesso dal fatto che il narratore usa in
maniera sistematica il discorso indiretto libero. {Rispetto al discorso diretto o indiretto,
il discorso indiretto libero è introdotto senza verbi del dire, es> tutto il vicinato
sparlava di loro, che volevano fare i superbi senza aver pane da mangiare.}. Nella
narrativa ottocentesca il discorso indiretto libero era occasionalmente adottato come
variante del discorso indiretto e solo per esprimere il pdv di singoli personaggi
facilmente identificabili. Nei Malavoglia invece è presente in tutto il romanzo senza
che si possa sempre stabilire a quale personaggio vadano attribuiti giudizi e
espressioni. Talora il narratore riferisce parole attribuibili ad un personaggio specifico,
talora parole attribuibili genericamente al vicinato e spesso non è chiaro se egli adotti
parole e giudizi suoi o riferisca quelli di altri. - Quindi quando per i Malavoglia si parla
di “narratore corale” si allude a questa complessa serie di scelte stilistiche che fanno
di questo romano un unicum pressoché irripetibile.
LINGUA: Verga non riprende alcuna espressione linguistica dell'italiano. Rifiuta sia il
modello comune, cioè manzoniano, sia quello degli scapigliati.
Egli cerca di creare una nuova lingua, una lingua verista.
Sceglie un italiano popolare che risente fortemente dell'influenza dialettale.
Dal pdv sintattico questo italiano è caratterizzato da periodi brevi in cui prevale la
coordinazione e un'insistente ripetizione di parole.
Il discorso assume lo stesso andamento elementare della narrazione orale.
Tutti i riferimenti temporali e spaziali sono legati ai ritmi della natura e si deducono
sulla base delle attività agricole, costellazioni, alternanza delle stagioni.
Questo romanzo è un fallimento in termini di interesse e successo suscitato nel
pubblico perchè si rivolge ad un pubblico colto che non ne apprezza il contenuto in
quanto si parla dei vinti, degli umili.
Il pubblico è inoltre deluso dalle scelte tecniche di Verga e soprattutto dalla tecnica
dell'impersonalità (scelta verista) e dalla lingua usata dall'autore (italiano popolare).
È tutto troppo innovativo rispetto alla tradizione del tempo affinché possa essere
davvero apprezzato, però esso verrà considerato l'unico grande romanzo verista di
Verga.
Nella prefazione ai Malavoglia Verga delinea il suo progetto del “ciclo dei Vinti”,
dichiara alcuni fondamentali principi di poetica e compie una riflessione sul co