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IL GIORNO DELLA CIVETTA (1961)
In quest'opera la tensione tra fiducia nella ragione e constatazione della sua continua sconfitta si fa più dolente. Tuttavia, non
resta altro che credere, seppur disperatamente, nella ragione. È un romanzo sulla mafia, un'analisi chiara ed esauriente,
un'indagine sulle sue cause sociali, storiche, politiche, morali.
Protagonista è un ufficiale dei carabinieri, settentrionale, di stanza in Sicilia, ma soprattutto un uomo che crede nei valori di
una società democratica e moderna, contro l'immobilità d'un mondo di vecchi interessi costituiti. La narrazione si muove su
due piani: quello dell'inchiesta che l'ufficiale conduce su una catena di delitti di mafia e quello delle complicità, più o meno
forti, più o meno segrete, che scattano a fermarla o a vanificarne i risultati.
Subito viene rappresentato uno degli aspetti tipici della realtà meridionale: l'omertà.
Lo scrittore è scettico circa la possibilità di cambiare la situazione: vi è nei siciliani una sfiducia radicata nei confronti della
giustizia.
Il senso di estraneità nei confronti della legalità e dello Stato conosce cause storiche: dominazioni straniere che,
avvicendandosi, hanno scavato un solco fra oppressi e oppressori.
TRAMA: In una cittadina siciliana l'uccisione del piccolo imprenditore Salvatore Colasberna provoca un'inchiesta, condotta
dal capitano dei carabinieri Bellodi giunto da Parma e animato da un alto senso della giustizia. Il capitano si convince subito
che il delitto è una questione di mafia e di appalti e riesce a superare il muro d'omertà della gente e a ricostruire la trama dei
fatti, nonostante l'assassinio di un testimone e di un confidente dei carabinieri. Arriva ai sicari e al mandante, il boss locale
Mariano Arena. Ottiene perfino la confessione di uno degli assassini. A Roma intanto alcuni ambienti politici sono preoccupati
che l'indagine possa svelare complicità di personaggi vicini al governo, e in una conversazione privata si decide di produrre
prove false per scagionare i colpevoli e indirizzare le indagini verso il delitto passionale. In licenza a casa, il capitano Bellodi
apprende dai giornali che la sua ricostruzione dei fatti è stata smontata e che quanti vi sono implicati risultano scagionati.
Testardamente Bellodi decide di tornare in Sicilia per difendere la verità.
IL CAVALIERE E LA MORTE (1988)
TITOLO: è preso da un'incisione del 1514 di Albrecht Dürer: Il cavaliere, la morte e il diavolo. Secondo quanto pensa il
protagonista stesso, il diavolo è divenuto superfluo perché gli uomini sanno praticare il male e procurare la morte a se stessi
e agli altri senza bisogno di tentazioni o mediazioni.
TRAMA: La storia è ambientata in un imprecisato paese dell'Italia settentrionale e narra di un vice commissario di polizia, dai
modi isolati e appartati, che deve indagare sulla morte di un noto avvocato, tale Sandoz. Arriva subito ad individuare il
colpevole, grazie ad indizi anche palesi: è il potente industriale Aurispa, regista ben noto di diverse trame criminose che
coinvolgono l’Italia. Naturalmente il Vice non ha prove concrete, è aiutato solo dalle confidenze con alcuni personaggi.
Non può avere alcun aiuto dal commissario capo, succube del potere e indirizzato ad indagare solo sulla falsa pista di
un'organizzazione terroristica rivoluzionaria chiamata “i figli dell’ottantanove”. Così, stoicamente, combatte in solitudine la sua
battaglia contro la malattia che lo affligge e contro degli avversari più forti di lui che, capendo che potrebbero essere sconfitti,
finiranno per eliminarlo con un colpo di pistola.
COMMENTO: E’ la tradizionale lotta fra il bene e il male, fra la giustizia e l’ingiustizia, fra un uomo che osa anche perche
perché sa che la sua vita sarà in ogni caso breve e che forse è meglio lasciare il mondo sotto i colpi di una pistola, piuttosto
che languire a lungo e soffrendo in un letto d’ospedale.
In una nazione in cui il potere corrosivo si espande come una metastasi, omologando chiunque, il vice commissario, quasi un
nuovo Gesù, si oppone, per quanto possibile e benché sia consapevole che la sua battaglia è persa in partenza; tutto e tutti
gli sono contro, anche quella morte di cui avverte il fiato sul collo, ma lui prosegue imperterrito, facendo leva sulla sua
intelligenza e su una sottile ironia che gli impedisce di essere compassionevole con se stesso.
Ha sempre sotto gli occhi una riproduzione di un’opera di Durer, Il cavaliere, la morte e il diavolo, una metafora della sua
situazione, una certezza che nei tempi è sempre stata una lotta fra il bene e il male, fra quel cavaliere che è lui e quel diavolo
che è Aurispa. Fra loro c’è solo la morte, che alla fine, come per tutti, pareggerà i conti.
LA SCOMPARSA DI MAJORANA (1975)
fondato sull’episodio di cronaca della presunta morte, nel 1938, del fisico Ettore Majorana. Sciascia raccoglie le notizie
frammentarie sul fatto, le dichiarazioni di persone vicine a Majorana e le rielabora in modo personale.
TRAMA: La sera del 25 marzo 1938 Ettore Majorana, allora trentunenne, si imbarca a Napoli sul traghetto diretto a Palermo
lasciando due lettere nelle quali preannuncia la propria "scomparsa". Giunto a Palermo scrive però di distruggere le lettere
che aveva inviato il giorno prima e annuncia di essere di ritorno a Napoli l'indomani. Il suo mancato arrivo a Napoli è noto, e
Sciascia si interroga sulle congetture fatte in proposito formulandone anche di proprie. In particolare avanza l'ipotesi che
Majorana possa essersi ritirato presso un convento ricusando il suo ruolo di scienziato in seguito a una intuizione circa il
possibile sviluppo della bomba atomica e le conseguenze potenzialmente disastrose che ne sarebbero scaturite.
L'AFFAIRE MORO (1979)
Scritto a caldo nel 1978, questo libro non ha che guadagnato con gli anni. Mentre, in una nobile gara di codardia, i politici
italiani, nonché i giornalisti, si affannavano a dichiarare che le lettere di Moro dalla prigionia erano opera di un pazzo o
comunque prive di valore perché risultanti da una costrizione, Sciascia si azzardò a 'leggerle', con l'acume e lo scrupolo che
sempre aveva verso qualsiasi documento. Riuscì in tal modo, sulla base di quelle lettere, a ricostruire una intelaiatura di
pensieri, di correlazioni, di fatti che sono, fino ad oggi, ciò che più ci ha permesso di capire, o di avvicinarci a capire, un
episodio orribile della nostra storia.
TODO MODO (1974)
Il romanzo è fondamentalmente un giallo ma è ricco di riferimenti alla politica italiana e al movimentato periodo degli anni
settanta.
TITOLO: è una citazione da una preghiera del fondatore dell'ordine dei Gesuiti, rappresenta un modello di cultura elitaria
proprio come quello che rappresenta Don Gaetano nel romanzo e come quella che Sciascia prende a modello, a partire da 13
Stendhal. Il titolo del romanzo sta a significare che per salvarsi, per salvare la chiesa, qualunque cosa è permessa, anche
uccidere, anche il cannibalismo.
TRAMA: ha come protagonista un conosciuto pittore, di cui non viene mai fatto il nome, che ha bisogno di un periodo di pace
in solitudine. Alla vista di un cartello che indica un eremo, il pittore pensa di recarvisi. Scopre poi che l'eremo è stato
trasformato in un tetro hotel. Tuttavia entrando nella hall dell'albergo trova un prete: discorrendo con questi scopre che l'hotel
è stato fondato da un certo Don Gaetano e che in certi periodi dell'anno è utilizzato da quest'ultimo per ospitare dei ritiri
spirituali di persone di alta estrazione sociale (ministri, politici, direttori di banche...).
A seguito del colloquio con Don Gaetano, un enigmatico ed inquietante personaggio dall'estesissima cultura, gli viene
concesso di rimanere ad assistere al ritiro spirituale. Riunitisi nell'albergo politici, ministri, vescovi, avvocati, dirigenti, inizia il
ritiro: durante la preghiera della prima sera, che i partecipanti recitano mentre camminano schierati in un ordinato quadrato,
avviene il primo delitto: muore l'onorevole Michelozzi, ucciso da un colpo di pistola.
Giunta immediatamente la polizia, guidata dal procuratore Scalambri, ex-compagno di scuola del protagonista, inizia la
difficile indagine, strettamente seguita dal pittore, che è rallentata dalla delicatezza della situazione e dall'omertà di molti.
Tuttavia l'avvocato Voltrano dichiara qualche indizio utile alla polizia: il giorno successivo viene trovato ucciso.
L'indagine non riesce a proseguire facilmente, tanto che si giunge infine ad un terzo ed ultimo omicidio: Don Gaetano viene
trovato accasciato nella boscaglia nei pressi dell'albergo. Quest'ultimo omicidio è poco probabile che sia stato compiuto da
uno degli indagati, mentre potrebbe essere stato compiuto da chiunque altro, incluso lo stesso pittore: questa possibilità
viene tuttavia esclusa con leggerezza x la mancanza di un movente.
COMMENTO: Dal punto di vista strutturale, è da notare la progressiva decostruzione dei meccanismi tipici del giallo operata
nel testo: ci sono degli omicidi ma manca il movente, c’è un colpevole reo confesso ma rimane impunito, c’è la
comprensione, da parte del protagonista, di come si sono svolti i fatti ma non viene esplicitata con la rivelazione al lettore,
che rimane all’oscuro di tutto e deve far affidamento sul suo intuito per “risolvere il caso”. A complicare la faccenda
contribuisce la particolare tecnica di narrazione, in prima persona perché proviene dal protagonista, il quale si rivela un
“narratore reticente” dato che sorvola alcuni lassi temporali nascondendoci informazioni risolutive.
Dal punto di vista ideologico, invece, il romanzo costituisce uno dei più sferzanti attacchi di Sciascia a due istituzioni che ha
sempre guardato con diffidenza: la politica del governo (in questo caso democristiano) e la Chiesa (in particolare l’ordine dei
gesuiti), rea di connivenze con il potere. I politici esibiscono sorrisi ipocriti, frasi di circostanza, disappunto e dispiacere falsi,
recitano preghiere pensando però alle amanti che li aspettano in camera o a come tenere pulita la propria immagine
macchiata dalle accuse.
La Chiesa corrotta è invece rappresentata dall’inquietante figura di Don Gaetano, un frate che, pagina dopo pagina, assume
sempre più connotati diabolici.
Centrale per la vicenda è il rapporto privilegiato che il frate ha con il pittore, unica persona al suo pari per cultura, con il quale
“duella” attraverso citazioni di illustri pensatori. Il pittore, profondamente anticlericale, simboleggia la razionalità illuministica
laica, mentre Don Gaetano è l’emblema dell’irrazionalità che attacca e