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Nella seconda parte del libro "La taverna dei destini
incrociati" il meccanismo rimane lo stesso, cambia solo il fatto
che qui una carta pu ò comparire più volte all'interno di una
storia, non esiste quindi uno schema preciso. La macchina
combinatoria da cui prende l'impulso "Se una notte d’inverno
un viaggiatore" è invece diversa. Calvino si identifica non con
l'autore del libro ma con il lettore. Non si tratta di un
romanzo, ma della combinazione degli incipit di 10 differenti
romanzi la cui lettura, per una serie di incredibili e
inverosimili cause (pagine mancanti, libri che sono in realt à
altri libri e appaiono sotto falso titolo ecc...) non pu ò essere
portata a termine dal "Lettore" e dalla "Lettrice". I due
protagonisti cercano in tutti i modi di trovare i seguiti delle
storie e si imbattono in professori, artisti, falsificatori di
romanzi, traduttori, editori .
Al termine dell'opera il "Lettore" entra in una biblioteca con
l'elenco dei 10 libri interrotti. Gli viene fatto notare che i
titoli formano un acrostico che a sua volta è l'incipit di un
altro romanzo.
"...Lei crede che un racconto abbia un inizio e una fine?
Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire:
passate tutte le prove, l'eroe e l'eroina si sposavano, oppure
morivano..." Il Lettore, rassegnatosi a non trovare il seguito
dei racconti, decide cos ì di sposare la Lettrice.
Paradossalmente in questa maniera si giunge al termine del
libro.
Appare chiaro come l'idea di Calvino sia anche qui, come nel
"Castello", quella di dimostrare che, nella narrazione, ogni
avvenimento produce molteplici effetti che diramano e
frammentano la storia. Nel tentativo di risalire
all'incontrario la sequenza di cause ed effetti si producono
altre cause ed altri effetti. Non bisogna per ò ridurre queste
due opere alla stregua di semplici esperimenti, ma è necessario
cogliere il gusto per il divertimento e l'intento "giocoso" di
"smascherare" alcuni dei mezzi che la letteratura utilizza per
prendere vita.
Il castello dei destini incrociati
Con “Il castello dei destini incrociati” si inaugura il periodo
cosiddetto combinatorio, in cui Calvino si mostra
prevalentemente influenzato nell'immaginazione e nella
strutturazione dei suoi racconti dalla semiotica e dallo
strutturalismo. Dato un mazzo di tarocchi, Calvino ipotizza
le possibili combinazioni tra le carte e i personaggi che
diventano un certo numero (elevato ma finito) di storie. Il
problema di una conoscenza ordinata, di un dominio razionale
del reale sembra cos ì trovare momentaneamente un
fondamento rassicurante nella nozione che tutte le storie,
come tutti i fenomeni, siano il prodotto di un numero limitato
di combinazioni di dati e fatti, che alla base del disordine
fenomenico stiano delle strutture profonde capaci, una volta
individuate, di fornire il modello del mondo e della realt à.
Modalità narrative (di tipo combinatorio) e problemi
conoscitivi simili sono alla base anche di “Le citt à invisibili”
(1972) e di “Se una notte d'inverno un viaggiatore” (1979).
Nel primo libro, forse il prodotto pi ù felice di questa fase
fortemente intellettualistica, c' è un racconto a cornice in cui
si confrontano Kublai Khan e Marco Polo (il modello
narrativo esplicito è il Milione e in genere la narrativa antica
di viaggi): Kublai Khan, tramite le relazioni dei suoi
ambasciatori e di Marco Polo cerca di dominare il suo
immenso impero, che non conosce direttamente, e Marco Polo,
a differenza degli altri aridi relatori, gli racconta storie
affascinanti e misteriose di citt à reali e fantastiche,
avvincendolo. Quella che Calvino compie attraverso la
narrazione di Marco Polo è una catalogazione ordinata del
disordine reale: la narrazione si dipana entro confini
delimitati (anche qui è applicato un modello combinatorio: il
numero delle citt à è finito e queste sono divise in insiemi
distinti), ma le citt à nei loro connotati concreti sono un
esempio di fluidit à e indeterminatezza. Nel secondo libro ci si
sposta dal campo del reale a quello della letteratura, ma
anche in questo caso la dinamica non muta: la vicenda della
cornice narra di una lettrice alla ricerca di quello che in
definitiva appare il libro dei libri, il libro che consenta la
spiegazione del mondo, libro che naturalmente si nega,
lasciando lo spazio solo a una serie di capitoli interrotti di
tanti libri diversi, che costituiscono al tempo stesso un
catalogo di possibili temi e modelli narrativi di Calvino. Il
romanzo “Il castello dei destini incrociati” è strutturato in
questo modo: la prima parte è "Il castello dei destini
incrociati" appunto, che comprende anche una parte intitolata
"Tutte la seconda parte si intitola "
le altre storie"; La taverna dei
le cui storie e avvenimenti sono simili al
destini incrociati",
precedente, ma in cui cambia l'ambientazione.
Superficialmente, il proposito di Calvino non sembrava che un
puzzle, dove importante non era il disegno finito ma l'abilit à
di sistemare tutti i pezzi secondo regole ben definite. Con
un’analisi più approfondita, invece, si pu ò cogliere l’ideologia
di partenza di Calvino, che ha dovuto essere rielaborata
durante la stesura del testo. In principio l’autore voleva
compiere la sistemazione delle carte entro una cornice
prefissata. In seguito si rese conto dell’impossibilit à
dell’operazione, abbandonando la concezione di cornice come
contenitore di tutte le storie e narrando piuttosto le vicende
senza incanalarle in una cornice predefinita. Quando rinunci ò
a trovare una logica combinatoria totalizzante, divenne
consapevole che la letteratura stessa è la metafora più
convincente del labirinto, dal momento che lo scrittore,
nell'infinita selva delle possibilit à narrative, sceglie i
percorsi possibili, decodificando a suo piacere i segni della
realtà e illudendosi, tramite la costruzione di storie, di
trovare una razionalit à nel caos. Calvino spiega di aver
utilizzato nel suo lavoro i tarocchi come macchina narrativa
combinatoria, per cui il significato di ogni singola carta
dipende dal posto che essa ha nella successione di carte che la
precedono e la seguono. Un anonimo narratore protagonista
trova riuniti in un ampio salone un numero di personaggi
dall'aspetto signorile, desiderosi di raccontare ognuno la
propria storia, ma affetti da mutismo, denominatore comune
che unisce tutti i personaggi. Gettato sul tavolo c' è un mazzo
di tarocchi dal quale inizia la narrazione, strutturata sulla
disposizione non casuale delle carte. Cos ì facendo si narrano
le diverse avventure che hanno spinto i personaggi a
rifugiarsi nel castello, facendo affidamento sulla capacit à di
interpretazione degli ascoltatori e sull’ attenta
partecipazione interpretativa dei commensali.
Il protagonista non ha un nome: forse è l'autore stesso o forse
un semplice io che potrebbe essere chiunque di noi. Un io che
viene a trovarsi dentro una foresta e qui si imbatte in un
bellissimo castello. Vi entra e si dirige in un grande salone
dove ci sono già molti commensali. Questi sono seduti intorno
alla stessa tavola ma non si conoscono fra di loro. Il
protagonista cerca di presentarsi ma nessun suono esce dalla
sua bocca e non è l'unico ridotto al silenzio, anche tutti gli
altri si guardano perplessi senza riuscire a parlare. Ecco
allora che i protagonisti sono portati ad esplorare nuove (e
vecchie) frontiere della comunicazione ed il lettore nuove
frontiere dell'interpretazione; uno ad uno i presenti vogliono
poi raccontare le loro avventure e tutti usano i tarocchi
ancora nel mazzo oppure quelli gi à utilizzati dagli altri
incrociando cos ì le storie individuali. La tavola su cui le
carte vengono caoticamente disposte diventa simbolo
dell'ordine caotico del mondo reale. S'intrecciano storie di re,
di cavalieri, di donne e di personaggi senza nome che
compongono un quadrato magico destinato a essere distrutto.
Qui il significato pi ù profondo del libro: il mondo è un
labirinto di segni indecifrabili, dove regna il caos, dove la
nostra storia non lascia il segno, passando inosservati. La
nostra vita si intreccia con altre fino a perdere poi il
significato primo della vita. "Lasciatemi cos ì. Ho fatto tutto
il giro e ho capito. Il mondo si legge all'incontrario. Tutto è
chiaro."
Se una notte d’inverno un viaggiatore
La prima edizione di questo romanzo risale al 1979. Il tema
alla base è uno dei più trattati da Calvino nel corso della sua
carriera: quello dei possibili in letteratura e del rapporto che
con essi hanno l’autore e il lettore. Ogni scrittore, nel
momento in cui inventa una storia, si trova di fronte alla
costruzione di un mondo e, scegliendo di far prendere certe
strade al suo racconto, distrugge inevitabilmente una
costruzione di realt à, o meglio tante realt à possibili che la
sua storia avrebbe potuto costruire. Allo stesso modo il
lettore, mentre legge, scrive una sorta di storia sua, basata
sul mondo che la sua mente e le sue emozioni costruiscono. Da
questa consapevolezza, nasce un sentimento di rifiuto della
chiusura in Calvino: un desiderio di non spegnere le
possibilità del racconto. Ecco quindi “Se una notte d’inverno
un viaggiatore”, un romanzo basato sull’apertura, sugli
incipit romanzeschi: essi costituiscono l’inizio dell’attesa,
l’apertura stessa del mondo letterario e del mondo del lettore.
Furono molti gli interventi di chiarimento dell’autore su
questo testo, considerato ancora oggi come uno dei suoi testi
più difficili. L’autore chiar ì innanzitutto che il tema al
centro del libro è il romanzesco come procedura letteraria, che
si basa sulla capacità di “costringere l’attenzione su un
intreccio nella continua attesa di ci ò che sta per avvenire”; al
centro del libro, chiarisce Calvino, sta dunque il tema del
“finito interrotto”: cio è di una conclusione continuamente
rimandata dall’autore. La storia inizia con un lettore che
comincia la sua lettura dell’ultimo libro di Calvino, proprio
“Se una notte d’inverno una viaggiatore”, appena acquistato
in libreria. Dopo poche pagine, si accorge per ò che qualcosa
non va: un errore di stampa ha portato la casa e