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L’IDEALISMO DI BENEDETTO CROCE E LA CRITICA
LETTERARIA:
Il dibattito culturale e letterario nell’Italia dei primi due decenni del Novecento fu vivace. Benedetto
Croce con la sua Estetica teorizzò che l’arte doveva rimanere autonoma da qualsiasi finalità
pratica. Nella letteratura si doveva ricercare la liricità in senso assoluto, lo scopo della critica
diventava quello di individuare i momenti di autentica poesia di un’opera, ovvero di perfetta sintesi
di intuizione ed espressione.
Le posizioni crociane furono accolte sempre più largamente anche per il prestigio personale del
filosofo, che divenne un punto di riferimento della cultura antifascista. La loro rigidità bloccò per
lungo tempo lo sviluppo di una critica accademica attenta alle nuove discipline applicabili allo
studio letterario come la sociologia, la psicanalisi ecc.
3. LA POESIA. IL <<RITORNO ALL’ORDINE>>
CLASSICISTA. <<LA RONDA>>
Nella lirica del periodi tra le due guerre la novità è la rivalutazione delle forme della tradizione
letteraria da parte della rivista romana <<La Ronda>> (tra 1919 e 1922). Tra i principali promotori
si contano Emilio Cecchi, Riccardo Bacchelli e Vincenzo Cardarelli. Quest’ultimo iniziò a
pubblicare opere in versi sulla rivista <<La Voce>>, ma poi propugnò una sempre più netta
distinzione tra i due ambiti. Cardarelli cercava in sostanza un nuovo classicismo da lui stesso
definito <<a doppio fondo>>, ovvero tale da nascondere un vuoto esistenziale con un’esteriorità
perfetta.
Con <<La Ronda>> si esplicita dunque una tendenza opposta a quelle di tipo avanguardistico.
UMBERTO SABA: Il Canzoniere
Trieste 1883. L’immediato abbandono del padre, il rigore della madre, l’affetto della nutrice Beppa
costituiscono presupposti autobiografici influenti sulla sua poesia.
La vocazione poetica di Saba si manifesta nei primissimi anni del secolo. Rimane legato alla sua
Trieste. Ecco perché le liriche delle prime raccolte appaiono del tutto fuori tempo rispetto alle
avanguardie, e volutamente legate a un linguaggio letterario ormai desueto.
La stessa idea di un Canzoniere risulta a quest’altezza decisamente conservatrice; se si aggiunge
che le forme metriche preferite da Saba sono quelle chiuse (come i sonetti), si capisce che
l’accoglienza riservata a questo autore non poteva essere ampia, sebbene già negli anni venti non
mancassero alcuni recensori, come Montale.
Tra le poesie di maggior valore del primo Canzoniere, si devono ricordare quelle che fondono una
stilizzazione classicista con una scelta di immagini inconsuete e appunto stranianti: è il caso
di A mia moglie, in cui Lina viene paragonata a una serie di animali non nobili, come una pollastra,
una cagna, ecc. L’amore coniugale si esplicita con una liricità sublime ma in un affetto quotidiano.
Nel primo Canzoniere Saba mira a una poesia da lui stesso definita ‘’onesta’’, di una leggerezza
che diventa chiarezza e definizione, espressione classica di una sensibilità contrastata e
nonostante tutto moderna.
Produzione poetica dal 1921 al 1957.
Dopo la pubblicazione del primo Canzoniere Saba entra in contatto con alcuni giovani intellettuali e
scrittori, come Debenedetti e Montale. In questi anni il poeta triestino si avvicina non solo alla
psicanalisi, ma più in generale alla cultura europea contemporanea, trovando modo di introdurre
nel suo stile semplice e classico note più forti di modernità.
Una nuova tappa è segnata dal secondo Canzoniere (1945) nel quale confluiscono le raccolte
successive al ’21.
Nel terzo volume del Canzoniere, incisive e drammatiche risultano le raccolte Parole e Ultime
cose, risalenti al periodo culminato nella persecuzione razziale e nella persecuzione razziale nella
guerra. I contatti diretti con Ungaretti e soprattutto con Montale portarono Saba a scrivere versi
senza esplicitazione dei nessi connettivi, cosicché la sua lirica assunse a volte in sé una
componente della migliore ‘oscurità’ moderna. Ma in essa si fece strada anche una maggiore
insoddisfazione esistenziale.
Non mancano però, specie nella sua fase del dopoguerra, testi più lievi, ancora in forma di delicato
racconto autobiografico.
Le raccolte da Mediterranee (1946) a Sei poesie della vecchiaia (1953-54) vanno a completare la
terza parte del Canzoniere .
Oltre che notevolissimo poeta, Saba fu pure un ottimo prosatore. Nei suoi molti racconti brevi non
mancano le storie legate al ricordo del mondo ebraico di Trieste, nonché ai fatti autobiografici già
trattati nel Canzoniere. Spiccano i testi Scorciatoie e raccontini (1946), nei quali le occasioni fornite
dalla vita quotidiana vengono interpretate in modo inatteso. Postumo è uscito il romanzo
incompiuto Ernesto (1953), per certi aspetti rivelatore: si parla di un’iniziazione omosessuale di un
ragazzo, narrata con levità e naturalezza, grazie pure a un uso molto delicato del dialetto triestino.
Va infine ricordato un testo singolare, quale Storia e cronista del <<Canzoniere>> (1948): un
autocommento che fornisce spiegazioni utili tanto da un punto di vista esegetico, quanto per
comprendere le ragioni personali più profonde che sottostanno all’organizzazione dell’intero
Canzoniere sabiano.
L’ERMETISMO
Negli anni trenta riprende forza il filone tardosimbolista della lirica pura. Questo filone, cui viene
tuttora dato il nome di ermetismo, presenta in realtà caratteristiche in qualche misura distinte: da
una parte si può individuare un ermetismo di giovani autori toscani, legati alla rivista
<<Frontespizio>> e in particolare al critico Carlo Bo, che mirava a contrapporre i valori religiosi e
umanistici della poesia alla crudezza del regime fascista. In comune le varie correnti
dell’ermetismo mostrano la tendenza a un uso astratto e fortemente simbolico del linguaggio.
Fra gli esponenti più puri dell’ermetismo vanno segnalati il ragusano Salvatore Quasimodo e il
salernitano Alfonso Gatto. Entrambi operarono a Firenze assumendo ben presto un ruolo
autorevole nei circoli culturali e nelle riviste più stimate, come <<Solaria>> e <<Campo di Marte>>.
Altri autori propongono sempre a Firenze, un ermetismo più colto, nel quale risuona la lezione di
Mallarmé e delle sue poesie perfette e oscure. In questo gruppo assume presto un ruolo di rilievo
Mario Luzi. Altri come Piero Bigongiari o Alessandro Parronchi, proposero una lirica raffinata
ma dai tratti stilistici meno individuati.
Ai margini dell’ermetismo vanno collocati autori che pure ebbero contatti stretti con gli ermetici in
senso proprio. Uno di questi è Leonardo Sinisgalli, che si ferma sulla soglia della metaforicità
irrazionale.
Va infine notato che quasi tutti gli ermetici furono spinti ad abbandonare i temi più rarefatti e
tardosimbolisti, per affrontare in modi a volte stilisticamente sin troppo retorici gli eventi drammatici
del confitto e della ricostruzione.
Ben diverso fu il percorso di Eugenio Montale.
EUGENIO MONTALE: DAGLI OSSI ALLE OCCASIONI E OLTRE
Nacque a Genova nel 1896. Ebbe una formazione eterogenea, grazie all’aiuto di familiari e docenti
lesse e conobbe numerosi testi filosofici tra cui spiccano i pensatori francesi Bergson e Bontroux.
Sin dall’adolescenza Montale cercò di avvicinarsi alla cultura italiana più vivace, dapprima come
lettore e poi come recensore di articoli più significativi.
Piero Gobetti fu l’editore della prima raccolta montaliana, gli Ossi di seppia (1925).
Gli Ossi di seppia si presentano come un libro senz’altro antiavanguardista ma non legato a
un’idea tradizionalista di poesia: per tentare di definire il carattere dominante la critica più recente
ha iniziato a impiegare la categoria del <<classicismo paradossale>>. Si tratta di una formula
creata da Montale per Saba. Ma nel poeta è ben più forte la componente modernista all’interno
dell’uso di elementi tradizionali. E’ il caso della metrica, nella quale si riscontra un’ampia presenza
di endecasillabi o settenari spesso mescolati ad altri versi meno canonici.
L’io-lirico degli Ossi di seppia si presenta come un soggetto debole, a suo modo un inetto, che
però non si limita a enunciare la sua propria condizione in modo malinconico o ironico, come i
crepuscolari. Viceversa l’io montaliano confronta la sua condizione con quella moderna dell’intero
genere umano, e denuncia il <<male di vivere>>, la sofferenza esistenziale di chi è ormai privo di
una fede certa e di una reale volontà di agire.
In questa prospettiva gli Ossi propongono una serie di scacchi esistenziali, di azioni mancate, di
speranze deluse per l’io.
Montale suddivise gli Ossi in quattro gradi sezioni: Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo e
Meriggi e ombre.
La centralità delle Occasioni.
Nel 1927 Montale si trasferì a Firenze, dove entrò in contatto con i più autorevoli critici e scrittori
dell’epoca. La vicinanza con questo ambiente spinse il poeta ligure a una rilettura dei grandi
classici.
E’ in questi anni che matura una svolta nella poetica montaliana. Se gli Ossi era ancora segnato
da una classicità chiara, le Occasioni si orientano verso l’oscurità tipicamente otto-novecentesca.
La difficoltà delle Occasioni deriva da una condensazione dei paesaggi e da un procedere per
metonimie, per dettagli che stanno al posto del tutto, e non per grandi ed evidenti metafore come
negli Ossi.
Si rafforza l’importanza degli oggetti, e caricati poi di una valenza simbolica. In questi passaggi
tematici si coglie l’adesione a una poesia di tipo <<metafisico>>, una poesia rivalutata in quel
periodo da Eliot, e che non mirava a nascondere le realtà storiche, ma a farne la fonte concreta di
una poesia ‘’oggettiva’’, portatrice di un valore universale. Lo stesso Montale riconosce per se
l’importanza di questa linea metafisica, e fra l’altro valorizza il rapporto tra poesia e prosa.
Le Occasioni mostrano i segni di una personalissima rilettura dell’intera lirica europea. Mai però i
testi montaliani risultano volutamente ambigui o irrazionali: un’interpretazione letterale è sempre
possibile, ancorché complessa per la condensazione dei contenuti. Fra le novità, spicca
l’esaltazione del tema modernistico dell’epifania miracolosa, dell’occasione che porta allo
svelamento di una verità oltre le apparenze terrene, che all’io-poeta può manifestarsi grazie
all’intervento di Clizia, la donna-angelo dai tratti stilnovistici, e mediante i tanti <<