Letteratura italiana - Appunti ed esercitazioni
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Anche Catone come tutti gli altri custodi dei regni infernali si stupisce nel momento in cui
vede Dante, dato che nessun uomo vivo ha mai compiuto il viaggio di Dante, quindi tutti si
stupiscono nel vedere Dante, inoltre Catone non riesce a capire come siano potuti
scappare quei due dall’Inferno, dato che nessuno ha mai oltrepassato quel confine.
22/11/2007
L’ultima volta abbiamo iniziato la lettura del primo canto del Purgatorio, in particolare ci
siamo soffermati sull’analisi del proemio che è la prima sezione del canto.
Il proemio riguarda in particolar modo la prosecuzione del tema, l’indicazione
dell’argomento del tema del canto e con l’invocazione ad una divinità ispiratrice, ad una
entità che può essere più o meno personificata alla quale il poeta si rivolge per chiedere
un aiuto, un potenziamento della facoltà poetica.
Nel primo canto del Purgatorio l’invocazione alla Musa Calliope era prodotta attraverso un
riferimento mitologico apparentemente pesante, posto proprio in apertura del canto.
Questo riferimento mitologico non è pretestuoso, nel momento in cui inscriviamo questa
richiesta di umiltà all’interno della tematica non solo del primo canto del Purgatorio, ma
della cantica intera.
Successivamente avevamo avuto alcune terzine descrittive che ci presentano il
personaggio Dante che finalmente esce a rivedere la luce del sole, dopo aver attraversato
i fumi dell’Inferno.
Avevamo notato come queste digressioni paesaggistiche vengono rese da Dante
attraverso delle notazioni stilistiche ben calibrate sulle tonalità dei colori tenui, dolci, per
introdurre e per dimostrare che la varietà stilistica del Purgatorio che si assesta nello stile
mediano: se l’Inferno è scritto in stile comico, il Purgatorio è scritto in stile mezzano, più
terreno, il Paradiso è stato scritto in stile alto, nobile, tragico.
Avevamo avuto la presentazione del personaggio protagonista del canto, il grande latino
Catone l’Uticense e ci eravamo soffermati proprio sulla descrizione fisica di Catone.
La descrizione fisica di Catone è fatta precedere da Dante dalla visione delle quattro
stelle, queste quattro stelle che simboleggiano le quattro virtù cardinali, virtù cardinali
possedute al massimo grado, quindi Catone rappresenta la perfezione morale
raggiungibile da un uomo, escluso Cristo.
Ci eravamo fermati alla descrizione della barba di Catone che fin da subito dà questa
sensazione di reverenza, di soggezione.
Catone è rappresentato da Dante come un grande patriarca dell’antichità, dobbiamo
immaginarci una sorta di mezzobusto latino, romano in pietra.
Ricominciamo la lettura dal verso 40, dal momento in cui inizia il dialogo tra Catone e i due
pellegrini.
Dante è in compagnia di Virgilio, sono appena sbucati oltre quel pertugio che li aveva
condotti dall’Inferno fino all’emisfero meridionale della terra che è il mare al cui centro si
erge l’isola del Purgatorio.
Il viaggio di Dante accompagnato da Virgilio è una eccezione alle regole e infatti come
accade sempre, anche in questo caso il custode, il guardiano di questa zona si stupisce 36
della presenza, della vista di questi due viaggiatori che vorrebbe opporsi e fa domande
sulle ragioni del viaggio.
Ecco allora così si pronuncia Catone:
"Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?",
diss'el, movendo quelle oneste piume. 42
"Chi v' ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna? 45
Son le leggi d'abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?". 48
Chi siete voi che procedendo in senso inverso rispetto al fiume infernale
…il fiume infernale viene definito “cieco”, questo sia per fedeltà, osservanza del realismo
letterario, perché il fiume scorre sotto terra, quindi è cieco, sia perché l’Inferno è buio, c’è
la nebbia, c’è la fuligine, mentre il Paradiso, la salvezza, c’è la luce, da un lato a
simboleggiare il peccato che offusca il libero arbitrio, quindi acceca il libero arbitrio
dell’uomo, in modo tale che l’uomo si fa vincere dagli istinti e dall’altro lato invece la luce
simboleggia la grazia, la salvezza che domina in tutto il Paradiso.
Siete sfuggiti dall’Inferno, disse egli, muovendo la barba suscitando soggezione.
La barba di Catone viene chiamata “oneste piume”, in questo caso possiamo dire che
“piume” possiamo definirla una metafora, perché come le piume rivestono la pelle degli
uccelli, così la barba riveste la pelle del viso di Catone, in più queste piume vengono
definite oneste, ma in realtà sappiamo che onesta non è la barba, ma è Catone e di
conseguenza possiamo dire di essere di fronte ad una metonimia.
Ha spostato la qualità dalla barba, al modo di fare di Catone. 37
Chi vi ha condotto?
Chi vi ha fatto da guida?
Che cosa (o chi) vi ha fatto luce, vi ha spiegato (il viaggio)
Anche in questo caso la guida per passare dall’Inferno alla salvezza è la luce.
Uscendo fuori dalla notte profonda, che sempre rende scusa la valle dell’Inferno
(oppure che sempre rende buio l’Inferno)
Vediamo allora come questo campo semantico della luce, del buio, prosegua per tutto il
canto, è una costante.
Prosegue la domanda di Catone…
Sono dunque le leggi dell’abisso, le leggi dell’oltretomba, le leggi infernali, infrante?
Sul verso 47 esistono due ipotesi di parafrasi, due spiegazioni.
La più libera spiega in questa maniera:
Oppure è stato introdotto in cielo un nuovo ordinamento, è stata introdotta in cielo
una nuova legge così che, seppur dannati, voi potete venire alla montagna del
Purgatorio
La seconda scelta è più vicina al testo che ai significati delle parole e spiega in questa
maniera:
Oppure è mutato in cielo l’ultimo decreto 38
In tutti e due i casi “consiglio” è da intendersi alla latina, vuol dire legge, regola (non
consiglio come lo intendiamo noi oggi), è un sostantivo molto più forte, vuol dire decisione
nel senso di legge.
Novo anche in questo caso va inteso alla latina e quindi ha il significato di “ultimo”,
“recente”.
Catone in questo caso vorrebbe fare riferimento alla legge appunto introdotta con la
venuta di Cristo, perché soltanto con la venuta di Cristo si sono separati il regno della
salvezza e il regno della dannazione e i confini sono divenuti invalicabili, cioè soltanto con
la venuta di Cristo è stata data in ipotesi la possibilità della salvezza, per cui prima
esisteva solo la dannazione.
Soltanto con la venuta di Cristo è stata fissata quella regola che rende invalicabile il
passaggio dall’Inferno agli altri regni.
Catone lo chiama “recente”, perché dal suo punto di vista la venuta di Cristo è vicina,
Catone muore nel 46 a.C., quindi si sente coetaneo dell’era cristiana.
Questa è una parafrasi che rispetta maggiormente il significato delle parole.
Catone si domanda quindi come i due pellegrini possano essere lì.
Al verso 48 le “grotte” sono le montagne del Purgatorio e in questo caso abbiamo una
sineddoche, grotte nel lessico medievale significa roccia, quindi non solo caverna.
E Catone intende il piccolo, il particolare per il generale.
Di fronte a questa domanda di Catone abbiamo la reazione dei due pellegrini, o meglio la
reazione di Virgilio che come sempre prende l’iniziativa e risponde
Lo duca mio allor mi diè di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio. 51
Il duca per eccellenza, per antonomasia è Virgilio.
Virgilio allora mi afferrò e con le parole e coi gesti mi fece inginocchiare e mi fece
chinare gli occhi in segno di reverenza.
Abbiamo notato come al verso 50 Dante faccia un elenco di gesti per indicare i movimenti
di Virgilio, “e con parole e con mani e con cenni” è un polisindeto, è quasi una tautologia,
cioè vuol dire la stessa cosa, proprio perché Dante vuole ricordare che il regno del
Purgatorio è il regno dove si recupera la dimensione del tempo, oltre alle altre
caratteristiche del regno terrestre, è dei tre regni il più mondano, per recuperare la
dimensione del tempo Dante cerca di abbondare sia di indicazioni cronologiche, ma in
maniera più sottile questo recupero della dimensione del tempo, viene reso da Dante
anche mediante un tentativo di riprodurre la temporalità, cioè il senso diacronico, cioè la 39
distribuzione dei movimenti in diversi istanti, attraverso la scelta di determinati tempi
verbali, oppure attraverso una sorta di ripresa a rallentatore dei movimenti
“Ciglio” possiamo indicarlo come una sineddoche, perché sta ad indicare lo sguardo e poi
ad essere “reverenti” non sono le gambe, ma è il comportamento di Dante e qui siamo in
presenza di una metonìmia.
Allora Dante si inginocchia e abbassa gli occhi e resterà così fino alla fine.
Quindi per tutto il tempo del dialogo tra Virgilio e Catone, Dante è in questa posizione, ad
indicare il suo atteggiamento di umiltà, Dante è come tutte le altre anime del Purgatorio,
anche lui si pone in gesto di umiliazione.
Dante stimava Catone come uno dei massimi esempi di virtù dell’antichità.
Dante non sapeva ancora di avere davanti Catone, non è ancora stata svelata l’identità del
personaggio.
Poscia rispuose lui: "Da me non venni:
donna scese del ciel, per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovvenni. 54
Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi
di nostra condizion com'ell'è vera,
esser non puote il mio che a te si nieghi. 57
Il soggetto è Virgilio, Virgilio poi rispose a lui, il “lui” non è soggetto, è complemento di
termine
Virgilio quindi rispose a lui, non sono giunto fin qui per mia iniziativa, ma una donna
del ciel scese, per le cui preghiere soccorsi costui (Dante) con la mia guida.
La salvezza di Dante è resa possibile anche dall’interessamento di tre donne vicino a
Dante, che vogliono bene a Dante: la prima è Maria, la Madonna che dall’alto del cielo va
a sollecitare Santa Lucia che è la Santa protettrice di Dante, la quale a sua volta chiede a
Beatrice di andare da Virgilio ad aiutare Dante.
Quindi Dante ha tre protettrici.
Inizia il discorso di Virgilio e i commentatori antichi hanno analizzato questo discorso
secondo le regole della retorica e hanno notato che da grande letterato Virgilio organizza il
suo discorso cercando di essere il più efficace possibile, cioè sfruttando quelle che erano
le tecniche della retorica e dell’oratoria.
Siamo nel regno del Purgatorio dove non regna la legge del giusto, ma regna la legge
dell’amore, cioè anche qualcosa che va anche al di là di quello che è giusto. 40
Ma dal momento che è tuo desiderio che si spieghi di più, che io spieghi di più,
circa la nostra condizione come è nella realtà, il mio (sottintende desiderio), io non
posso che volere corrispondere al tuo desiderio, il mio volere va incontro al tuo, io
mi adeguo al tuo volere.
Attraverso questa costruzione sintattica un poco macchinosa Dante sottolinea questa nota
tipica del Purgatorio proprio della consonanza dei desideri, fa qualcosa in più per andare
incontro ai desideri, una cortesia gratuita.
Allora vediamo come in questo caso non si tratta tanto di lavorare sui significati, il quid è
dato dal disordine, dalla combinazione delle parole.
Al verso 57 vi è un iperbato oppure anche un’anastrofe.
E prosegue allora Virgilio:
Questi non vide mai l'ultima sera;
ma per la sua follia le fu sì presso,
che molto poco tempo a volger era. 60
Sì com'io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non lì era altra via
che questa per la quale i' mi son messo. 63
Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
che purgan sé sotto la tua balìa. 66
Questi (Dante) non vide mai l’ultima sera, cioè la sera dell’ultimo giorno, Dante non
è uno dei morti
Qui oltre al senso letterale dobbiamo includere anche il senso metaforico, allora qui si
parla non tanto della morte corporale, ma della morte spirituale, della morte dell’anima,
cioè la dannazione.
Dante non è un dannato.
Dante nel mezzo del cammin si è trovato in una situazione terribile, si è trovato sull’orlo del
burrone, era lì lì per perdersi.
Questa condizione terribile e pericolosa viene definita follia.
Ulisse è colui che compie il folle volo, il “folle” per eccellenza nella Divina Commedia è
quasi sempre Ulisse.
Ulisse è un personaggio importantissimo, è il personaggio più autobiografico, il peccato di
Ulisse è stato quello di aver avuto la presunzione di oltrepassare i limiti della conoscenza
41
umana, quindi di aver avuto la presunzione di poter fare a meno della grazia, di aver avuto
la superbia intellettuale di conoscere tutto, è quello che normalmente nella cultura
occidentale si chiama il delirio di onnipotenza.
E’ il superuomo, quello che si crede Dio.
La superbia intellettuale era il peccato in cui Dante sapeva benissimo di poter cadere, non
altri peccati, non lascivia, ingordigia, l’ira, l’accidia, il più alto è la superbia intellettuale,
allora ecco che scatta l’assimilazione tra Ulisse e Dante che sono entrambi superbi
intellettualmente, attraverso questa marca della follia.
Il Purgatorio è il regno dantesco, Dante sa bene di essere destinato a questo regno.
Virgilio precisa che Dante per la sua follia, rasentò l’ultima sera, cioè rasentò la
dannazione, la morte dell’anima
Tanto che mancava pochissimo a raggiungere l’ultima sera, la morte
Questo verbo del “volgere” richiama alla mente un rotolo, qualcosa che si svolge, come
era nell’immaginario la dimensione del tempo, come un rotolo, un filo
nel nostro
Così come già dissi fui mandato da lui per salvarlo (campare
vocabolario è rimasto “scampare”), egli, giunto a questo punto, era talmente
strenua la situazione nella selva oscura e a quel punto non c’era altro modo (per
salvarlo) che questo attraverso il quale mi sono avviato, non c’era altra strada
Virgilio invita Dante a non andare ad affrontare la tre fiere, ma a prendere un’altra via, lo
invita a seguirlo attraverso il viaggio.
La visione del colle con il sole viene rimandata, Virgilio chiede a Dante di aspettare prima
dovrai compiere un altro viaggio.
Gli ho fatto vedere tutti i dannati e ora intendo mostrare quegli spiriti che si
purificano sotto la tua giurisdizione, la tua custodia
Balìa è un termine tecnico della giurisdizione comunale, la balìa era un ufficio dei comuni.
Catone sta all’ingresso del Purgatorio. 42
Arriviamo alle terzine più importanti del canto, quelle centrali, in cui Virgilio tocca nel cuore
Catone.
Com'io l' ho tratto, saria lungo a dirti;
de l'alto scende virtù che m'aiuta
conducerlo a vederti e a udirti. 69
Chiedo scusa (sottointeso) come io l’ho condotto fin qui sarebbe un racconto
troppo lungo
I commentatori antichi dicono che questa è la “excusatio”, cioè in maniera sottintesa
Virgilio chiede scusa per non potersi dilungare nel racconto
Dall’alto (dal Paradiso) scende una virtù che mi aiuta a portare lui qui per vederti e
per udirti
E’ chiaro che non è vero, non è che Dante ha fatto tutto il viaggio fino a questo punto e
soltanto per andare lì.
Allora siamo nell’ambito di quella che si chiama “captatio benevolentiae”, Virgilio fa di tutto
per catturare la benevolenza di Catone, è una adulazione, per lo scopo di cortesia, per lo
scopo di gentilezza, per accendere una sintonia tra loro e Catone.
Siamo nel lessico della cortesia, della gentilezza, dell’educazione.
Virgilio dice “conducerlo a vederti e ad udirti”, scandisce bene le parole.
Questa lentezza, questo rallentamento è reso anche mediante un espediente metrico.
Abbiamo detto che l’endecasillabo è tale perché è tonica la decima sillaba, cioè l’ultima
sillaba tonica accentata è la decima, per questo è un endecasillabo.
E’ chiaro che nel calcolo delle sillabe funzionano le regole normali, quelle che abbiamo
imparato tutti per andare a capo.
Non sempre: esistono due eccezioni nel calcolo sillabico metrico che sono talmente
comuni in poesia che non sono più delle eccezioni, cioè è la regola.
In particolare la più evidente è la sinalefe, cioè quando una parola perde l’ultima vocale ed
è seguita da una parola che inizia per vocale, queste due vocali non contano due sillabe,
ma è come se si volessero sovrapporre e contare una sillaba sola.
Il fenomeno è soltanto metrico e grafico, non fonetico, cioè noi quando leggiamo dobbiamo
pronunciare entrambe le vocali, però nel calcolo sillabico queste due vocali contano una
sola. 43
Nel nostro verso 69 “conducerlo a vederti”, tra la “o” e la “a” c’è una sillaba sola, questa è
la norma in poesia tanto che il suo contrario (che è la norma per noi) si chiama dialefe,
cioè quando due vocali contano due sillabe e non soltanto una è l’eccezione.
E l’eccezione l’abbiamo proprio nella parte finale del verso, dove “vederti e a udirti”, queste
tre vocali contano davvero tre, noi non ce ne siamo accorti, ma Dante ha voluto provocare
questo fenomeno proprio per rallentare il verso.
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta. 72
Dunque benignamente accogli il suo arrivo, ti piaccia gradir il suo arrivo, costui
(Dante) è alla ricerca della libertà spirituale che è così preziosa come ben sa chi per
lei si toglie la vita.
Cioè Catone dice, tu devi accogliere Dante perché è alla ricerca della libertà dello spirito,
quella libertà che è così cara a chi in nome di essa si toglie la vita (Catone è morto
suicida).
Fin qui abbiamo un’affermazione generica.
La terzina successiva con un brusco salto stringe l’obiettivo sulla vita di Catone.
Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara. 75
Ora questo “chi” generico impersonale viene bruscamente ristretto alla persona di Catone,
noi lettori scopriamo che siamo di fronte a Catone, mentre Virgilio lo sapeva già
Tu lo sai perché per lei in nome della libertà, non ti fu odiosa, spregevole la morte
ad Utica dove hai lasciato quel corpo che il giorno del giudizio universale sarà
splendente 44
Utica è il luogo dove Catone si era tolto la vita, come gesto di ribellione, di protesta nei
confronti della libertà democratica definitivamente sconfitta.
La vesta è una metafora, sta a significare il corpo, come la veste ricopre il corpo, il corpo
ricopre l’anima.
Il “gran dì” per antonomasia è il giorno del Giudizio Universale.
Innanzitutto qui veniamo a sapere che Catone nel giorno del Giudizio Universale sarà tra i
salvati.
Dante insiste sul nodo problematico della salvezza di Catone.
Catone è un grande dell’antichità, ha raggiunto la perfezione morale in maniera talmente
straordinaria da essere un’eccezione e da poter essere come toccato dalla Grazia il
sole che illumina il viso di Catone.
Virgilio usa l’argomento della libertà per far scattare la sintonia tra Catone e Dante, ma
Dante non è alla ricerca della libertà poetica, si tratta di due libertà diverse, la libertà di
Dante è la libertà dell’anima, è il libero arbitrio che deve essere recuperato.
La libertà di Catone è la libertà politica.
Si attiva la “lettura figurale” che è un meccanismo di interpretazione, di comprensione che
Dante eredita dalla tradizione antica, dalla tradizione biblica e che nel secolo passato, uno
studioso importante di Dante, Auerbach ha commentato, analizzato in maniera esemplare,
quindi è stato Auerbach con i suoi studi su Dante nel 1963 a dimostrare, a spiegare bene
come funziona il meccanismo della lettura figurale per intendere tanti nodi problematici
della Divina Commedia.
Cosa significa lettura figurale?
La figura è una sorta di allegoria con una gradazione in più.
Occorre che facciamo una gerarchia tra similitudine, metafora, allegoria e figura.
La metafora è lo scambio che funziona perché i due campi semantici hanno qualcosa in
comune: “capelli oro”, perché i capelli biondi sono gialli e l’oro è giallo.
E dunque la metafora può funzionare.
La metafora è un meccanismo logico.
Nel caso dell’allegoria invece la sovrapposizione non è logica, non è automatica, ma è
qualcosa di arbitrario, è qualcosa di imposto da chi scrive e infatti la maggior parte delle
allegorie devono essere spiegate, altrimenti non ci si può arrivare con il ragionamento.
Facciamo un esempio: la lupa nell’Inferno è l’allegoria della cupidigia, ma non ha niente a
che fare con la cupidigia, il fatto che significhi cupidigia riguarda un dato culturale, storico
ma non logico, noi da soli non possiamo capire che la lupa è l’allegoria del peccato.
C’è uno scarto della logica in più.
Nel nostro caso le quattro stelle sono l’allegoria delle quattro virtù cardinali, allegoria o
simbolo, anche in quel caso non potevamo saperlo, abbiamo dovuto dire nella concezione
medievale le quattro stelle rappresentavano le quattro virtù cardinali.
La figura assomiglia molto all’allegoria.
Anche nel caso della figura deve esserci un sovrappiù logico.
Ciò che distingue la figura dall’allegoria è che il dato di partenza è storicamente esistito,
tanto quanto il dato di arrivo.
Facciamo degli esempi: prendiamo Beatrice, la Beatrice terrena, la Beatrice della Vita
Nova rappresenta l’amore terreno, l’amore dei sensi, ma Dante non rinnega Beatrice nel
momento in cui scrive la Divina Commedia e Beatrice nella Divina Commedia va a
simboleggiare l’amore a un grado superiore, un grado ultraterreno, divino, purificato ecc…
Allora si dice che la Beatrice della Vita Nova è figura della Beatrice della Divina
Commedia, cioè in qualche modo anticipa, prefigura quello che andrà a rappresentare ad
un grado più elevato, più universale, più ampio, pur senza negare ed eliminare la sua
natura terrena. 45
La figura è usata anche per l’interpretazione biblica, l’Esodo dell’Antico Testamento, cioè
la fuga degli Ebrei dall’Egitto alla ricerca della Terra Promessa, è un dato storicamente
avvenuto, ma è legato da questo meccanismo figurale con il viaggio dell’anima dal
peccato alla salvezza e allora l’Esodo prefigura, è figura del viaggio dell’anima alla ricerca
della salvezza.
Nel nostro caso abbiamo due gradi di libertà: la libertà politica rappresentata da Catone
prefigura, anticipa la libertà dell’anima, la libertà in termini spirituali e però Catone in
questa sua nuova dimensione è chiamato a rappresentare Dante.
In questo caso la lettura figurale è efficace, agisce, tanto è vero che qui Virgilio può dire
avete in comune la ricerca della libertà.
L’importante è che si ricordi questa distinzione tra i due tipi di libertà.
E’ talmente efficace questo meccanismo di identificazione che Catone sarà tra i salvati, la
sua ricerca della liberta politica prefigurava quella pienezza morale.
Prosegue allora il discorso di Virgilio, qui Virgilio aveva toccato il cuore, l’anima di Catone,
la grandezza morale, la sua magnanimità.
Adesso Virgilio esagera e va ad appellarsi ad un argomento che forse faceva meglio a
tacere, ricorda a Catone il suo amore terreno e dice:
Non son li editti etterni per noi guasti,
ché questi vive e Minòs me non lega;
ma son del cerchio ove son li occhi casti 78
di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega,
o santo petto, che per tua la tegni:
per lo suo amore adunque a noi ti piega. 81
Le leggi eterne, le leggi dell’oltretomba, dell’aldilà, non sono violate da noi, dal
momento che Dante è vivo e Minosse non mi custodisce, io non sono nei cerchi
custoditi da Minosse, ma provengo da quel cerchio, dal Limbo dove ci sono gli
occhi casti della tua Marzia, Marzia che nei suoi gesti ti prega ancora affinché tu la
consideri sempre tua, dunque in nome dell’amore di Marzia accondiscendi alle
nostre richieste
Minosse era quella creatura infernale che aveva il compito di distribuire nel giusto cerchio
le anime dei dannati dopo aver attraversato la palude Stigia sulla barca di Caronte.
Minosse faceva tanti giri intorno al suo corpo con la terribile coda quanto era l’ordinale del
cerchio dove l’anima doveva andare.
Tutto per dire comunque che Virgilio non è tra i dannati, Virgilio infatti stava nel limbo che
era quella zona dove stavano le anime dei grandi dell’antichità che non potevano
accedere al Paradiso.
Marzia era la moglie di Catone che secondo la vicenda della legislazione romana, ad un
certo punto è stata ceduta ad Ortensio. 46
Dopo la morte di Ortensio, ancora innamorata di Catone, Marzia volle tornare con il primo
marito.
Ecco che allora qui viene ricordata mentre ancora nei gesti chiede di voler tornare con
Catone.
Vediamo allora come si gonfia la captatio benevolentiae e in termini tecnici qui siamo in
presenza di un’”oratio”, Virgilio prega Catone
Lasciane andar per li tuoi sette regni;
grazie riporterò di te a lei,
se d'esser mentovato là giù degni". 84
Dunque lasciaci andare attraverso le sette cornici del Purgatorio, ringrazierò anche
lei per il favore che ci hai reso, se ti interessa di essere ricordato là dove c’è Marzia,
se ancora ti interessa lasciaci passare ed io renderò grazie anche a Marzia.
Inizia la risposta di Catone e dicevamo che Virgilio aveva esagerato, infatti non fa una
bellissima figura, ecco come risponde Catone
"Marzïa piacque tanto a li occhi miei
mentre ch'i' fu' di là", diss'elli allora,
"che quante grazie volse da me, fei. 87
Or che di là dal mal fiume dimora,
più muover non mi può, per quella legge
che fatta fu quando me n'usci' fora. 90
Ma se donna del ciel ti move e regge,
come tu di', non c'è mestier lusinghe:
bastisi ben che per lei mi richegge. 93
Marzia mi fu così cara mentre ero in vita, disse egli allora, tantoché faci tutto ciò che
mi chiedeva, ma ora che Marzia dimora al di là del fiume infernale, risiede al di là
dell’Acheronte (sorta di perifrasi per dire ora che Marzia sta nel Limbo), non mi può
più commuovere, in virtù di quella legge che fu emanata quando io uscii fuori dal
regno dell’Inferno. 47
Ma se una donna del cielo che ti ha inviato e ti dirige come tu dici, non servono le
lusinghe, sia sufficiente che tu mi preghi in nome di lei
Notiamo la fermezza di Catone che non ha cedimenti, non ha dubbi.
Qui il riferimento va alla discesa negli inferi di Cristo, discesa nel Limbo, Cristo scese nel
Limbo e andò a prelevare le anime dei patriarchi dell’Antico Testamento per salvarli.
Allora qui Catone ci dice in quell’occasione fui prelevato anch’io, è stato in quel momento
che insieme alle anime di Mosè ecc e le anime dell’antico Testamento, io fui prelevato e
da lì posto a custode del Purgatorio.
In quel momento durante la venuta di Cristo venne emanata quella legge in virtù della
quale le anime beate, coloro che non sono più dannati nell’Inferno, non sono sottoposti
alle passioni.
Catone designa come lusinga l’amore terreno di Marzia.
Inizia a questo punto la spiegazione dei gesti e dei movimenti che Dante e Virgilio
dovranno compiere per poter procedere.
Cioè Catone dà le istruzioni.
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso,
sì ch'ogne sucidume quindi stinghe; 96
ché non si converria, l'occhio sorpriso
d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
ministro, ch'è di quei di paradiso. 99
La descrizione di ciò che dovranno fare Virgilio e Dante si arricchisce di tutta una serie di
simbologie liturgiche, la parte finale del canto è caratterizzata da questa atmosfera rituale,
i due pellegrini compiono una serie di gesti liturgici di purificazione.
Vai e fai in modo di cingere i fianchi di Dante con un ramoscello liscio, con una
piccola canna liscia e fai in modo di lavargli il viso, così che si cancelli dal viso (di
Dante) ogni sporcizia, perché non si deve andare davanti, non si deve comparire
davanti all’angelo (il primo ministro) con il viso offuscato, sporcato dalla caligine
infernale 48
Schietto rende molto meglio l’idea del sottile, liscio, ma anche elastico, quindi un giunco,
una piccola canna liscia.
Dante dovrà cingersi i fianchi con un giunco e dovrà lavarsi il viso.
Sono due gesti simbolici di purificazione.
Il verbo “converrai” nel lessico medievale è molto forte rispetto alla nostra accezione, non
significa semplicemente è opportuno, conviene, ma significa “deve”, ha un’implicazione
molto più forte.
La “nebbia” è la caligine infernale che Dante ha accumulato sul suo viso attraversando
l’Inferno.
“L’occhio” sta per “il viso”, però l’occhio è anche lo sguardo e siccome la nebbia è il
peccato, qui certamente si parla dell’anima.
Non bisogna presentarsi al primo custode del Purgatorio con l’animo ancora ingombrato
dal peccato, che è appunto rappresentato dalla nebbia.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
là giù colà dove la batte l'onda,
porta di giunchi sovra 'l molle limo: 102
null'altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
però ch'a le percosse non seconda. 105
Catone inviterà i due pellegrini a scendere un poco più in basso sulla spiaggia dell’isola
Questa isoletta tutto intorno in basso proprio in basso, sulla spiaggia (oppure nel
punto dove si infrangono le onde), su questa spiaggia nessun’altra pianta eccetto
quel giunco di quelle che hanno le foglie e i rami e tronchi di legno, (dunque che
non siano elastiche come è il giunco) può nascere lì sulla spiaggia, dal momento
che questa pianta rigida non resisterebbe alle percosse delle onde
“La giù colà dove la batte l’onda” può essere intesa come una perifrasi per indicare la
spiaggia.
La sensazione che noi dobbiamo percepire leggendo questi versi è quella del movimento
delle onde che in maniera delicata lambiscono la spiaggia che circonda l’isola del
Purgatorio.
Sono onde placide.
Questo senso di delicatezza Dante lo ottiene attraverso i diminutivi “isoletta” (la montagna
del Purgatorio non è un’isoletta, è una montagna vera e propria), poi “ad imo ad imo” in
basso in basso, attraverso questa ripetizione di una parola breve, è quasi un vezzeggiativo
49
e poi soprattutto il verso 101 è un verso onomatopeico “laggiù colà dove la batte l’onda”,
l’impressione che suscita è quella di un’onda lieve che ripetutamente si infrange con
delicatezza.
Come fa ad ottenere questo effetto Dante?
Con i suoni, con gli accenti, sono parole brevi e soprattutto all’inizio del verso parole
tronche, accentate “colà”, poi dal punto di vista dei suoni l’allitterazione della “l”, le “l” e le
“n” sono consonanti liquide che riproducono questo suono liquido, molto ampio.
Questa impressione di delicatezza, di piccolezza serve ad introdurre il giunco.
Questo giunco rappresenta l’umiltà che è una cosa piccola, è la virtù dei piccoli.
Paradossalmente è il paradosso dell’umiltà, soltanto canne elastiche (apparentemente
deboli) resistono agli urti delle onde. 29/11/2007
Eravamo giunti grosso modo al verso 100 vale a dire in quel punto in cui Catone spiega ai
due pellegrini quali gesti sarà necessario compiere affinché l’anima di Dante si
predisponga pronta ad accogliere il nuovo incontro con Dio, come tutte le altre anime
anche Dante attraverserà il Purgatorio per riconciliare quell’amicizia perduta con Dio.
Eravamo arrivati proprio al momento in cui Catone descrive esattamente i gesti, i
movimenti, dopo aver spiegato di dover cingere i fianchi di Dante con un giunco stretto e
aver spiegato la necessità di ripulire il viso dalla nebbia, dalla fuliggine raccolta durante il
viaggio infernale, Catone stava indicando ai due pellegrini la spiaggia, siamo al verso 100.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
là giù colà dove la batte l'onda,
porta di giunchi sovra 'l molle limo; 102
Ricordiamo la descrizione dell’isola, che è un’isola imponente, ma qui Dante ce la descrive
per fornirci un’impressione di delicatezza, di piccolezza, attraverso “isoletta” e attraverso
una certa disposizione dei suoni e delle parole.
Questa isoletta tutto intorno, proprio in basso, laggiù dove viene battuta dalle onde
(sulla spiaggia) produce (fa crescere) dei giunchi (o delle canne) sopra la sabbia
bagnata 50
Questa impressione di delicatezza, di qualcosa di piccolo è resa anche attraverso
l’introduzione dei suoni delle onde (verso 101) con questo verso onomatopeico “laggiù
colà dove la batte l’onda” suoni brevi e accentati che riproducono quella sorta di ritmo
ripetuto delle onde che battono la spiaggia la mattina.
Ripetizione della “l” che è una consonante liquida allitterazione della “l”.
Per quale motivo è necessario a Dante trasmetterci questa idea di delicatezza?
Perché questo giunco, questa canna vuol simboleggiare l’umiltà, è simbolo di umiltà,
quella umiltà necessaria alle anime che depongono completamente tutta la superbia e si
dispongono a fare un esame di coscienza e a riconoscere i propri errori e a riconciliarsi
con Dio.
Ecco come viene descritta la canna del giunco
null'altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
però ch'a le percosse non seconda. 105
Nessun altro tipo di pianta, nessun’altra pianta che abbia foglie oppure che abbia
tronchi o rami vi può crescere o può crescere (lì), dal momento che non
resisterebbe ai colpi delle onde
Le fronde sono i rami delle foglie.
Soltanto un giunco quindi, soltanto una canna elastica resiste ai colpi delle onde, non un
albero o un arbusto che perderebbe le foglie.
Nella simbologia allora l’umiltà è quella dote di semplicità di chi si piega ai colpi della vita,
alle percosse della vita, senza spezzarsi, senza mai essere sconfitto.
Paradossalmente l’umile è più forte rispetto alla persona forte all’esterno.
Il riferimento all’umiltà percorre tutto il canto e per questa ragione comprendiamo perché
Dante aveva insistito con quel riferimento mitologico alle Piche punite perché non umili e
Dante aveva chiesto a Calliope di fare con sé come aveva fatto con le Piche, quindi c’è
questa sorta di immedesimazione nel segno dell’umiltà tra Dante e le Piche che hanno
peccato di superbia.
Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mosterrà, che surge omai,
prendere il monte a più lieve salita». 108 51
Poi dopo il vostro ritorno non avvenga di qua, da questa parte, il sole che ormai sta
sorgendo, vi mostrerà come salire la montagna dove il pendio è più agevole, dove la
salita è più lieve
Dante e Virgilio sono sbucati non sulla spiaggia, ma un po’ più in alto, a mezza costa,
prima dell’inizio delle vere e proprie cornici del Purgatorio.
Catone indica loro di tornare un po’ in basso, sulla spiaggia e poi spiega di rifare la salita
non da quella parte, ma dall’altra dove è meno ripido il pendio, seguendo le indicazioni
della luce del sole.
Terminano le parole di Catone e Catone scompare, scompare improvvisamente, così
come improvvisamente era comparso, Dante si era girato e se l’era trovato lì, allo stesso
modo Catone scompare.
Così sparì; e io sù mi levai
sanza parlare, e tutto mi ritrassi
al duca mio, e li occhi a lui drizzai. 111
Catone così scomparve; qui finalmente io mi alzai senza parlare e mi accostai, mi
avvicinai stretto a Virgilio e indirizzai gli occhi a lui
Questa apparizione e questa scomparsa improvvisa di Catone viene collegata dai
commentatori a quel grande tema (che abbiamo già incontrato e che predomina nel I
canto e in tutto il Purgatorio) il tema della solitudine, le anime devono guardarsi dentro
quindi sono da sole spesso nei loro silenzi, nelle loro riflessioni, nella loro malinconia, nella
loro dolcezza ecc...
Quindi Catone scompare e il punto di vista, il focus torna su Dante.
Dante era rimasto inginocchiato con gli occhi abbassati per tutta la durata del dialogo
“Tutto” rende sia il movimento fisico, ma anche l’atteggiamento interiore di Dante, cioè
Dante è silenzioso, di un silenzio interrogativo, Dante ha già capito cosa dovrà fare, non
ha bisogno di domandare a Virgilio.
Il suo atteggiamento silenzioso, interrogativo, meditativo si accosta, come a cercare
sicurezza, del tutto a Virgilio.
Lo sguardo segna il consenso di sintonia, di ricerca di sicurezza.
Questo sguardo, il movimento degli occhi e del corpo è anche l’atteggiamento di chi sta
per ricevere un sacramento, cioè da qui in poi entreremo in una vera e propria zona
liturgica del canto, dove si compiono dei riti, dei gesti simbolici e allora l’anima di Dante è
l’anima che è pronta ad accettare, a raccogliere questi riti. 52
Notiamo che a livello stilistico Dante rende tutto ciò attraverso il polisindeto serie di
verbi coordinati tramite congiunzione che ottiene l’effetto di rallentare e rimarcare proprio
la successione dei singoli movimenti
El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi:
volgianci in dietro, ché di qua dichina
questa pianura a' suoi termini bassi». 114
Virgilio cominciò: “Figliolo seguimi: giriamoci indietro perché di qua questa
pianura, questo piano, scende verso i suoi limiti più bassi, verso la spiaggia
Loro erano rivolti verso la salita quindi devono girarsi.
Pianura nel lessico medievale è un termine più sfumato rispetto al nostro “pianura”, nel
senso che può anche voler dire non necessariamente una superficie orizzontale, vuol dire
una zona piana, ma in questo caso è un semplice avvallamento, è un semplice punto dove
loro si erano fermati, ma non è una pianura, perché appunto la montagna aveva un
pendio, quindi il termine pianura nel lessico medievale è molto più generico, vuol dire
superficie, certo, non significa un pendio scosceso, ma nemmeno una pianura piana, è
molto più sfumato, tanto è vero che qui possiamo parafrasare semplicemente “questo
pendio”.
Ritorna la descrizione paesaggistica con la trasmissione da parte di Dante di questa
sensazione di azzurro e di colori tenui e di sensazioni, atmosfere rasserenanti.
L'alba vinceva l'ora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina. 117
L’alba spingeva (incalzava), seguiva le ultime ore della notte che procedevano, così
che in lontananza riconobbi il tremolio delle onde alla brezza del mattino
L’ora mattutina, non è la mattina, ma solo le ultime ore della notte, perché nel lessico,
nella terminologia per indicare i diversi momenti della giornata, anticamente, il mattutino è
l’ultima parte della notte, non è la mattina. 53
Su questi versi si sono soffermati i lettori di ogni secolo riconoscendo una bellezza
straordinaria, Leopardi era innamorato di questo “di lontano conobbi il tremolar della
marina”, aveva notato come l’uso di questa preposizione “di lontano” rendesse molto
meglio questa sensazione di lontananza sfumata, molto più che non scrivere “in
lontananza” o semplicemente “lontano”.
L’uso di questa preposizione, ricordiamo Leopardi, corrisponde alla poetica del vago e
dell’indefinito, a quella serie di scelte stilistiche che secondo Leopardi suggerivano questo
indefinito vago e sfumato.
Di lontano conobbi il tremolar della marina e qui ormai abbiamo visto la successione nei
suoni “tremolar della marina” allitterazione delle “r” può suggerire questo tremolio
delicato delle onde alla brezza del mattino.
Quindi si fa luce e Dante di lontano vede le scaglie della superficie del mare
Noi andavam per lo solingo piano
com'om che torna a la perduta strada,
che 'nfino ad essa li pare ire in vano. 120
Ci descrive Dante il loro stato d’animo
Noi (io e Virgilio) andavamo, camminavamo per la pianura, per il pendio deserto
come chi ritorna alla perduta strada, ritorna sulla via che aveva smarrito, tantoché
finché non l’ha raggiunta gli sembra di essere andato invano
Il loro stato d’animo è come chi ha perduto la propria strada, la corretta via, se n’è accorto
ed è ritornato indietro.
Allora il suo stato d’animo sarà certamente di gioia e di felicità per aver ritrovato la strada
giusta ma anche di rammarico, di amarezza, di tristezza per il tempo perduto, è
esattamente lo stato d’animo di un’anima peccatrice che si accorge di aver sbagliato e che
desidera ritornare sulla retta via.
Il tema della solitudine Dante qui vediamo sceglie di dire “noi andavamo”, questo “noi” è
pleonastico, è inutile perché sarebbe stata sufficiente la persona del verbo per trasmetterci
ciò che era sottinteso, scontato, però questo “noi” accentua il fatto che non c’era nessun
altro, erano soltanto loro due.
Il piano è definito “solingo” quindi solitario, deserto e poi anche la scelta di questa
similitudine di un pellegrino di chi cammina da solo, che si è perso, certamente
contribuisce e restituire questo stato d’animo, questa situazione di solitudine. 54
Quando noi fummo là 've la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
dove, ad orezza, poco si dirada, 123
In questa condizione quasi d’incanto, nella suggestione resa attraverso queste note
paesaggistiche, attraverso la descrizione di questi due pellegrini, si apre, inizia il rito, con i
gesti simbolici richiesti per la costruzione del viaggio
Quando noi raggiungemmo il punto dove la rugiada resiste ai raggi del sole, perché
la rugiada si trova in un punto dove evapora lentamente
Orezza per i commentatori è un tipo di vento, è quel venticello umido e fresco che noi
immaginiamo trovarsi all’alba sulla spiaggia, quindi è una frescura, un venticello che
produce una frescura umida, quindi non un vento che asciuga la rugiada, anzi un’umidità
che aiuta la rugiada a resistere ai raggi del sole.
Altri commentatori semplicemente dicono che orezza vuol dire all’ombra, il significato non
cambia, letteralmente l’orezza è proprio questa frescura umida portata da questo
venticello.
La rugiada si trova in questo punto umido, per cui non evapora, la rugiada è allora il
simbolo della grazia, quella grazia che viene data, viene donata a Dante e tramite la quale
Dante si toglierà il peccato rappresentato dalla fuliggine, dallo sporco che occupa il suo
viso
ambo le mani in su l'erbetta sparte
soavemente 'l mio maestro pose:
ond'io, che fui accorto di sua arte, 126
porsi ver' lui le guance lagrimose:
ivi mi fece tutto discoverto
quel color che l'inferno mi nascose. 129
Il mio maestro (Virgilio) soavemente pose entrambi le mani aperte sull’erbetta, così
che io che compresi (avevo conosciuto) il motivo di quel gesto, la sua arte, porsi a
lui il viso coperto di lacrime, lì (sul viso) mi fece riapparire, mi riscoprì del tutto quel
colore naturale (la carnagione) che l’Inferno mi aveva nascosto 55
soavemente avverbi in “mente” sono parole lunghe e in poesia spesso servono proprio
per rallentare e per aggiungere concentrazione al verso, letteralmente questo
“soavemente” rende molto bene l’idea di maestosità, di ritualità del gesto che Virgilio sta
compiendo.
Dante aveva già ascoltato la descrizione di quello che stava accadendo dalle parole di
Catone.
Le guance non sono lacrimose, se mai solo il viso è coperto di lacrime qui abbiamo una
metonimia scambio tra causa ed effetto.
La metonimia serve a rivolgere sul soggetto, su chi compie l’azione, l’azione stessa, è
Dante anche che ha pianto perché è peccatore, non sono soltanto le lacrime dei peccati in
generale.
Quindi il primo gesto è compiuto, la purificazione, l’abluzione, la lavanda del viso per
togliere i peccati.
Il secondo gesto, richiesto da Catone, era cingere i fianchi col giunco.
I nostri pellegrini compiono anche questo gesto che si conclude con un miracolo, il
miracolo che chiude il canto, chiudendo e culminando quest’atmosfera di incanto, di
miracolo, di celebrazione che domina
Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto. 132
Successivamente raggiungemmo la spiaggia, il litorale, che non vide mai navigar
nelle sue acque un uomo capace poi di tornare indietro
Vediamo come Dante insiste, deserto dove non c’era nessuno, solitario e poi ci sono
questi due versi che potremmo definire inutili, però non sono inutili se noi li colleghiamo
con quei riferimenti ad Ulisse che abbiamo detto essere così importanti in tutta la Divina
Commedia, in particolare in questo I canto del Purgatorio.
Ulisse è un personaggio autobiografico, forse il più importante della Divina Commedia.
Autobiografico perché il peccato di Ulisse la colpa di Ulisse è essere un consigliere di
frode, ma al di là di questo, ciò che colpisce della personalità di Ulisse è la superbia
intellettuale, il non sapersi accontentare dei limiti della conoscenza umana e avere voluto
violare questi confini superando le colonne d’Ercole.
Sappiamo quanto anche la filosofia abbia rappresentato una lusinga per Dante, è la sfida
del pensiero e allora il personaggio di Ulisse attiva delle spie in tutta la Divina Commedia
che catturano l’attenzione dei lettori.
La spiaggia viene personificata.
Ci fu un uomo “visto” da questa spiaggia Ulisse ma Ulisse non fu poi in grado di
tornare indietro, perché appunto la nave di Ulisse venne colpita dalla volontà divina e
e quindi certamente questo riferimento ad Ulisse è
venne fatta naufragare, capovolgere
voluto, è cercato ed è ben messo in evidenza da Dante all’inizio del canto notiamo i 56
riferimenti alle vele dell’intelletto, quindi ogni volta che incontriamo le vele, il volo, la follia
la navigazione di Ulisse è definita “il folle volo”.
Questo riferimento ad Ulisse prosegue anche al verso 133, semplicemente a livello
lessicale e stilistico
Quivi mi cinse sì com'altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
l'umile pianta, cotal si rinacque 135
subitamente là onde l'avelse.
Com’altrui piacque è esattamente una ripresa dell’altrui piacque riferito a Dio, il quale volle
far capovolgere la nave di Ulisse.
Nel canto di Ulisse si usa proprio questo verbo “altrui piacque” per indicare la volontà
divina che fece capovolgere la nave di Ulisse.
“altrui piacque” è Catone, però è anche Dio,
Qui Dante gioca un po’ con le parole
Catone è un ministro della volontà divina. a
In questo caso Dante si immedesima con Ulisse, però dice anche la differenza
differenza di Ulisse si umilia, fa confessione di umiltà e riconosce i propri limiti come non
fece Ulisse.
Qui Virgilio mi cinse, cinse i miei fianchi con il giunco, come aveva chiesto Catone,
oh meraviglia, l’umile pianta che egli aveva scelto tale e quale rispuntò
immediatamente, subito, proprio là dove l’aveva strappata
Non appena Virgilio strappa il giunco, il giunco rinasce immediatamente, se ne forma
immediatamente uno nuovo identico a se stesso.
Il significato del miracolo lo intendiamo se pensiamo che la pianta, il giunco è l’umiltà,
l’umiltà resiste alle percosse ed esce dai colpi della fortuna non soltanto non diminuita, ma
anzi rinforzata.
La pianta nonostante venga strappata rinasce, rispunta simile, identica a se stessa.
Facciamo un salto e vediamo come termina il viaggio di Dante 57
Paradiso - Canto XXXIII
Siamo alla fine della Divina Commedia, nell’ultimo canto del Paradiso.
E’ il culmine, l’apice, la soddisfazione del viaggio di Dante, finalmente Dante vede Dio.
Il contesto, lo scenario, è completamente diverso rispetto a ciò che fin’ora abbiamo letto
del Purgatorio, ma anche dell’Inferno, lo stile è diverso e anche l’impegno che Dante
chiede ai lettori è diverso, è superiore.
Leggiamo l’ultima parte del canto, a partire dal verso 46 e la chiave di lettura che
adotteremo, è la chiave di lettura che ci invita ad osservare l’abilità, la strategia di Dante
poeta nell’affrontare il tema più difficile del mondo, la descrizione di Dio.
Nel canto XXXIII Dante finalmente si accosta a Dio che si trova nell’Empireo.
Dante, dopo aver superato i cieli, che sono delle sfere concentriche che costituiscono
l’aldilà secondo il sistema tolemaico, raggiunge il cuore, il centro di queste sfere dove si
trova appunto la sede divina, la sede di tutti i beati, degli angeli e di Dio.
Questa sede l’Empireo è rappresentato attraverso questa invenzione originale di Dante,
cioè attraverso la Candida Rosa.
Dante immagina una rosa bianca, i cui petali sono i luoghi, i segni dove risiedono gli
angeli, i santi in gloria.
Al centro sta Dio.
Immaginiamo una situazione di estrema armonia, di musica, di rarefazione, di luce
fortissima, di beatitudine, di felicità, di gioia, le anime beate, gli angeli, vengono
rappresentati da Dante attraverso questa metafora felicissima, cioè come delle api che
quindi
felici volano dai petali verso il centro della rosa, prendendo e distribuendo grazia
come le api con il miele.
I beati si specchiano in una sorta di lago luminoso, una sorgente di luce fortissima,
abbagliante, bianca che inebria.
In questo ultimo percorso Dante era accompagnato da Beatrice, quindi non più dalla
ragione (Virgilio), ma in un lago luminoso, uno specchio di luce che Dante definisce il lago
di luce.
Il lago nel lessico poetico è anche il largo si dice anche il largo del cuore per indicare la
profondità, la larghezza, qualcosa di ultimo e di largo, profondo.
Dante è accompagnato da Beatrice.
Beatrice rappresenta la grazia.
L’uomo soltanto con le forze della propria ragione può distinguere il bene dal male e può
quindi attraversare l’Inferno e il Purgatorio, ma per colpa del peccato originale, l’uomo non
può raggiungere più la beatitudine con le proprie forze e allora è stata necessaria
l’incarnazione di Gesù che ha portato il messaggio di salvezza, vale a dire la grazia, che è
quell’aiuto, la mano che Dio dall’alto ci porge un’altra volta per salvarci dopo il peccato
originale.
In questi ultimi canti avviene anche il saluto tra Dante e Beatrice, proprio perché la grazia
ha accompagnato Dante lungo tutto il Paradiso, ma per toccare Dio, non è sufficiente
nemmeno la grazia, ma è necessario lo slancio dei mistici, è necessaria la forza del
misticismo che è qualcosa di più, è il rapimento estatico dell’anima che in maniera mistica
si unisce a Dio e allora in questi ultimi canti Beatrice lascia Dante e viene sostituita da San
Bernardo che è il mistico per eccellenza, la sua santità è stata contraddistinta dal
misticismo (Dante era un grande lettore ed estimatore di San Bernardo) e anche perché
San Bernardo era particolarmente devoto alla Madonna. 58
Molto bello il momento del saluto tra Dante e Beatrice e le parole usate da Dante per
descrivere per l’ultima volta tutta la bellezza di Beatrice.
Dopo essersi salutati, Beatrice scompare, ma Dante la rivedrà soltanto un attimo, proprio
alla fine, nel momento in cui Dante, su suggerimento di Bernardo, osserva la candida rosa
e ad un certo punto vede Beatrice la quale gira gli occhi e gli sorride.
L’ultimo estremo sorriso è nel sorriso di Beatrice nei confronti di Dante.
Bernardo compare dal XXXI canto in poi.
Dante spiega la costituzione della Candida Rosa, come sono disposte le anime dei beati
ecc…
La prima parte di tutto il canto XXXIII è occupata dalla preghiera di San Bernardo alla
Madonna.
San Bernardo prega Maria affinché interceda presso Dio per Dante.
Tutti si schierano per aiutare Dante e come ultimo estremo gesto San Bernardo invoca la
Madonna affinché Dante possa ottenere straordinariamente la visione di Dio.
Dante si accorge che la preghiera ha avuto effetto perché tutte le anime esprimono il loro
consenso, nel Paradiso troveremo questa dimensione corale; se nell’Inferno le anime sono
da sole, perché peccatrici, oppure sono insieme agli altri, ma spesso e volentieri si
azzuffano con gli altri, quindi in modo drammatico, in modo tragico; nel Purgatorio nel
anime sono da sole, perché hanno bisogno di questa solitudine malinconica; nel Paradiso
le anime sono tutte insieme ma di una dimensione corale, si annulla l’individualità.
Siamo al verso 46, terminata la preghiera di Bernardo, tutte le anime mostrano a Dante il
la visione.
loro consenso, il consenso divino
Dante non ci descrive Dio dal punto di vista oggettivo, ma non è nemmeno il punto di vista
di chi dice “questo è quello che ho visto” Dante è molto più raffinato.
Dante non ci vuole offrire una descrizione di Dio, ma ciò che gli pare di ricordare.
ciò che non si può esprimere.
Tema dell’ineffabile
E io ch'al fine di tutt'i disii
appropinquava, sì com'io dovea,
l'ardor del desiderio in me finii. 48
“al fine di tutt'i disii” Dio
“appropinquava,” mi avvicinavo
“finii.” portare a compimento
Bernardo m'accennava, e sorridea,
perch'io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea: 51 59
suso in alto
ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l'alta luce che da sé è vera. 54
de l'alta luce che da sé è vera. perifrasi per indicare Dio
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio. 5
il mio veder ciò che vide
fu maggio maggiore
eccesso
oltraggio.
Qual è colui che sognando vede,
che dopo 'l sogno la passione impressa
rimane, e l'altro a la mente non riede, 60
Passione sentimento
Impressa fissato
e ma torna
riede,
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visione, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa. 63 60
in questa terzina (versi 61-63) prima similitudine
tutta cessa vien meno
distilla verbo metaforico
Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. 66
Versi 64-66 seconda similitudine
disigilla; perde la propria forma
O somma luce che tanto ti levi
da' concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi, 69
ripresta ridai
e fa la lingua mia tanto possente,
ch'una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente; 72
fa rendi
possente, efficace
lasciare trasmettere
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria. 75 61
alquanto almeno qualcosa
conceperà intenderà
Io credo, per l'acume ch'io soffersi
del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi. 78
fossero aversi. avessi distolto
E' mi ricorda ch'io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi
l'aspetto mio col valore infinito. 81
ardito coraggioso
giunsi congiunsi
l'aspetto sguardo
Oh abbondante grazia ond'io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi! 84
presunsi ebbi l’ardire
esaurii (usai in tutte le sue possibilità -della vista-)
consunsi!
Nel suo profondo vidi che s'interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l'universo si squaderna: 87 62
Nel suo profondo vidi che s'interna qui Dante sta parlando di Dio
volume, unità
si squaderna si distribuisce
sustanze e accidenti e lor costume,
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch'i' dico è un semplice lume. 90
sustanze entità
accidenti qualità
lor costume, rapporti tra le sostanze e gli accidenti
conflati soffiati
lume barlume
Finalmente Dante vede Dio.
Il primo mistero è quello della molteplicità racchiusa nell’unità.
La luce che emana da Dio è una luce talmente forte che più la si guarda, più la vista si
rinforza, non è una luce abbagliante. 6/12/2007
Paradiso - canto XXXIII (continua)
Un punto solo m'è maggior letargo
che venticinque secoli a la 'mpresa,
che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. 96 63
Insufficienza della memoria di Dante per comunicarcela dice che l’oblio che lui prova
nei confronti di questo argomento che è sicuro di aver vissuto, è maggiore anche rispetto
ai 25 secoli che sono passati dall’impresa di Argo.
L’impresa degli Argonauti è un’impresa del mito
Questo momento che io vissi, questo punto soltanto della visione è per me oggetto
di maggior dimenticanza rispetto a i 25 secoli trascorsi dall’impresa degli Argonauti
che fece Nettuno sorprendersi dell’ombra della nave di Argo, che permise a Nettuno
di sorprendersi per l’ombra della nave di Argo
Tutto il verso 96 si può risolvere in “degli Argonauti”, è una perifrasi per individuare gli
Argonauti. Argo è uno degli Argonauti e Dante immagina,
“che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.”
inventa questa scena straordinaria, ma assolutamente non banale, non scontata,
immagina Nettuno, il dio dei mari, che in fondo al mare, a faccia in sù, vede l’ombra della
nave di Argo che transita nel mare e si stupisce, si stupisce perché gli Argonauti erano
quegli eroi esploratori che avevano toccato lidi di acque mai percorse da nessuno.
Perciò Nettuno nel momento in cui vede l’ombra della nave di Argo si stupisce e si
meraviglia, si meraviglia.
Ormai, conosciamo Dante, ogni volta in cui le cose si complicano, diventano impegnative
per il lettore, vuol dire che c’è sotto tanto significato.
Innanzitutto, come gli Argonauti, Dante si sente un pioniere, si sente un esploratore, sa
Dante di essere l’unico forse, l’unico uomo vivo ad essere giunto fin lì, a poter vedere
vedere Dio, quindi c’è certamente anche l’orgoglio del primato.
Dante si immedesima negli Argonauti che appartengono a quella famiglia di significati
antropologici e mitologici primato dell’eroe.
E contemporaneamente questa immagine, in maniera visiva, serve a Dante per descrivere
l’atteggiamento della sua mente che è come quello di Nettuno.
Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa. 99
Così la mia mente era in attesa, ammirava concentrata, ferma, rapita dalla luce
divina e attenta e mentre guardava fissa sempre diventava più accesa di ammirare 64
Notiamo che somma di aggettivi per definire la mente di Dante aggettivi simili, ma non
identici.
Dante è talmente raffinato che con questa “sospesa” aveva in mente Nettuno che stava
immerso nell’acqua e vedeva la nave di Argo sospesa sulla superficie.
Ricordiamo che questa luce divina è una luce abbagliante, tanto è bianca, è forte, è
incommensurabile, ma è una luce che non acceca, anzi, più la si fissa, più la vista si
potenzia.
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta; 102
A quella luce (di fronte a Dio) tali si diventa che è impossibile che sia permesso
distogliere lo sguardo da lei per guardare altrove
“che mai si consenta;” non fa altro che insistere sull’impossibile, proprio a rendere al
massimo grado la necessarietà di questa situazione, non può essere altrimenti.
“Aspetto” significa l’oggetto dello sguardo oppure la vista.
però che 'l ben, ch'è del volere obietto,
tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch'è lì perfetto. 105
Qui c’è un’altra delle tante definizioni della divinità dove tutto è perfezione
Dal momento che il bene che è il naturale oggetto della volontà, tutto si accoglie in
Dio e questo bene (che è perfetto in Dio) al di fuori di Dio è difettoso
Vediamo che giri di parole per insistere proprio sulla massima perfezione della luce divina
che non può che catturare la volontà dell’uomo. 65
Ci avviciniamo al secondo momento della visione, al secondo miracolo e Dante insiste
ancora su queste dichiarazioni di impotenza che veramente si fanno assillanti quasi,
insistenti.
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella. 108
Vediamo Dante pur nel luogo più astratto, etereo, universale del concepibile, riesce
comunque a comunicarci attraverso delle immagini concrete e assolutamente familiari.
Dante dice che quello che sta dicendo lo dice con una facoltà che è ancora inferiore
rispetto alla parola di un lattante (che non parla)
Da qui in poi la mia parola sarà più breve, più limitata anche in rapporto a quel poco
che ricordo, rispetto a quella di un bambino che succhia ancora il latte dalla
mammella
Dante dice di non aver ricordato nulla se non l’impressione della dolcezza.
Dante non resiste alla tentazione di infilarci il sostantivo “lingua” che è l’organo della parola
che bagni con la lingua la mammella e quindi lui è come un bimbo.
Le difficoltà di Dante nel descriverci il mistero si complicano e si raffinano ancora di più.
Dante sta per tentare di descriverci il mistero della trinità che è appunto un mistero, tre
persone ma una.
Le prossime terzine sono una straordinaria invenzione dantesca per cautelarsi
Non perché più ch'un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch'io mirava,
che tal è sempre qual s'era davante; 111
ma per la vista che s'avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom'io, a me si travagliava. 114 66
Dante deve dirci che sta vedendo una cosa ma tre, una persona ma tre.
Allora Dante riporta ancora una volta tutto in se stesso e dice
Certamente non era l’oggetto della visione ad essere uno e tre, ma era la mia vista che
potenziandosi vedeva cose diverse.
La mia facoltà visiva migliorando in tre momenti vide tre cose diverse.
Quindi non erano le tre cose in sé, perché Dante non può avere questa presunzione di
descrivercele, dice che probabilmente era la sua vista che cambiava, non erano i tre
oggetti della mia vista che mutavano.
Quindi l’intelletto di Dante entra a poco a poco in Dio, si rinforza e mano a mano che si
rinforza cambia la visione quindi non cambia Dio, non è la trinità che si presenta, ma
cambia la forza dell’intelletto
Non perché ci fosse in quella luce divina che io stavo contemplando più di un unico
aspetto, più di un unico oggetto, perché infatti il semplice sembiante era sempre
uguale a se stesso, identico a se stesso, ma per la mia vista che guardando Dio
acquistava forza, questo semplice sembianti davanti a me si trasformava
Un sembiante semplice, unico, non perché ce ne fossero tre.
Quindi non perché questo semplice sembiante gli si manifestava in quanto unità e trinità
per la mia vista la vista in me che si avvalorava, cioè non è l’oggetto di
“In me”
guardando, ma è guardando in me, per la vista che in me si avvalorava guardando.
Il verbo “travagliare” vuol dire nel lessico antico trasformare, cambiare, ma in un’accezione
che è anche rimasta in alcune lingue neolatine, romanze (come il francese) vuol dire
anche lavorare, faticare e allora certamente nel campo semantico di questo verbo c’è
anche la fatica, lo sforzo di Dante che deve raccontare la sua potenza visiva a Dio e anche
che deve descrivercela.
Ecco allora come si presenta la trinità, secondo la modulazione della sua facoltà visiva
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l'alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d'una contenenza; 117
e l'un da l'altro come iri da iri
parea reflesso, e 'l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri. 120
Non c’era immagine forse più naturale, quella di un cerchio per esprimere la circolarità
proprio delle 3 persone in una. 67
Il cerchio è uno, è uno solo, non ha inizio e non ha fine idea di circolarità non è
un’invenzione dantesca, qualcosa del genere era stato usato da Gioacchino Da Fiore che
era un teologo, un predicatore, quasi contemporaneo di Dante per esprimere la trinità.
Nella profonda e chiara, luminosa essenza della luce divina mi apparvero tre cerchi
di tre colori e di un’unica dimensione, il figlio da Dio sembrava riflesso come
arcobaleno da arcobaleno e il terzo (lo Spirito Santo) sembrava un fuoco che nella
stessa misura si ispirasse dall’uno e dall’altro
Sono 3 cerchi concentrici di 3 colori differenti
“e l'un da l'altro come iri da iri parea reflesso,” si riflettevano nei loro colori come
l’arcobaleno. anche nella scelta
Vediamo come per intendere l’idea di reciprocità il cerchio valga
delle parole e della sintassi “lun da l’altro”, “quinci quindi” sono tutte espressioni di
reciprocità, di coordinazione a specchio.
Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi,
è tanto, che non basta a dicer 'poco'. 123
Ancora una volta un’esclamazione di impotenza
Oh quanto il dire è corto, oh quanto la mia parola è insufficiente, è inadeguato, è
debole rispetto a ciò che la mia mente vide e questo (ciò che io riesco a ricordare)
rispetto a ciò che io vidi è così poco che non basta nemmeno per dire poco.
Quello che io vidi è ancor meno che poco, ciò che io ricordo è ancor meno di ciò che io
vidi, ciò che io posso dire è ancor meno di ciò che io ricordi Dante è raffinato.
La terzina successiva ancora una volta ci descrive la trinità 68
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t'intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi! 126
I commentatori dicono che è impossibile parafrasare queste parole, vogliono dire la
perfetta circolazione, reciprocità, completezza delle tre persone in una è il mistero.
O luce eterna (Dio), che non hai luogo altrove che sia in te stessa (che hai la sede in
te stessa) che ti concepisci da sola e concepita e concepente te stessa ti soddisfi, ti
ami e sorridi
Una serie di participi che vogliono proprio rendere la completezza, la reciprocità dei modi e
delle persone.
presente
Intendi
Intelletta participio passato, quindi passivo ti concepisci
Intendente participio presente mentre ti intendi
3 modi che vogliono dire la pienezza delle persone della trinità.
Più che la parafrasi e il contenuto, a noi lettori curiosi deve colpire la forma di questi versi.
non solo i significati della sintassi
Siamo di fronte a un caso di così detta poesia iconica
delle parole, ma anche la loro forma plastica, figurativa, del modo in cui si dispongono
nella pagina trasmettono un significato.
Abbiamo presente le poesie dei futuristi che distribuiscono le parole nella pagina bianca
creando delle figure in quel caso non è tanto importante il contenuto delle parole, ne’
tanto meno la loro sintassi, quanto la loro forma, oppure un caso evidente ma altrettanto
efficace, la poesia di Ungaretti le parole di Ungaretti si distribuiscono in verticale nella
pagina bianca quasi proprio centellinandosi e nel caso della poetica di Ungaretti, allora
Ungaretti dice queste parole sono isolate e sono da sole come è la condizione dell’uomo
“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” idea proprio della precarietà, della
labilità della vita dell’uomo che Ungaretti cerca di rappresentare anche iconicamente nella
pagina.
E nel nostro caso questa terzina ha forma di cerchio, riproduce la circolarità della
disposizione delle parole delle 3 persone.
La parola “sola” che lega il primo e il secondo verso e soprattutto il verbo “intendere” che
trascina in forma proprio di cerchio i 3 versi a creare questo ritmo circolare che proprio
riproduce il mutuo rapporto che ci dev’essere di conoscenza delle 3 persone.
Veniamo al terzo ed ultimo mistero, quello che colpisce di più Dante, quello che lo cattura
ed è il mistero dell’incarnazione cioè Dio si fa uomo, ma tutto finisce qui oppure l’uomo
è destinato a qualcos’altro?
L’uomo che è fatto di particelle chimiche che sono destinate alla trasformazione della
natura, oppure ha un destino diverso. 69
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Ectoplasmon di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Ferro Arcangela.
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