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LUDOVICO ARIOSTO
Ariosto è il tipico intellettuale cortigiano del Rinascimento. Nasce da una nobile famiglia nel 1474 e dieci
anni dopo si trasferì a Ferrara con il padre, dove intraprese gli studi. Con la morte del padre nel 1500 per far
fronte alle necessità familiari dovette accettare le cariche ufficiali offerte dagli Estensi.
Nel 1503 entra al servizio del cardinale Ippolito (figlio di Ercole I) con incarichi vari che limitavano la sua
dignità di letterato.
Nel 1516 pubblicò la prima edizione dell’” Orlando furioso” e la dedicò al cardinale Ippolito, che però non
l’apprezzò, così nel 1517 passa al servizio del duca Alfonso. Morì nel 1533.
LE SATIRE
Tra il 1517 e il 1525 Ariosto scrive le “Satire” indirizzandole a parenti e amici. Una prima edizione uscì
postuma nel 1534. Prende come modello i classici di vita quieta e indipendente da ogni servitù e il distacco
ironico con cui guarda se stesso e gli altri.
Sono scritte sotto forma di capitoli in terzine dantesche: il capitolo era un componimento in terzine
dantesche che trattava di argomenti allegorici e dottrinali (1300) e poteva essere costruito su una
conversazione di carattere politico e morale (1400). Hanno un linguaggio medio e un tono pacato. La
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struttura dialogica con se, con gli altri e con i destinatari crea un intreccio di voci che propongono
prospettive diverse del reale.
I temi centrali sono la condizione dell’intellettuale cortigiano, l’aspirazione ad una vita quieta ed appartata
e la follia degli uomini che inseguono oggetti vani. Ariosto è consapevole della comune follia degli uomini e
dei loro limiti che lo allontanano dal raggiungimento della serenità; ha una visione pessimistica.
NICCOLO’ MACHIAVELLI
Nasce a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese, ebbe una educazione umanistica e i suoi incarichi gli
conferivano grandi responsabilità nel campo della politica interna, estera e militare della Repubblica di
Firenze (da cui prende spunto per le riflessioni nelle sue opere).
Nel “Principe” Machiavelli identifica il duca Valentino come esempio della virtù che deve possedere un
principe nuovo che vuole costruire un forte stato in grado di opporsi alla crisi dell’Italia.
Morto però il padre del duca, papa Alessandro VI, la costruzione politica di Cesare Borgia (duca Valentino)
cadde rovinosamente senza l’appoggio del padre e venne addirittura eletto il suo peggiore nemico.
Nel 1511 avvenne lo scontro tra Francia, alleata con Firenze, e la Lega Santa. Nel 1512 i francesi sconfissero
gli spagnoli, ma furono a loro volta sconfitti dagli svizzeri; le truppe fiorentine furono sconfitte da quelle
pontificie, la Repubblica cadde, i Medici tornarono e Machiavelli fu licenziato da ogni incarico.
Si ritirò in esilio e si dedicò agli studi e alla scrittura del “Principe” nel 1513. Dedicò la sua opera a Lorenzo
de’ Medici per cercare di riavere qualche incarico, ma continuavano a guardarlo con diffidenza.
Nel 1527 i Medici vennero scacciati di nuovo e tornò la Repubblica, ma Machiavelli che sperava di riavere le
sue cariche venne guardato con sospetto per la sua vicinanza ai Medici. Si ammalò e morì nel 1527.
IL PRINCIPE
L’opera trattava di che cos’era un principato, come si acquista, come si mantiene e perché si perde, infatti il
vero titolo è “De Principatibus”, ovvero “sui principati”; è quindi un discorso sui principati e non sui
principi.
L’opera è datata al 1513, ma si ritiene che la dedica a Lorenzo sia stata fatta nel 1515, così come il capitolo
finale e ci sono delle teorie per cui non l’avrebbe composto lui, in quanto viene pubblicato postumo nel
1532, ma Machiavelli stesso in alcune lettere ne attesta la paternità.
È un’opera concisa scritta in 26 capitoli con i titoli in latino:
I. Esamina i vari tipi di principato e individua i mezzi per conquistarlo e mantenerlo.
II. Distinzione tra principati ereditari e principati nuovi
III. I principati nuovi possono essere misti o aggiunti come membri allo Stato ereditario
IV. I principati nuovi possono essere completamente nuovi
V. I principati nuovi possono essere completamente nuovi.
VI. I principati possono essere conquistati con virtù e armi proprie: è un metodo positivo per arrivare
al potere perché permette di radicare il potere. Con le armi proprie si ha il controllo della violenza e
chi la detiene ha il potere. La virtù del principe è la capacità di cogliere e leggere le situazioni e
imporre una trasformazione del potere. L’insistenza di Machiavelli su questi due concetti è data dal
fatto che il rinascimento è un’epoca lacerata dalla crisi in cui si rompe il legame con il passato e la
società non sa come interpretare la nuova realtà. In questo capitolo fornisce dei modelli di
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comportamento: bisogna imitare gli antichi perché i contemporanei non sono al loro livello; gli
antichi da imitare sono i fondatori di grandi stati: Mosè (stato ebraico), Romolo (Impero Romano),
Perseo (stato di Atene) e Ciro (regno persiano); e tutti prendono il potere in un momento di crisi
dello stato. Chi prende il potere con virtù e armi proprie farà molta fatica, ma una volta
conquistato, lo stato sarà solido perché è intervenuto su una situazione critica è ha potuto mettere
le fondamenta.
VII. I principati possono essere conquistati con fortuna e armi altrui (esempio del duca Valentino): si
prende facilmente perché le radici sono corte e al primo soffio di tempesta, questo cade. Chi
prende il potere in questo modo, deve cercare poi di trasformarsi nel principe del cap. VI e
Machiavelli prende come modello da seguire Valentino Borgia: inizia come cardinale perché
secondo genito, e quando il primo muore lui prende la carica politica. Lucrezia Borgia, sorella di
Valentino, viene usata come merce matrimoniale: i suoi due primi mariti vengono uccisi
probabilmente da Valentino, così come il primo genito, perché si contendevano la sorella.
Valentino vuole impadronirsi di Firenze perché il papa sta cercando di creare uno stato personale
all’interno dello Stato della Chiesa. È quindi un principe fortunato perché figlio di Borgia e prende il
potere con armi altrui perché gli alleati del papa sono i francesi e quando scendono in Italia lo
sostengono e gli fanno conquistare i primi stati. È una figura immorale che ragiona solo con la forza,
senza scrupoli e pone le basi del proprio potere superficialmente perché viene sconfitto in quanto
commette gravi errori politici.
VIII. Coloro che giungono al principato attraverso scaltrezze: differenza tra crudeltà bene e male usata
1. Crudeltà impiegata solo per assoluta necessità
2. Crudeltà che cresce nel tempo ed è compiuta a solo vantaggio del tiranno
IX. Principato civile: il principe riceve il potere dai cittadini
X. Come misurare le forze dei principati
XI. Principati ecclesiastici detenuti da un’autorità religiosa
XII-XIV. Problema delle milizie: l’esercito non doveva essere composto da mercenari che combattono per
soldi perché sono una delle cause della debolezza dell’Italia, ma da cittadini (armi proprie) perché questi
avrebbero lottato con valore per amore della patria.
XV-XXIII. Modi di comportarsi del principe con i sudditi e con gli amici.
XXIV. Cause per cui i principi italiani nel 1494 hanno perso i loro Stati: per ignavia dei principi, che nei
tempi quieti non si sono preparati.
XXV. Rapporto tra virtù e fortuna: capacità di porre argini alle variazioni della fortuna (paragone con il
fiume in piena). Contro di essa non si può fare nulla, ma si possono costruire degli argini per rallentarla, ma
a volte non esiste un modello di vita da seguire perché due persone che si comportano allo stesso modo
possono avere due destini completamente diversi. Il carattere non si può modificare e secondo Machiavelli
tramite la fortuna uno può nascere in un periodo che richiedere il carattere opposto a quello che ha
finendo così in modo tragico.
Secondo Machiavelli esistono due tipi di carattere con i quali si nasce:
Impetuoso: di chi aggredisce la vita
Rispettivo: che lascia che le cose si sviluppino e facciano il loro corso.
Il poeta ritiene anche che la fortuna regoli solo il 50% delle cose umane e l’altra metà la faccia regolare agli
uomini; si viene così a creare l’occasione: le doti del politico restano potenziali se non trova l’occasione
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giusta per affermarle e viceversa (capacità di previsione e di calcolo). L’uomo, e il politico, devono essere in
grado di adattare il proprio comportamento alle esigenze, ma quasi nessuno ci riesce quindi la fortuna
sfugge in ogni caso al pieno controllo dell’uomo.
XXVI. esortazione ad un nuovo principe che sappia porsi a capo dell’Italia e liberarla.
Il testo è bipartito:
1. La prima parte descrive le tipologie dei principati dal punto di vista istituzionale, e va dal cap. 1
al 11.
2. La seconda sezione è dedicata alle caratteristiche del principe ed è giocata sul ribaltamento
della morale comune: meglio essere temuto pietoso e non crudele, ma la pietà può essere
usata male perché il bene e il male sono strumenti. L’uomo è ridotto ad una dimensione
animalesca per via della tutela della casa e della donna; la paura è lo strumento fondamentale
del potere e per questo le armi proprie sono più potenti.
Nel Medio Evo esistevano già dei trattati che tracciavano le virtù che doveva possedere un principe e
venivano chiamati specula principis (specchi del principe).
Il poeta però non vuole elencare le virtù ideali, ma dare un mezzo al principe per consentirgli la conquista e
il mantenimento dello Stato e gli consiglia di essere anche crudele e mentitore quando le esigenze dello
Stato lo richiedono.
Per Machiavelli gli uomini sono malvagi e mossi solo dall’interesse materiale, per questo il principe non può
sempre seguire le virtù e lo immagina come un centauro: mezzo uomo e mezzo bestia.
I comportamenti moralmente malvagi, in politica sono buoni perché efficaci e produttivi, ma questi sono
adottabili solo dal politico e fa una differenza tra principe e tiranno:
Principe: opera a vantaggio dello stato anche con metodi riprovevoli
Tiranno: è crudele di necessità e opera solo per il suo bene
Solo lo Stato può guarire la malvagità dell’uomo attraverso la Repubblica: comunità il cui fine delle azioni è
il bene comune. Per inserire le virtù negli uomini non buoni c’è bisogno della religione, delle leggi e d