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Capua, Marzo 960
Il Placito Capuano è il primo documento in volgare risalente al 960 e segna la nascita
proprio di questa lingua, che risuta essere un ibrido tra una scrittura completamente
nuova (il volgare) ed il latino; la particolarità che subito salta all'occhio è la presenza
della lettera K, la quale sostituisce e rende più forte il suono "ch".
Annessi al Placito Capuano sono stati poi trovati altri tre placiti, che rappresentano tutti
insieme le quattro sentenze che il giudice di Capua emanò affinché fossero chiare a tutti,
anche a chi non conosceva il latino.
Il placito oggi è conservato nell'abbazia di Montecassino.
«Se pareba boves, alba pratàlia aràba
et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba»
(Traduzione: Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati e un bianco aratro teneva e
un nero seme seminava)
IX-X Secolo
L'indovinello veronese potrebbe rappresentare il primo documento di italiano in
volgare, tuttavia alcuni studiosi lo considerano anche un documento in latino anche se
presenta numerosi errori di grammatica latina.
L'indovinello si riferisce all'azione di un contadino ma metaforicamente questo sta ad
indicare l'azione dello scrivere (i buoi rappresentano le dita, i bianchi prati sono le
pagine bianche, il bianco aratro è invece la penna d'oca e il nero seme è l'inchiostro).
Particolarità:
- Presentazione di un latino maccheronico
- Caduta della T alla terza persona del verbo (parabat è diventato paraba)
- Trasformazione di alcuni termini (vedi niger divenuto negro).
Le prime forme di scrittura in versi
Le prime forme di scritture in versi risultano essere completamente diversi dai versi che
noi andiamo ad immaginare:
- Questi hanno delle strofe di lunghezza variabile (non si può parlare ancora di generi
o forme di poesia, come sonetti, ballate e canzoni)
- I versi non sono scritti uno a capo all'altro, bensì sono affiancati: questo molto
probabilmente è dovuto all'elevato prezzo della carta, che non bisognava sprecare
- I versi sono in ottonari e novenari (di solito siamo abituati all'endecasillabo)
- Non esiste la rima, ma prevalgono le assonanze (vedi anche il Cantico delle creature
di San Francesco).
- Metrica accentuativa, ovvero metrica basata sull'accento principale e non sul numero
di sillabe (tutti i versi hanno l'accento tonico sulla sillaba precedente, endecasillabo ha
l'accento tonico sulla decima sillaba, il novenario sull'ottava e così via).
I primi componimenti in Italia risalgono al XII secolo nelle regioni dell'Umbria e della
Toscana, senza dimenticare Cassino, sede di un'importante abbazia.
La cultura in quel periodo era in mano ai chierici i quali presto si trasformarono in
cantastorie e giullari, portando le loro storie da corte a corte per divertire i nobili o
addirittura da piazza a piazza, per divertire in generale il popolo.
I componimenti dei giullari e dei cantastorie sono chiamati Ritmi poiché non hanno una
struttura metrica precisa e prevale come figura di suono l'assonanza.
I ritmi sono anonimi, non databili e prendevano il nome dal luogo o dalla lingua
utilizzata.
Le storie dei ritmi dovevano accattivare il pubblico, ed ora riportiamo tre esempi di Ritmi
rinvenuti:
- Ritmo di Sant'Alessio: il ritmo di Sant'Alessio racconta la storia di un nobile che
abbandona i suoi beni dopo una folgorazione (la storia sembra anticipare il personaggio
di San Francesco).
- Ritmo Cassinese: è un ritmo che racconta un dialogo tra due monaci, un monaco
occidentale ed uno orientale e la loro conversazione si basa su come faccia il monaco
orientale a vivere e rinunciare ai beni terreni. Ricordiamo che la differenza tra un
monaco occidentale ed uno orientale riguarda principalmente la scelta di vita: i monaci
orientali vivevano una vita ascetica, priva di ogni bene, dedicando la vita alla preghiera
(San Francesco seguirà questo modello di vita); i monaci occidentali invece vivevano in
grandi monasteri, che risultavano essere potenze politiche ed economiche nel secolo
corrente.
- Ritmo Laurenziano: nel ritmo laurenziano il protagonista è un giullare che tramite
elogi e false promesse convince un vescovo a donargli un cavallo. A differenza dei ritmi
precedenti in questo ritroviamo alcuni francesismi, un accenno ai bestiari e soprattutto
un misto tra prosa e poesia.
La Poesia Goliardica
La poesia goliardica si definisce principalmente ai clerici vagantes, i quali erano degli
"studenti" girovaghi che giravano l'Europa alla ricerca delle lezioni che loro ritenevano
più adatte e utili da seguire; erano chiamati clerici ma non avevano preso i voti.
La poesia goliardica ha tre temi principali: la donna, la taverna ed il dado, considerati
simboli di trasgressione che bisognava associare alla vita di studenti girovaghi. La
goliardia infatti rappresenta la necessità di uno studente di affiancare ai suoi studi i vari
simboli della trasgressione (il bere, il gioco e le donne).
I clerici vagantes oltre ad esortare i tre temi già scritti ritenevano giusto criticare la
povertà che non permetteva di vivere la vita bella e piena di eccessi; ovviamente il
denaro viene esaltato poiché provoca il godimento dei beni terreni.
In Italia, anche se molto successivamente (si parla del XIII secolo) un importante erede
della poesia goliardica risultò essere Cecco Angiolieri (personaggio molto criticato dagli
scrittori romantici), esponente della poesia comico-realistica.
Lingua D'Oc e lingua D'Oil
In Francia la situazione linguistica non era uniforme e si ebbero due lingue diverse che
portarono a due produzioni letterarie completamente diverse:
-la lingua "d'oil" (da cui oui, in francese), parlata nel centro-nord della Francia;
-la lingua "d'oc", parlata nel centro-sud della Francia e utilizzata soprattutto dai poeti
trovatori.
Entrambe le parole significano il nostro "sì" e questa particolare differenza di pronuncia
portò a coniare i nomi in lingua d'oc e lingua d'oil.
In lingua d'oil sono attribuiti i testi delle chanson de geste (la più importante è la
chanson de Roland, composta da 4000 versi in endecasillabi suddivisi in laste (le nostre
strofe). La chanson de Roland si rifà alle gesta dei cavalieri del ciclo carolingio
(avventure che verranno riprese in Italia secoli dopo da Boiardo e Ariosto).
Altro testo che risulta scritto in lingua d'oil è il romanzo della rosa, anche se questo
sembra esser stato scritto da diversi autori che si sono tramandati l'eredità di questo
immenso libro (si data la composizione tra il 1200 e il 1270).
In questo romanzo sembrano essere anticipati elementi della letteratura cortese ed è
ricco di implicazioni sessuali e sensuali. Da questo romanzo inoltre sembra derivare un
testo italiano chiamato Fiore che però è anonimo anche se molti studiosi lo attribuiscono
oggi lo attribuiscono a Dante (l'attribuzionedi questo romanzo a Dante ha portato a
diversi conflitti di idee nei diversi secoli, ma la critica oggi sostiene che questo romanzo
possa essere attribuito al periodo giovanile della sua vita).
Altri testi in lingua d'oil sono diversi testi della zooepica che ricordano le favole di Esopo
e Fedro, nelle quali si ironizza contro il potere senza annoiare il lettore medio; i
protagonisti di questi racconti sono spesso volpi e lupi.
La lingua d'oc nasce invece nelle corti provenzali e sono creati testi cantati da autori
professionisti accompagnati e deliziati dai suoni della musica (poesia per musica).
Questi autori professionisti erano chiamati trovatori, poiché giocavano molto con le
figure retoriche e le figure di suono.
Questi erano nomadi che viaggiavano di corte in corte riciclando le loro storie ma
cambiando principalmente due cose: il senhal (a chi era dedicata l'opera, molto spesso
era una donna questo senhal) ed il finale.
In questi loro testi i trovatori raccontavano le pene d'amore che gli uomini subivano a
causa delle donne, poiché era soprattutto un amore adulterino.
Il teorizzatore di questo tipo di amore (chiamato Amor Cortese) è Andrea Cappellano, il
quale si rifà all'Ars Amandi di Ovidio, e paragona la lealtà dell'uomo per la donna a
quella del feudatario col cavaliere, il quale avrebbe potuto anche perdere la terra per il
proprio padrone.
I trovatori comunque non trattavano solo temi amorosi, ma talvolta si soffermavano
anche su temi di argomento quotidiano: tra i trovatori più famosi dell'Italia settentrionale
c'è Sordello da Goito, il quale adattò la lingua d'oc per i suoi componimenti.
Il De Amore di Cappellano
Il De Amore è un trattato suddiviso in tre libri, nei quali vengono indicati due dei temi
principali dell'amor cortese (ATTENZIONE A NON CONFONDERE CON L'AMORE
SPIRITUALE DI CUI SI PARLERA' NEI SECOLI SUCCESSIVI):
- Il vassallaggio tra uomo e donna nel rapporto d'amore e la subordinazione del
cavaliere alla dama;
- Il rapporto d'amore deve avvenire sempre fuori dal matrimonio.
L'amore descritto da Cappellano è un amore carnale che scatta alla visione della donna.
Nei primi due libri Andrea riteneva che l'amore coniugale fosse inferiore perché risentiva
dei doveri e delle responsabilità del matrimonio e perché diventava scontato per i due
amanti ma nel terzo libro Andrea critica e condanna ogni cedimento dovuto all'amore. I
suoi scritti ebbero grandissimo successo nella scuola siciliana, che li considererà come
una base.
Il Rapporto tra Feudatario e Padrone
Elenco brevemente diversi obblighi che avevano l'uno in confronto dell'altro:
- Il feudatario doveva combattere al servizio del padrone (molto spesso il padrone era un
re);
- Il feudatario doveva essere leale e fedele al proprio padrone;
- Il feudatario doveva procurarsi un cavallo ed un'armatura per difendere il proprio
signore;
- Il signore doveva offrire protezione al feudatario;
- La lealtà doveva stare alla base di tutto.
Grazie a questo si inizia a parlare della nascita della cavalleria, e l'esempio classico in
letteratura è la creazione della leggenda di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda.
Re Artù è il protagonista del ciclo bretone, scritti per la maggior parte di Chretien de
Troyes, e racconta le storie di Artù, Ginevra, Lancillotto e dei vari cavalieri e le storie si
basano sulla ricerca delle armature dei cavalieri, il Sacro Graahl (la coppa col sangue di
Cristo) e le diverse storie d'amore di cui va citata quella tra Ginevra (moglie di Artù) ed il
cavaliere Lancillotto (si può considerare uno di quei tipoi d'amore citati da Cappellano).