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Benché infatti io già mi contassi nel gregge di Proserpina e nella masnada di Orco, all’improvviso
haesi
me ne restai impalato ( ), meravigliato di fronte a una scena diversa, e non posso spiegare
con parole adatte il senso di quella straordinaria visione. Infatti i cadaveri di quegli assassini
iugulatorum hominum,
( “uomini assassini”) erano tre otri gonfi e colpiti da vari tagli e, per
quanto ricordavo del mio combattimento notturno, squarciati proprio in quei punti nei quali io avevo
colpiti i ladri.
Apuleio è un maestro nella tecnica del ritardo, perché continua a dire che è successo qualcosa di
straordinario ma non dice cosa, continua a rimandare. Alla fine finalmente lo dice introducendo il
discorso con nam. La cosa straordinaria è che lui è convinto di aver ucciso tre uomini e invece ha
colpito solamente tre sacchi. E quindi si capisce che la cosa straordinaria è che tutti sapevano che
il processo era una farsa perché non era morto nessuno. La prima metamorfosi che incontriamo
quindi non è una vera metamorfosi ma è una metamorfosi che sta nella conoscenza: Lucio era
convinto che per tutto il tempo del processo sotto quel telo ci fossero tre cadaveri e che quindi lui
sarebbe stato condannato a morte, e invece si scopre che non erano altro che tre otri.
Il perché di tutto questo viene spiegato nei capitoli successivi. I magistrati vanno da Lucio e gli
dicono che è un rito che ogni anno compiono in onore del dio Riso, che prevede la creazione di
uno straordinario scherzo.
Lezione 18 Il racconto di Fotide
Tutta la prima parte è fortemente contraddistinta dalla presenza della magia, che culminerà
prima con la trasformazione di Panfile in uccello, e poi soprattutto con quella di Lucio in asino. Il
tema della magia è quindi sicuramente dominante in questa prima parte: la metamorfosi è qui tutta
all’insegna della magia. Le manca del tutto il carattere miracolistico che c’era ad esempio in
Ovidio, in cui la metamorfosi era opera di un dio. Nella seconda parte invece avrà un carattere
spirituale e simbolico, dove la metamorfosi diventa manifestazione di una metamorfosi interiore.
Nei primi libri invece è puramente un atto di magia.
Vengono anche inserite novelle di magia, che hanno toni orrorifici. Già il racconto del processo
era in qualche modo inquietante. In fondo la metamorfosi è la rappresentazione dell’illusorietà del
reale e della precarietà della conoscenza umana: tutto ciò che si crede sia in un modo in realtà non
è necessariamente così. Anche la conoscenza razionale di Lucio in realtà è illusoria: lui credeva di
ricordare delle cose, invece era tutto una gigantesca farsa. È un’altra faccia della metamorfosi, che
dimostra il carattere illusorio delle realtà, uno crede di sapere e invece non sa.
L’episodio degli otri non finisce qui, perché Fotide deve rivelare un’altra verità, ossia come è
stato possibile che Lucio abbia scambiato tre otri per uomini. Dal punto di vista strutturale questo
racconto costituisce una narrazione di secondo livello, per conferire varìetas alla narrazione.
L’elemento delle narrazioni a incastro è importante perché lo ricava dalle narrazioni della favola
milesia, a cui Apuleio si richiama esplicitamente. Fotide allora racconta come quegli otri hanno
potuto animarsi e sembrare uomini.
C’è una prima sequenza in cui Apuleio mostra la sua scaltrita abilità nell’uso delle suspance,
perché Fotide continua a rimandare lo svelamento della realtà. Fotide insinua fin da subito un
elemento fondamentale del romanzo: la paura. Fotide ha paura a raccontare: ha paura che Lucio
si arrabbi, ma ha paura soprattutto della sua padrona: continua infatti a sottolineare quanto sia
crudele e malvagia. Quindi abbiamo un’atmosfera che non è superficiale e leggere come ci si
potrebbe aspettare da un romanzo di intrattenimento, ma un’atmosfera che ci inserisce in un clima
di paura. Par. 15
Sic illa laetitia recreata: 'Patere,' inquit 'oro, prius fores cubiculi diligenter
obcludam, ne sermonis elapsi profana petulantia committam grande flagitium', et
cum dicto pessulis iniectis et uncino firmiter immisso sic ad me reversa colloque
meo manibus ambabus inplexa voce tenui et admodum minuta: 'Paveo' inquit 'et
formido solide domus huius operta detegere et arcana dominae meae revelare
secreta. Sed melius de te doctrinaque tua praesumo, qui praeter generosam
natalium dignitatem praeter sublime ingenium sacris pluribus initiatus profecto
nosti sanctam silentii fidem.
Quaecumque itaque commisero huius religiosi pectoris tui penetralibus, semper
haec intra conseptum clausa custodias oro, et simplicitatem relationis meae
tenacitate taciturnitatis tuae remunerare. Nam me, quae sola mortalium noui,
amor is quo tibi teneor indicare compellit. Iam scies omnem domus nostrae
statum, iam scies erae meae miranda secreta, quibus obaudiunt manes, turbantur
sidera, coguntur numina, seruiunt elementa. Nec umquam magis artis huius
uiolentia nititur quam cum scitulae formulae iuuenem quempiam libenter aspexit,
quod quidem ei solet crebriter euenire. patere
Così lei, rianimata dalla gioia, disse: “Ti prego, prima lascia ( ) che chiuda per bene la
fores
porta ( ) della camera, affinché io non commetta un grave crimine lasciandomi scappare
elapsi petulantia
( ) queste parole con una leggerezza ( ) sacrilega”, e, detto (questo), mette il
pessulis
chiavistello ( ) e inserisce saldamente il gancio; poi si voilta verso di me e, passandomi le
braccia intorno al collo, a voce bassissima e quasi impercettibile dice: “Mi spavento, ho davvero
solide formido
( ) paura ( ) a svelare i segreti di questa casa e a rivelare i misteri oscuri della mia
padrone. Ma mi sono fatta un opinione troppo alta di te e della tua cultura, tu che, a parte
praeter
( ) il nobile rango della tua famiglia, a parte l’intelligenza fuori del comune, sei stato iniziato
profecto nosti
ai culti più vari e consci bene ( ) il sacro impegno del silenzio. Perciò qualunque
commisero penetralibus
cosa affiderò ( ) al tuo cuore di persona devota, come a un santuario ( ),
clausa conseptum
ti prego che tu lo custodisca sempre chiuso ( ) in quel rifugio ( ), e la costanza
del tuo silenzio ricambi la sincerità del mio racconto. Infatti è l’amore che mi lega a te che mi
iam scies
spinge a rivelarti cose che io sola al mondo conosco. Stai per scoprire ( ) tutta la
condizione della nostra casa, stai per scoprire gli straordinari segreti della mia padrona, ai quali
obbediscono i Mani (dai quali) sono sconvolti i cicli astrali, sono costrette le forze degli dei e che
servono gli elementi. La violenza di quest’arte magica non si esprime mai in modo così forte come
scitulae
quando lei apprezza (“si è imbattuta volentieri in”) un qualche giovante di nota bellezza (
formulae ), cosa che di certo suole accaderle frequentemente.
Iam scies omnem domus nostrae statum, iam scies erae meae miranda secreta,
quibus obaudiunt manes, turbantur sidera, coguntur numina, serviunt elementa.
iam scies
Stai per scoprire ( ) tutta la condizione della nostra casa, stai per scoprire gli
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straordinari segreti della mia padrona, ai quali obbediscono i Mani (dai quali) sono sconvolti i cicli
astrali, sono costrette le forze degli dei e che servono gli elementi.
Fotide si decide a raccontare, ma pretende la promessa di tacere. Questo è molto interessante,
è tipico dei culti misterici, per cui si conoscono delle verità che non si devono rivelare. Le
metamorfosi in questo senso si possono leggere in due modi: o prendere i primi dieci libri come un
romanzo divertente fine a sé stesso e l’undicesimo come il rivelamento del culto di Iside; oppure,
essendo consapevoli di ciò che accadrà nell’undicesimo libro, si può a ritroso ricercare negli altri gli
indizi e le chiavi di lettura di un percorso iniziatico: è questa la lettura giusta, anche se
evidentemente alla prima lettura è impossibile rendersene conto. Anche qui il modo in cui Fotide
usa chiaramente formule e modi di parlare solenni che rimandano ai culti iniziatici: forse esagerata
considerando la rivelazione in sé, ma adeguata invece se si intenda appunto nel senso del culto
misterico.
Questo marcato anche dalla presenza di molte figure retoriche, prima di tutto l’anafora iam scies
(“già saprai”; iam non è necessario, è puramente retorico, e infatti non si traduce). Vengono
solennemente elencati quattro elementi sottoposti alla magia, anche in climax dal meno potente al
più potente: oltre alle anime infere, tradizionalmente sottomessi alla magia, a questa maga
obbediscono poi gli stessi dei e perfino gli elementi. Si ha quindi un discorso all’insegna
dell’esagerazione.
Nec umquam magis artis huius violentia nititur quam cum scitulae formulae
iuvenem quempiam libenter aspexit, quod quidem ei solet crebriter evenire.
La violenza di quest’arte magica non si esprime mai in modo così forte come quando lei
scitulae formulae
apprezza (“si è imbattuta volentieri in”) un qualche giovante di nota bellezza ( ),
cosa che di certo suole accaderle frequentemente.
Questa magia si presenta subito come una magia negativa, Panfile è una maga cattiva. Nel
descriverla quindi vengono impiegati termini negativi.
La serva ironizza sulla facilità con cui Panfile è attratta dagli uomini; è questo un altro topos, per
cui la maga è moglie infedele (Panfile è moglie di Milone, ospite di Lucio). La figura della donna
infedele è una figura tipicamente novellistica che torna più volte nel corso del romanzo: in
particolare nel libro 9, in cui c’è una serie di storie incentrate sull’infedeltà.
Ci sono elementi che rimandano alla favola, prima di tutto l’uso degli aggettivi indefiniti:
quempiam, “qualche”: come nelle storie, in cui arriva un principe azzurro non meglio identificato.
Par. 16
3 Le anime infere dei morti.
Nunc etiam adulescentem quendam Boeotium summe decorum efflictim deperit
totasque artis manus machinas omnes ardenter exercet. Audiui uesperi, meis his,
inquam, auribus audiui, quod non celerius sol caelo ruisset noctique ad exercendas
inlecebras magiae maturius cessisset, ipsi soli nubilam caliginem et perpetuas
tenebras comminantem. Hunc iuuenem, cum e balneis rediret ipsa, tonstrinae
residentem hesterna die forte conspexit ac me capillos eius, qui iam caede
cultrorum desecti humi iacebant, clanculo praecipit auferre. Quos me sedulo
furtimque colligentem tonsor inuenit, et quod alioquin publicitus maleficae
disciplinae perinfames sumus, adreptam in