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Anche nell’episodio di Achille, quando Teti viene a consolarlo, Omero inserisce un elenco
di tutte le ninfe che lo accompagnano, che sono trentatré. Virgilio qui ne inserisce solo
tredici, rispettando il canone della brevitas tipico di età ellenistica e augustea.
Come si vede dal primo verso, il pianto di Aristeo arriva indistinto a Cirene, che si trova
sott’acqua, e infatti non è ancora un pianto ma solo un suono.
Interessante il fatto che le ninfe vengano rappresentate tutte insieme intente a filare la
lana, e una di esse racconterà una storia. Il fatto di filare la lana era l’occupazione per
eccellenza della donna romana, e tutta la letteratura è piena di scene di donne che filano
la lana insieme alle loro ancelle. Il filare la lana era visto come un valore ideale della
donna romana, al punto che spesso nelle epigrafi funerarie venivano celebrate proprio per
la loro abilità nel filarla. La lana che filano le ninfe, poi, non può che essere verde,
riflettendo i toni marini.
Lezione 26
L’elenco delle ninfe rappresenta il corteo di Cirene, alla quale Aristeo si rivolge in preda
al lutto. La presenza di simili elenchi è una costante nei poemi epici, e la sua presenza
costituisce quindi un innalzamento del tono del testo. Mentre però nell’epos arcaico il
catalogo è spesso molto monotono e ha dimensioni molto ampie, in quello alessandrino è
molto più ridotto e caratterizzato da varietà.
L’ultima ninfa citata è Climene, alla quale viene dato il compito di allietare le altre
raccontando una storia.
345 inter quàs curàm Clymenè narràbat inànem
Volcanì, Martìsque dolòs et dùlcia fùrta,
aque [=a+que] Chaò densòs divùm numeràbat amòres.
(tra di loro Climene raccontava la vana preoccupazione
di Vulcano, gli inganni di Marte e i dolci furti,
e elencava i numerosi amori degli dèi dal Chaos)
Questi versi sono caratterizzati dall’amore. C’è comunque un elemento di catalogazione,
quando Climene dice che elencava gli amori degli dei fin dal Caos.
carmine quà captaè dum fusis mòllia pènsa
deuoluùnt, iterùm matèrnas ìmpulit àuris
350 luctus Arìstaeì, uitreìsque sedilìbus òmnes
obstipuère; sed ànte aliàs Arethùsa soròres
prospicièns summà flauùm caput èxtulit ùnda,
(mentre, catturate dal canto, fanno scendere dai fusi
pènsa),
i morbidi pesi (mòllia per la seconda volta il dolore di Aristeo colpì
le orecchie della madre, e tutte sui loro scranni di vetro
rimasero in silenzio; ma prima delle altre sorelle Aretusa
sollevò il biondo capo guardando al di sopra dell’onda)
Recitare un carmen è utile per far passare il tempo in un lavoro molto noioso quale è
quello della filatura della lana.
et procul: 'ò gemitù non frùstra extèrrita tànto,
6
Cyrenè soror, ìpse tibi , tùa màxima cùra,
355 tristis Arìstaeùs Peneì genitòris ad ùndam
stat lacrimàns, et tè crudèlem nòmine dìcit.'
(e di lassù: “sorella Cirene, tu che sei spaventata non invano
dai un così forte lamento, lo stesso Aristeo, tua massima preoccupazione,
se ne sta in lacrime triste presso le correnti di tuo padre Peneo,
e ti dice crudele di nome”)
Dice che non si lamenta per niente se lo fa per Aristeo.
6 Rafforzativo, dativo etico. 7
huic percùssa nouà mentèm formìdine màter
'duc, age, dùc ad nòs; fas ìlli lìmina dìuum
tangere' ait. sìmul àlta iùbet discèdere làte
360 flumina, quà iuuenìs gressùs infèrret. at ìllum
curuata ìn montìs facièm circùmstetit ùnda
accepìtque sinù uastò misìtque sub àmnem.
(a lei (huic) la madre, colpita nell’animo da una nuova paura,
disse: “Forza, portalo da me; a lui è lecito superare i confini
degli dei”. Subito ordina che le acque profonde si aprano (“si allontanino
ampiamente”),
attraverso cui il giovane portasse dentro (infèrret) i suoi passi. E allora l’acqua,
curva alla maniera di un monte, lo circonda
e lo accoglie nel suo vasto seno e lo manda sotto l’acqua)
Cirene non si degna di salire ma chiede che gli venga portato Aristeo sott’acqua. È
estremamente significativo questo particolare: nell’Iliade ad esempio era stata Teti a salire
a consolare il figlio Achille. Da un punto di vista simbolico, quando Aristeo intraprende il
viaggio di discesa nelle acque, questo viaggio assume quasi i tratti di catabasi (viaggio
negli inferi). C’è una forte affinità tra il mondo degli inferi e il mondo subacqueo: secondo
una tradizione che Virgilio rispecchia i fiumi che ci sono sulla terra sono solo la parte in
superficie di una massa di acque che si trova negli inferi. Non solo nell’Ade ci sono una
serie di fiumi, ma addirittura il Tartaro (dove ci sono i grandi dannati) sarebbe una sorta di
bacino di tutte le acque del mondo. Quindi non c’è in realtà nessuna differenza fra lo
scendere nelle acque o scendere nell’Ade. Questo ovviamente è fondamentale per
instaurare un parallelismo fra questo episodio e l’epillio di Orfeo. Il percorso di Aristeo è
quindi in qualche modo parallelo a quello di Orfeo. Al tempo stesso il fatto del scendere in
una dimensione sotterranea preclusa all’uomo è un elemento fondamentale per
presentare il carattere divino di Aristeo. Già nel primo verso di questo epillio infatti Aristeo
veniva presentato come deus. Ma Virgilio non rappresenta Aristeo come un dio, e anche il
fatto he egli sia incapace di difendere il proprio alveare d’altra parte esprime una
dimensione del tutto umana. Quindi in realtà superare questi confini ultraterreni è un primo
modo di presentare Aristeo come dio: essere dio è esattamente questo, andare oltre una
dimensione che agli uomini è precluso, quello che per gli uomini sarebbe un atto di hybris.
Si vedano ad esempio le 12 fatiche di Ercole, che sono in effetti un itinerario verso il suo
diventare dio: molte di esse hanno il carattere di un superamento di limiti preclusi all’uomo;
il dio fa quello che per l’uomo è hybris. Questo viaggio quindi è una sorta di viaggio
iniziatico.
7 Accusativo alla greca.
Il limen deve essere fas, cioè il limite deve essere lecito: ciò che sarebbe hybris per gli
uomini è conferma della natura divina per Aristeo.
iamque domùm miràns genetrìcis et ùmida règna
speluncìsque lacùs clausòs lucùsque sonàntis
365 ibat, et ìngentì motù stupefàctus aquàrum
omnia sùb magnà labèntia flùmina tèrra
spectabàt diuèrsa locìs, Phasìmque Lycùmque,
et caput ùnde altùs primùm s(e) erùmpit Enìpeus,
unde patèr Tiberìnus et ùnde Anièna fluènta
370 saxosùsque sonàns Hypanìs Mysùsque Caìcus
et gemin(a) àuratùs taurìno còrnua uùltu
Eridanùs, quo nòn aliùs per pìnguia cùlta
in mare pùrpureùm uiolèntior èffluit àmnis.
(e già andava ammirando la dimora della madre e i regni delle acque (“gli umidi
regni”),
e i laghi chiusi da caverne e le selve sonanti,
e, stupefatto dall’impetuoso movimento delle acque,
guardava tutti i fiumi che scorrevano
sotto la grande terra per luoghi diversi: il Fasi e il Lico,
e la sorgente da dove inizialmente sgorga il profondo Eripeo,
8
e da dove il padre Tevere, e da dove le correnti dell’Aniene
e l’Ipani risonante fra le rocce e il Caico della Misia
cornua)
e l’Eridano, con entrambe le corna (gemina dorate (“dorato nelle corna
gemelle”)
e con il capo di toro, del quale nessun altro fiume sgorga più violentemente
nel mare purpureo attraverso campi fertili)
Il periodo è molto lungo, ma dal punto di vista sintattico è molto semplice. È molto lungo
perché in esso, in cui viene descritto lo stupore di Aristeo di fronte a questo mondo
inaspettato, si inserisce un nuovo elenco.
I primi versi sono tutti caratterizzati dalla fortissima ricorrenza di termini che indicano lo
stupore di Aristeo. Esprime il salto molto netto fra l’esperienza del mondo terreno e quello
8 Affluente del Tevere
ultraterreno. Lo stupore si concretizza nella descrizione di un elenco di fiumi. I fiumi
elencati sono sia orientali che italici.
Il v. 364 è caratterizzato dall’evidente allitterazione in “s”. Nell’antichità classica la “s”
descriveva il suono dei fiumi.
Il fatto che i fiumi vengano collegati al toro forse è dovuto al fatto che il rumore dello
scorrere del fiume è simile al verso del toro. Esistono d’altra parte attestazioni di fiumi
divinizzati in tori. Anche nelle Metamorfosi di Ovidio c’è un fiume che si trasforma in toro.
L’Eridano è molto importante per Virgilio, e infatti occupa tre versi, quasi come gli altri
fiumi che descrive.
postqu(am) èst in thalamì pendèntia pùmice tècta
375 peruent(um) èt natì fletùs cognòuit inànis
Cyrenè, manibùs liquidòs dant òrdine fòntis
germanaè, tonsìsque ferùnt mantèlia uìllis;
pars epulìs onerànt mensàs et plèna repònunt
pocula, Pànchaeìs adolèscunt ìgnibus àrae.
est, thalami)
(dopo che giunse (perventum “si è giunti”) nella stanza (in i cui tetti
pumice),
(sono) di pomice pendente (pendentia
e che Cirene fu venuta a conoscenza dei (motivi dei) vani pianti del figlio,
le sorelle (germanae) in bell’ordine versano (dant) limpide acque sulle mani,
e pongono dei tovaglioli di lana rasata;
alcune (pars) caricano le mense di cibi e offrono coppe piene,
gli altari ardono di fuochi panchei)
Il primo verso dal punto di vista grammaticale è molto complesso. Est si collega a
perventum
La stanza di Cirene è un antro dentro una roccia; la pomice pendente probabilmente si
riferisce alle stalattiti e stalagmiti.
C’è il tema