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D→M→D’,
denaro finale di maggiore entità. Quindi il processo di circolazione diventa
dove D’= D + ΔD, quindi alla fine del processo otteniamo il denaro anticipato più un
incremento. Ecco che per tali ragioni l’autore parla di trasformazione del denaro in
capitale: dove D’ = D + AD, cioè la somma
La forma completa di questo processo è perciò D-M-D’,
di denaro inizialmente anticipata più un incremento. Questo incremento, cioè questa
—
eccedenza sul valore originario, io lo chiamo plusvalore (surplus value). Dunque, il
valore inizialmente anticipato non solo si conserva nella circolazione, ma modifica in essa
la propria grandezza di valore, le aggiunge un plusvalore, cioè si valorizza. È questo
movimento lo trasforma in capitale. 15
Secondo Marx il modo in cui il capitalista riesce ad ottenere questo continuo incremento
del denaro iniziale, trasformandolo in capitale, è dato dall’estrazione di plusvalore.
Analiticamente possiamo definire che:
valore totale della merce = c + v + p
dove: è il valore delle materie prime impiegate e dell’ammortamento del
c = capitale costante,
capitale fisso (impianti e macchinari) impiegati nella produzione.
v = capitale variabile, è il valore dei salari dei lavoratori impiegati nella produzione;
secondo Marx questo è pari al salario di sussistenza e cioè ad un valore che consenta ai
lavoratori di riprodurre la forza-lavoro.
è l’eccedenza del valore di una merce sul capitale fisso e
p = plusvalore o surplus,
variabile impiegato.
Secondo l’autore il valore di una merce è dato dalla quantità di lavoro socialmente
necessaria per la sua produzione e cioè dal tempo di lavoro socialmente necessario per
fornirle un valore d’uso. Il punto è che solo una parte di questo valore va ai lavoratori,
sotto forma di salario, che hanno concorso alla produzione e di conseguenza si genera un
plusvalore che viene appropriato dai capitalisti. In tal modo, ed in estrema sintesi, opera
la teoria del plusvalore che secondo Marx è la prova dello sfruttamento della classe dei
capitalisti su quella dei lavoratori.
Questa relazione può essere estesa anche al sistema economico nel suo complesso:
prodotto nazionale lordo = C + V + P
dove C, V e P sono i valori aggregati di capitale costante, capitale variabile e plusvalore
In tal modo concludiamo l’analisi di Marx sperando di aver fatto emergere
complessivo.
gli elementi più significativi per il tema che tale lavoro ha ad oggetto.
1.3 La teoria classica delle forme di mercato.
Nel paragrafo precedente abbiamo considerato alcuni punti, che a mio parere,
imprescindibile su cui sviluppare l’analisi del mercato
rappresentano la base concettuale
e delle sue forme. Gli economisti classici considerati ci forniscono degli elementi di base,
che hanno sviluppato guardando l’economia di quel periodo storico, che sono stati poi
utilizzati anche dai teorici neoclassici. Dai tre ho cercato di prendere solo alcuni dei
principi, tra i tanti che hanno fatto emergere nelle loro opere, che ci aiuteranno nel
16
comprendere i meccanismi di mercato. Ora passiamo all’analisi delle forme di mercato
secondo la teoria classica. Gli economisti classici considerano un mercato concorrenziale
la situazione in cui non esistono ostacoli, di alcun tipo, alla libera circolazione di capitale
e lavoro da un settore all’altro ed in tal caso si parla di libera concorrenza. Quando invece
l’ingresso di nuove imprese sul mercato è impossibile, a causa di ostacoli di varia natura,
allora si ha una situazione di monopolio. Altro caso è quello del cartello monopolistico
che si presenta quando sul mercato operano più imprese che attraverso accordi collusivi
si dividono il mercato impedendo l’ingresso di nuove imprese e dividendosi le quantità
da collocare sul mercato ad un prezzo stabilito. La situazione intermedia tra i casi estremi
di concorrenza e monopolio è quella della concorrenza imperfetta o di oligopolio, che si
verifica quando esistono degli ostacoli all’ingresso ma sono superabili.
Volendo approfondire l’analisi di un mercato concorrenziale prendiamo in
considerazione un’impresa, già operante all’interno del mercato, che è dotata di una certa
11
capacità produttiva massima pari a Q ed una capacità produttiva normale pari a Q .
max n
La struttura dei costi è così composta:
rappresentano i costi sostenuti per dotare l’impresa dei
Costi fissi totali (CF=K);
fattori produttivi a fecondità ripetuta e cioè di impianti, macchinari e attrezzature.
Tali costi sono considerati fissi in quanto non variano entro un certo intervallo
produttivo molto ampio.
Costi fissi unitari (CFU=K/q); derivano dal rapporto tra i costi fissi totali e le
quantità prodotte e diminuisco all’aumentare di tale quantità.
Costi variabili totali (CVT=CVU*q); sono dati dal prodotto dei costi variabili
unitari per le quantità prodotte.
sono i costi che l’impresa deve sostenere per l’acquisto del
Costi variabili (CV);
capitale circolante che comprende energia, materie prime e lavoro. Essi variano
in proporzione alla quantità prodotta. In tal caso è da evidenziare una differenza
rispetto alla visione neoclassica in quanto qui si considera che tali costi sono
costanti per ogni unità prodotta e quindi pari al costo marginale (MC).
11 La capacità produttiva dipende dal grado di utilizzo degli impianti e dalla loro efficienza. Di norma al
variare del grado di utilizzo degli impianti varia la quantità prodotta. Da un lato converrebbe alle imprese
di utilizzare al massimo la propria capacità produttiva per ridurre al massimo il costo fisso unitario e
dall’altro tendono a riservarsi una capacità inutilizzata per far fronte ad eventuali attacchi competitivi o
picchi di domanda. 17
Costo marginale (MC); è il costo che bisogna sostenere per produrre una unità
aggiuntiva di prodotto. In tal caso coincide con il costo variabile unitari ed è
costante.
Costo medio (AC=CT/q); è dato dal costo totale diviso le quantità prodotte.
Costo totale (CT=CF+CV oppure CT=AC*q); rappresenta il costo totale
sostenuto dall’impresa per realizzare una certa quantità di prodotto.
A ciò aggiungiamo elementi utili ai fini della nostra analisi:
Prezzo (p): è il controvalore in denaro che il consumatore deve corrispondere
all’impresa per l’acquisto di un bene o una prestazione di servizio.
Ricavo totale (RT=p*q); è dato dal prodotto del prezzo per le quantità prodotte.
Ricavo unitario (RU=p); che è pari al prezzo unitario.
rappresenta il ricavo che l’impresa ottiene in seguito alla
Ricavo marginale (RM);
produzione e vendita di una unità aggiuntiva di prodotto.
Profitto (π=RT-CT); è dato dalla differenza tra ricavi totali e costi totali.
= π/C
Saggio di profitto (Sπ ; dove C corrisponde ai costi totali che nel nostro
a a
caso vengono intesi come il capitale anticipato ed investito dall’impresa); che
il rendimento del capitale anticipato dall’impresa.
rappresenta
Data questa struttura possiamo verificare graficamente, attraverso il break-even point,
l’effetto del diverso grado di utilizzo degli impianti per l’impresa. Ponendo sull’asse delle
ordinate i costi totali, costi fissi e ricavi totali e su quello delle ascisse la quantità prodotta
a cui corrisponderà un diverso grado di utilizzo degli impianti. I costi fissi sono costanti
entro un certo intervallo produttivo il cui estremo massimo è dato dalla quantità Q , i
max
e l’inclinazione è pari al costo variabile.
costi totali sono crescenti I ricavi totali sono
crescenti e l’inclinazione è pari al prezzo che ipotizziamo sia costante. Ad un livello di
l’impresa sarà in perdita in quanto i costi totali
produzione minore della quantità Q bep
sono maggiori dei ricavi totali e quindi avrà convenienza a produrre di più vista la
disponibilità di capacità produttiva. Ad un livello di produzione pari alla quantità Q bep
l’impresa è in pareggio e non l’impresa
realizza profitti. Ad un livello di produzione Q n
realizzerà un profitto pari all’area Bep-A-B, se invece utilizzasse completamente la
l’area dei profitti sarebbe più estesa e pari
propria capacità produttiva con la quantità Q max
al triangolo Bep-RT-CT. 18
F 2
IGURA
Quindi considerando questa struttura di costi e ricavi e le ipotesi sul loro andamento il
bep ci aiuta a comprendere l’effetto del diverso grado di utilizzo degli impianti sulla
redditività dell’impresa. Ora invece analizziamo cosa accade nell’industria ipotizzando
e la situazione specifica dell’impresa
che la forma di mercato sia quella concorrenziale
sia rappresentabile dal seguente grafico.
F 3
IGURA
Considerando che il costo medio (AC) abbia un andamento decrescente ed il costo
marginale (MC) e quello variabile unitario (CVU) siano costanti ed uguali, quando
l’impresa produce la quantità normale Q , ad un prezzo p , riesce ad ottenere un profitto.
n n
Infatti i ricavi totali sono pari all’area p –A-Q ed i costi totali corrispondono all’area
-0
n n
quindi per differenza il profitto totale è pari all’area p
C-B-Q -0, -A-B-C. A tal punto nel
n n 19
breve periodo è possibile che le imprese operanti nelle diverse industrie del sistema
economico realizzano profitti bassi, alti o uguali a quello medio del sistema nel suo
complesso. La valutazione viene effettuata non sul profitto in valore assoluto (π) ma sul
saggio di profitto conseguito dall’impresa (Sπ) rispetto a quello medio del sistema
che indichiamo con Sπ
economico .
se
Vediamo ora il meccanismo concorrenziale che governa il mercato in oggetto:
Se nel settore considerato il saggio di profitto è minore di quello del sistema
< Sπ
economico (Sπ ) allora ciò innescherà un deflusso di capitali verso altri
se
settori più redditizi. Di conseguenza nel lungo periodo gli impianti si
deterioreranno e la capacità produttiva diminuirà comportando una riduzione della
(p↑)
quantità prodotta e collocata sul mercato. Il prezzo aumenterà fintantoché il
aumentando (Sπ↑),
saggio di profitto del settore, si allineerà con quello del sistema
realizzando l’uguaglianza Sπ = Sπ
economico .
se
Se nel settor