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Ridolfo, titolare del caffè, ha un’idea nuova di far incontrare le persone e si

contrappone alla denuncia degli individui della società che perpetuano i demeriti della

società in personaggi come Pandolfo, Eugenio, Leandro, Flaminio. Con tale

contrapposizione Goldoni invita lo spettatore a confrontarsi con il personaggio nella

necessità di far scaturire riflessioni che possano fondare la nuova società borghese. La

portata pedagogica di una commedia come quella della Bottega del Caffè mostrava

quello che doveva essere il trend di una società: da un lato fa vedere quella che è la

realtà e dall’altro indica delle prospettive per far sì che vi sia una società migliore. Uno

spettatore del Settecento, vedendosi rappresentato, si sente ammonito e stimolato

verso la riconsiderazione dei propri valori.

Quella del Settecento non era una società statica come quella Medievale, dove i poteri

erano già stabiliti e non avevano possibilità di evoluzione, ma di una società in

fermento. La mutevolezza e la metamorfosi di alcune realtà sociali è caratteristica

comune e ricorrente durante tutto il Settecento: questo atteggiamento della

mutevolezza Goldoni lo rappresenta attraverso il personaggio di Eugenio, un

giovane e brillante aristocratico che vive di vizi e di amoralità, aspetti dovuti alla tipica

noia degli aristocratici, oltre che ad una questione di rappresentanza: la dedizione al

gioco d’azzardo era un fenomeno contemporaneo tipico del costume veneto del

Settecento e a tal proposito Goldoni afferma che il Giocatore gioca per arricchirsi con

poca fatica e senza merito. Ridolfo, il Pantalone della commedi dell’arte, è un onesto

bottegaio, di buon cuore e di buon giudizio che assume il ruolo del voce della

coscienza sana della società e il ruolo di chi ricorderà a Eugenio quella che è la sua

opportunità e l’opportunità di un’intera classe sociale. L’intellettuale Goldoni dice ad

Eugenio, e quindi all’aristocrazia, che se continua a perpetuare queste forme rimarrà

fuori dalla nuova vita e il nuovo mondo e pone il principio morale. Dunque, Eugenio

traduce i tratti tipici dei numerosi giocatori che affollano le scene goldoniane: fin dalla

sua prima apparizione egli manifesta i sintomi di un disordine mentale: chiede l’ora,

ordina con impazienza il caffè e lo rimanda più volte indietro sdegnandosi con il

caffettiere per non essere servito. Alla fine Eugenio comprende che è un peccato non

partecipare alla vitalità che esprime la nuova classe e non inserirsi in un contesto

prolifero e gratificante e lo comprende a seguito degli ammonimenti morale di Ridolfo.

Goldoni esorta gli aristocratici a non dissipare il loro patrimonio per cercare di

accumularne altro, perché la società si costruisce con l’operosità, mentre il profitto

ricavato dal gioco non è un profitto sano perché è immeritato. Goldoni ricorda ai nuovi

individui della società che bisogna saper fare le scelte giuste, riuscendo a contare per i

propri meriti e le proprie capacità. Inoltre, proprio grazie a Ridolfo alla fine il corpo

sociale ritrova un equilibrio: Eugenio si reintegra nel suo ambiente sociale, Flaminio

viene ricongiunto a Placida, Don Marzio viene mandato via da Venezia e Lisaura può

rimanere in città per i suoi buoni propositi.

Don Marzio è, invece, uno dei personaggi più viziosi all’interno della commedia e

assolve il ruolo di coprotagonista. Don Marzio era un nobilastro napoletano e i suoi

sotterfugi rappresentano quello che di fatto era un pregiudizio sui napoletani. Goldoni

non ebbe grandi rapporti con Napoli e non ci sono testimonianze dirette che vi sia

stato, ma in seguito ad un pregiudizio storico che ha Napoli, questa città è nota come

città amorale, dove si sviluppano traffici spesso di natura illegale. Don Marzio è un

personaggio dedito alla maldicenza, che imbastisce situazioni per nulla veritiere pur di

esaltare o affossare altri personaggi. Egli ha una particolarità, ossia il suo occhialetto,

un artificio scenico di straordinario effetto usa per osservare meglio ciò che accade,

ma proprio guardando attraverso questo occhialetto Don Marzio deforma la realtà e la

rielabora mistificandola. Ovviamente ciò che deforma la realtà non è la lente, ma la

sua immaginazione. Don Marzio va in giro per la piazzetta a giudicare tutto e tutti

credendo di aver sempre ragione e di aver inteso ogni cosa senza mai udire

abbastanza e cava l’occhialetto come emblema di curiosità e menzogna (Eugenio con

una pellegrina!), incentivo al pettegolezzo, alle tensioni (assiste al bisticcio finale tra

Placida e Lisaura) e come strumento di denigrazione o di beffa. Don Marzio non è solo

la rappresentazione scenica di un personaggio particolare, ma attraverso la sua

rappresentazione si ha l’occasione di fare una riflessione ulteriore: nella scrittura

goldoniana un personaggio come Don Marzio crea una funzione in quel personaggio,

una funzione che ha un significante ulteriore. Questo criterio, che vale per Don Marzio,

è applicabile a tutti i personaggi goldoniani, i quali sono inseriti come funzioni

all’interno di un processo di riflessione sulla società nuova. Un aspetto interessante è

quello dell’utilità del personaggio negativo nelle rappresentazioni goldoniane: il bene e

il male coesistono in una società e Goldoni, non avrebbe potuto argomentare in

maniera così compiuta la sua riflessione sul bene senza rappresentare i personaggi del

male, perché questi permettono di evidenziare la contrapposizione e di valorizzare i

personaggi positivi. L’aspirazione alla bellezza nella riflessione di Goldoni non è il

tratto estetico, ma è la bellezza d’animo, la possibilità di vivere di cose belle ed è

frutto di un processo che porta a scelte interiori. Quelle di Goldoni sono definite anche

commedie di carattere: una commedia è di carattere quando ci si trova di fronte a un

personaggio che è stato talmente definito e caratterizzato che assomiglia più ad una

maschera che a una persona e infatti viene evidenziato il tipo di personaggio più che il

personaggio stesso.

Il concetto della funzione e finzione in Goldoni, quindi l’uso artato delle maschere che

lui riprendeva dalla commedia dell’arte, acquisisce in Goldoni il valore funzionale che

poi confluirà nelle sue commedie, molto più vicine alle commedie antiche di

Machiavelli e Ariosto rispetto alla commedia dell’arte, ma con alcuni elementi dalla

commedia dell’arte, come la maschera e il travestimento, che sono presenti anche in

alcune commedie tradizionali di Plauto, e che Goldoni riprende nel loro significato più

profondo per trasferirlo nelle sue commedie, come nella Bottega del Caffe dove si

ritrovano una serie di personaggi travestiti, dove il travestimento non è solo un dato

esteriore, ad esempio Placida che si traveste in Pellegrina o il marito Flaminio che si

traveste nel conte Leandro, ma anche un travestimento psicologico, che si rintraccia

attraverso elementi apparentemente secondari, ma di fatto funzionali al travestimento

e quindi all’occultamento della vera identità, come ad esempio l’occhialetto di Don

Marzio, che diventa elemento del travestimento dell’identità. Goldoni, avendo colto i

veri tratti della commedia dell’arte, ne trasferisce i valori semantici e il potenziale del

significante. Anche il linguaggio dei personaggi diventa funzionale, perché attraverso

la funzione del linguaggio si comprende la natura funzionale del personaggio

all’interno dell’azione, per esempio Ridolfo, non potrebbe che parlare in maniera

corretta e pagata dato che ciò corrisponde al profilo morale di Ridolfo, come Eugenio

ha un tono confuso, Don Marzio usa un vocabolario ironico, Pandolfo usa espressioni

equivoche.

Goldoni utilizza come veicolo il teatro per inserirsi in una riflessione molto più ampia

che riguarda l’intera società e in modo particolare la borghesia nascente. La riflessione

è una riflessione intellettuale altra, alla stregua di quella proposta da Muratori, da

Toscanini, da Gozzi, intellettuali settecenteschi che, in vario modo, partecipavano alla

discussione sulla forma nuova che doveva sumere la società. Non si possono deprivare

l’arte e il prodotto letterario di Goldoni dalla portata fortemente etico-morale e dalla

riflessione intorno alle nuove classi sociali. La straordinaria disquisizione sulla società

italiana di quegli anni non è un fatto che riguarda soltanto l’Italia, la grande riflessione

che crea l’illuminismo settecentesco arriva in Italia, ma è di matrice soprattutto

Francese e Inglese (la rivoluzione industriale è tipicamente inglese), quindi quell’area

Europea piena che coinvolgerà anche la Germania, da cui prendono le mosse idee

nuove sulla società nuova, porta Goldoni ad aprirsi ad una riflessione non solo italiana,

e in particolare veneziana, ma europea, tant’è vero che egli visse anche a Parigi,

soprattutto la seconda fase della sua vita, dove ebbe occasione di conoscere le grandi

riflessioni che si producevano a Parigi, di Diderot, Voltaire. Goldoni si affianca più a

Diderot che a Voltaire, per la concezione dell’antichità, dell’arte, della funzione

dell’arte che Diderot promuoveva attraverso la sua scrittura e le sue riflessioni,

piuttosto che un approccio più scientifico e meramente filosofico di Voltaire. Dunque,

Goldoni riesce a trasformare un intero patrimonio tipicamente popolare, nobilitandolo

attraverso la propria arte, pur conservando quei tratti semantici che trovavano

espressione nella commedia dell’arte o in altri fenomeni popolari della cultura italica,

perché era consapevole che il grande patrimonio lasciato dai “vecchi” non sia un

patrimonio da gettare e accantonare ma un patrimonio da rinnovare nelle forme.

L’ultima parte dell’introduzione evidenzia alcuni concetti che aprono allo scenario

settecentesco. Le questioni di fondo a cui si riferisce l’introduzione vanno inerite nello

sfondo illuministico del Settecento. Si parla di un’assenza di carattere ideologico della

società illuministica. Goldoni si inserisce in un panorama intellettuale, sociale e

culturale attraverso la propria opera e non si inserisce in questo panorama come

filosofo o scienziato, ma come operatore culturale e come “suscitatore di cultura”

(espressione di Ferroni usata per Boccaccio). Goldoni riconosce che la società non era

più quella del Seicento, ma è una società nuova dettata dal progresso tecnologico

della rivoluzione industri

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
7 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher raffy_moda di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trieste o del prof Montanile Filomena.