vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
SCENARI DI MENDICITÀ DIFFERENTI
1) S : sono scene psicologicamente pressanti, patetiche, ma mai minacciose. Il
CENA STRUGGENTE
richiedente, inferiore a livello fisico/metaforico, apre al benefattore un flash di storie drammatiche che
porta questi a credere che stiano soffrendo proprio coloro che non dovrebbero soffrire (donna
madre, giovane affetto da handicap). All’ansia suscitata nel passate viene poi proposta la soluzione,
ovvero la possibilità di far la parte dell’eroe della storia drammatica (tramite l’offerta di denaro)
2) T ’ : sono scene volte a suscitare un senso di colpa e il suo riscatto,
EATRO DELLA COLPA E DELL INVIDIA
proponendo una richiesta diretta. Il disagio e la miseria sono esibiti nei luoghi di culto/consumismo
(chiese e negozi), invitando il passante a cogliere l’occasione per adempiere a doveri
morali/religiosi. Così facendo, la mendicità perde il carattere di umile supplica ed assume una
valenza coercitiva
3) P : una sorta di “mendicità armata” nella quale si reclamano tributi, si mostra l’orgoglio per
EDAGGIO
la propria identità etnica e si drammatizza la scena sociale. È una rappresentazione ad alto tasso di
riflessività: le zingare valutano attentamente il contesto (piazzandosi nei pressi di strettoie e percorsi
obbligati), la propria immagine riflessa negli altri e le conseguenze delle proprie azioni. Tale pratica
è una sorta di sfruttamento delle nostre paure ed ansie di contagio nei confronti degli zingari
In quanto rappresentazioni vicine all’azione teatrale, dal momento che devono ripetersi con intensità
ed efficacia, sono chiamate . Esse mirano a coinvolgere il passante nello “spettacolo”,
PERFORMANCE
al fine di indurre in lui un obbligo pragmatico e morale che lo porta a svolgere il suo ruolo: pagare.
La mendicità può essere perciò considerata un genere di , con delle specificità:
SPETTACOLO POPOLARE
• È una risorsa culturale collettiva/etnica dal momento che presuppone delle competenze relazionali
• V’è una grande varietà di canovacci proposti (dall’umile subordinazione fino alla richiesta forzata)
• Gli zingari non si identificano con le maschere indossate, ma piuttosto con il ruolo di registi
• Quella che per noi è una realtà sociale fissa e definita, la mendicità, per gli zingari è un frame
labile, ambiguo, dinamico, in continuo movimento e, quindi, in grado di essere controllato e
manipolato (alcune donne xoraxané passano rapidamente da umili richieste di elemosina a furti di
vestiti)
4.3 - METTERE IN SCENA LO SCOMPIGLIO
La fiducia che gli zingari ripongono nelle proprie si mostra nei casi in
CAPACITÀ DI GESTIRE UNA RELAZIONE
cui il passante si accorge del furto. Non v’è mai una fuga precipitosa, ma lo zingaro cerca di convincere
il passante dell’erronea interpretazione del frame, ricorrendo a varie “scene dell’innocenza”:
1. Ricorso al vittimismo : enfatizzazione di eventuali handicap e/o di situazioni di confusione
2. Perquisizione : i ragazzini mostrano i corpi nudi sotto le magliette, nel tentativo di provocare
reazioni di imbarazzo o disgusto nel passante
3. Suddivisione in sottogruppi
4. Scompiglio : messa in scena di situazioni emozionali forti per suscitare confusione e imbarazzo
(sporcare, grattarsi e sputare sulle banconote)
È chiaro quindi che la caratteristica base del mangel è proprio la , una
COSTANTE AMBIGUITÀ DEL FRAME
possibile manipolazione della situazione messa in atto, al fine di manovrare impressioni ed emozioni
4
altrui per ricavarne vantaggi economici e/o materiali. In sostanza, il mangel va ben oltre il tipico
copione della pietà e della carità, inserendosi nel mondo degli artisti, dei performer, dei teatranti.
5. LA COMUNITÀ SENEGALESE
Questa ricerca sulla R analizza gli usi e i significati relativi alle pratiche
COMUNITÀ SENEGALESE DI OMA
alimentari. L’ipotesi della ricerca è che il cibo, come il linguaggio, abbia una valenza comunicativa,
essendo uno dei principali veicoli attraverso il quale si apprende e si trasmette l’identità culturale.
5.1 - PRATICHE IDENTITARIE
Gli immigrati senegalesi usano il cibo per parlare di loro stessi, dei problemi e delle soluzioni
riguardanti la loro ambigua, molteplice appartenenza. Una cena in una tipica tavola calda senegalese
a Roma ci consente di notare come la semplice pratica di mangiare tutti dallo stesso piatto abbia una
proprietà culturale. Essendo la loro uguaglianza fondata su pratiche di fratellanza, condivisione e
solidarietà, ai loro occhi questo modo di mangiare è un indice di superiorità etica, in quanto:
Trasmette regole e valori di socializzazione e comunitarismo
È un esercizio di autocontrollo, di negoziazione del desiderio/contenimento di voracità
A testimonianza di queste proprietà vi sono le tipiche regole connesse al mangiare: non invadere la
porzione del piatto del vicino oppure non lasciare che qualcuno mangi da solo.
5.2 - COMUNITÀ BI-ALIMENTARE
I senegalesi abitanti a Roma sono - , ovvero condividono parzialmente ingredienti e ricette
BI ALIMENTARI
sia con la società di origine che con quella di arrivo, anche se alcuni hanno precise preferenze. Effetto
del bi-alimentarismo è proprio la scoperta di differenze e preferenze che si traduce in una competenza
meta-alimentare: la gran parte degli interlocutori aveva piacere nel parlare di alimentazione. Questa
competenza è il risultato di un processo complesso di ridefinizione dell’identità personale.
Il bi-alimentarismo determina episodi di , che consistono nella creazione di nuovi piatti
SINCRETISMO
(ibridi tra senegalesi e italiani) o la sovrapposizione di modelli/ingredienti. Come per il linguaggio,
perciò, è presente un code-switching alimentare: un passaggio da un registro culturale all’altro con
un andamento molto specifico. Dato che la preparazione del cibo senegalese è molto lunga, si usa
mangiare senegalese solo nel fine settimana (occasione di incontri con altri membri della comunità) o
quando si ha tanto tempo a disposizione. Quando si ha meno tempo, invece, si fa uso di cibo italiano.
Mentre per i senegalesi l’atto del mangiare è sinonimo di civilizzazione e civiltà, il modo di
mangiare italiano è puramente necessario, strumentale, legato a necessità fisiologiche e di tempo.
Il pasto non è considerato solo un’espressione del bisogno di mangiare, ma soprattutto di comunicare,
di stare insieme. Ad esempio, i senegalesi non comprendono come gli occidentali possano desiderare di
andare al ristorante, trascurando l’osservazione del piatto durante la sua preparazione: il guardare
mentre si cucina è infatti un modo essenziale per ricreare quell’atmosfera sociale familiare.
5.3 - ARTE DELLA DIASPORA
Il cibo può essere considerato un , poiché presenta:
ARTEFATTO CULTURALE
• Una chiara e intenzionale valenza espressiva
• Un’attenzione alla forma rituale
• Una vocazione per la performance
Il , ossia la preparazione e l’allestimento dei piatti alla senegalese, è un tipo di arte etnica
FOODMAKING
alla quale la gente prende parte per comunicare, condividere, mostrare e apprendere la tradizione.
Vi sono poi una serie di incontri in cui acquista valenza espressiva anche il :
COMPLESSO DEI PREPARATIVI
5
⇒ R : il cibo è utilizzato come indicatore di identità nazionale. Ad esempio, in una festa per
ICEVIMENTO
l’anniversario dell’indipendenza, l’ambasciatore del Senegal in Italia ha organizzato cibo e musica
senegalese, contribuendo a definire l’identità e il patrimonio nazionale in una cerimonia all’estero
⇒ D : essendo la domenica l’unico giorno di riposo, si usa ritrovarsi per mangiare
OMENICA TRA AMICHE
con tempi e modi tradizionali. Così facendo, si riattualizzano ricordi ed emozioni. In tali occasioni,
le donne sono vestite con costumi senegalesi e mangiano con le mani da due grosse scodelle di riso
⇒ F : è un’occasione di sincronizzazione rituale, poiché dà modo di manifestare
ESTA DI BATTESIMO
idee e sentimenti di comunione con il paese d’origine attraverso la preparazione e il consumo
di cibo. Una festa di battesimo a Roma, in contemporanea con la festa che si teneva in Senegal, è un
esempio di come si può ricreare un “ponte culturale” con la propria patria e la propria famiglia. Il
cibo diviene così un mediatore tra identità e località, un’occasione per invocare la tradizione
6. PSICOLOGIA COME OGGETTO DI RICERCA
La posizione di marginalità di cui godeva Padiglione al suo arrivo nella facoltà di Psicologia gli ha
consentito di trarre alcuni vantaggi: tra questi la possibilità di riflettere sulle pratiche e i contesti di vita
che caratterizzano ricercatori, professionisti e docenti.
Essendo i setting scientifici, accademici e clinici per nulla trasparenti, un’ ETNOGRAFIA DELLE PRATICHE
si trova di fronte il problema dell’opacità dell’oggetto, ovvero della difficoltà di osservare,
PSICOLOGICHE
registrare e trascrivere azioni e discorsi. È quindi necessario coltivare uno “sguardo straniato”:
assumere la psicologia come se fosse un’etnopsicologia, ovvero un complesso di saperi, pratiche
locali, istituzioni e persone che è leggibile solo se ricondotto ai contesti particolari in cui vive.
Le ricerche sono perciò accomunate dalla prospettiva geertziana della : la strategia
DESCRIZIONE DENSA
etnografica che impone al ricercatore di ricostruire il contesto entro il quale gli attori formulano il loro
significato. Il lavoro svolto si può riassumere entro 3 direttrici:
1) Focus etnografici sul lavoro psicologico : sorprendere gli psicologi “in azione”
2) Focus sulla formazione : sorprendere gli psicologi “in formazione”
3) Focus sulle scritture in psicologia
7. LE IMMAGINI NEI TESTI DI PSICOLOGIA
L’ mostra come i testi di
ANALISI DELLE RAPPRESENTAZIONI VISIVE NEI TESTI SCIENTIFICI DI PSICOLOGIA
psicologia facciano scarso uso di immagini. Nelle poche immagini presenti vengono di solito eliminati i
corpi e le immagini di ambienti riconoscibili che possono rinviare a disuguaglianze e discontinuità
tra le persone. Questo perché l’oggetto di studio della psicologia, i processi mentali non direttamente
osservabili, devono essere in qualche modo presentati come universali. Questo è possibile attraverso:
• L : immagini di soggetti in contesti di misurazione standardizzata
ABORATORIO
• I : riproduzione di stimoli ed oggetti della v