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Aristotele si fece creare un'edizione dell'Iliade e dell'Odissea per farla leggere al suo discepolo
Alessandro Magno).
Tuttavia, anche quando i testi erano composti precedentemente per iscritto, essi venivano
comunque affidati alla pubblica recitazione e aiutavano il poeta nella memorizzazione: ecco che si
è soliti definire tale fenomeno "auralità".
La questione omerica
La letteratura greca inizia per noi con l'Iliade e l'Odissea; i due poemi inglobano sia materiale
antico risalente all'epoca micenea, sia materiale più recente risalente al primo arcaismo, sicché
essi possono essere collocati attorno al 750 a.C., datazione che trova conferma anche in campo
archeologico e in particolare sui vasi greci, in cui si incontrano di frequente rappresentazioni di
episodi tratti proprio da queste opere.
Gli antichi attribuivano l'Iliade e l'Odissea al poeta Omero, del quale non si sapeva nulla di preciso,
se non che fosse cieco, vagabondo e nato nell'VIII secolo a.C. a Smirne, Pilo, Chio, Colofone,
Argo, Itaca o Atene. Il suo nome è stato oggetto sin dall'antichità di varie spiegazioni etimologiche:
1. "colui che non vede": la tradizione lo vuole cieco e la cecità è colmata
ὁ µὴ ὁρῶν,
dall'ispirazione proveniente dalle Muse;
2. "ostaggio", "pegno", ma anche "il cieco" come persona che si accompagna a
ὅµηρος,
qualcuno (ὁµοῦ "vado insieme");
ἔρχοµαι,
3. "incontrarsi": vi erano delle piccole riunioni nei gruppi degli Omerìdi a Chio, che
ὀµηρεῖν,
narravano quei canti che in seguito sarebbero stati i costituenti dei poemi di età arcaica.
L'indagine sull'esistenza storica di Omero e sulla composizione e diffusione delle sue opere si è
esercitata lungo interi secoli sia sul fronte della ricerca filologica, storica e archeologica, sia su
quello della critica letteraria e della riflessione estetica; essa trae origine dai dubbi testuali suscitati
dagli stessi poemi omerici. I critici antichi, per esempio, avevano difficoltà a spiegarsi come il re dei
Paflagoni Pilemene potesse prima cadere ucciso in battaglia e poi riapparire vivo e in lutto per il
figlio morto, come Odisseo potesse cenare per ben tre volte, perchè venissero utilizzati verbi al
duale quando i soggetti erano in realtà tre, perché vi fossero frequenti ripetizioni di espressioni e
interi blocchi di versi, ecc.
Nell'antichità
Furono gli eruditi alessandrini ad affrontare per primi il problema, elaborando due opposti approcci:
1. l'orientamento dei cosiddetti "separatisti", come Senone ed Ellanico, che, sulla
χωρίζοντες,
base delle differenze di contenuto e di stile avvertite, attribuivano i due poemi a due diversi
poeti;
2. l'orientamento dei cosiddetti "unitari", come Aristarco di Samotracia, che risolvevano le
contraddizioni dichiarando inautentici ora questi versi, ora quelli, poiché incongruenti sul
piano logico.
Una conciliazione fra le due tesi fu proposta dall'anonimo autore del trattato "Sul sublime" del I
secolo d.C., che attribuì l'Iliade, in cui domina l'impeto delle passioni, alla giovinezza del poeta e
l'Odissea, caratterizzata dalla narrazione, alla sua vecchiaia. Così dice in IX, 3:
Avendo scritto l'Iliade nella pienezza del suo spirito,
tutto il corpo di quest'opera egli fece drammatico e
ardente d'azione; quello dell'Odissea invece narrativo, il
che appunto è proprio della vecchiezza. Quindi
nell'Odissea potrebbe Omero paragonarsi al sole quando
tramonta, che mantiene la sua grandezza, perduto però
l'ardore. [Anonimo, Sul sublime IX, 3, trad. Rostagni]
In età moderna
- Nel Settecento
Per secoli e secoli non si tornò più sulla questione, finché nel primo Settecento l'abate francese
d'Aubignac e l'italiano Vico negarono l'esistenza storica di Omero, approdando però a esiti critici
opposti: d'Aubignac giunse a una radicale condanna della poesia omerica in nome della sua
rozzezza, mentre Vico ne esaltò la validità artistica come il prodotto collettivo della fantasia
creatrice dell'intero popolo greco.
Il vero padre della "questione omerica" fu però il tedesco Wolf, che, facendo costante riferimento
a D'Aubignac, nel 1795 considerò Omero come il punto di partenza di una lunga tradizione epica
orale che verrà fissata per iscritto solo nel VI secolo a.C. con Pisistrato (Cicerone, De oratore:
(Pisistratus) primus Homerii libros, confusos antea, sic disposuisse dicitur, ut nunc habemus) o
con il figlio Ipparco; due furono le conseguenze principali della sua tesi: innanzitutto Omero non
sarebbe mai esistito come persona fisica e in secondo luogo i due poemi sarebbero derivati
dall'unione di canti o spezzoni autonomi composti in varie epoche e da poeti diversi e recitati da
rapsodi.
- Nell'Ottocento
Sulle orme di Wolf si collocarono nell'Ottocento i filologi tedeschi del metodo analitico, che
sostennero una teoria volta all'individuazione di nuclei originari nei due poemi, dissolvendone
l'unità: Hermann, per esempio, con la "teoria del nucleo" affermò che era esistita una sorta di
Iliade primitiva che trattava dell'ira di Achille e che nel corso del tempo sarebbe stata integrata e
ampliata fino a diventare l'Iliade nella forma a noi nota.
Un'altra personalità di spicco fu Lachmann, che con la "teoria dei canti" individuò nell'Iliade
almeno 16 canti originari e indipendenti tra loro, i quali sarebbero stati poi conglomerati nel
poema attuale.
Il suo discepolo Kirchhoff con la "teoria della compilazione", riguardante questa volta l'Odissea,
affermò che qui si potevano rintracciare non singoli canti originariamente indipendenti, ma
composizioni epiche minori di varia lunghezza e di epoca diversa, poi accorpate da un anonimo
rielaboratore.
Alle posizioni del metodo analitico si opposero gli studiosi della tendenza neo-unitaria che
sostennero, al di là delle possibili incongruenze, la tesi dell'unità compositiva dei poemi omerici;
secondo Schadewaldt, per esempio, l'architettura dell'Iliade era talmente solida che non poteva
aver assunto tale forma per l'opera confusa e diluita nel tempo di vari "cucitori di canti", anzi,
tutto suggeriva piuttosto l'esistenza di una mente creatrice di un poeta geniale che avrebbe
perseguito un disegno poetico unitario.
- Nel Novecento
La svolta decisiva nell'approccio alla questione omerica ebbe luogo nei primi decenni del
Novecento grazie allo statunitense Milman Parry, che, attraverso un'analisi comparata con i canti
popolari della Serbia, puntò l'attenzione sulla composizione orale e sul carattere della cosiddetta
"formularità": la formula era un gruppo di parole fisso regolarmente impiegato nelle stesse
condizioni metriche per esprimere una certa idea; più formule costituivano una sorta di ricco
vademecum mnemonico a disposizione degli aedi, che potevano così improvvisare oralmente,
completando più agevolmente i loro versi; tale materiale pre-costituito aiutava anche la fruizione
da parte del pubblico, che poteva così capire più facilmente e ascoltare senza sforzo.
Questo approccio cambiò radicalmente le prospettive della questione omerica, spostando
l'interesse degli studiosi dall'autore e dall'origine dei poemi omerici all'analisi dei meccanismi che
governano la poesia orale.
Il linguaggio formulare
Gli elementi formulari più importanti sono:
l'epiteto: è un attributo o un'apposizione che indica le qualità di una persona (es. Achille pié
veloce), di un elemento naturale (es. mare urlante), di un animale (es. cani veloci) o di una
cosa (es. navi nere);
il patronimico: è un attributo che allude agli antenati dell'eroe (es. il Pelide = Achille, figlio di
Peleo);
la scena tipica che segue un calco comune e prefissato (es. banchetti, assemblee,
vestizione delle armi prima di un duello, funerale, ecc.);
la frase fatta che può occupare poche parole o interi versi (es. Quando apparve la figlia
della luce, l'Aurora dalle dita di rosa).
Le forme narrative
Visto il carattere orale della poesia epica, essa richiedeva l'impiego di specifici schemi narrativi per
riuscire a colpire immediatamente l'uditorio e per non incatenare il fluire del discorso. Oltre
all'impiego della formula, i procedimenti più tipici della tecnica orale sono:
la paratassi: è la coordinazione di periodi generalmente brevi;
la similitudine: istituisce un rapporto di somiglianza tra fenomeni, elementi o oggetti diversi
attraverso l'uso dell'avverbio "come" (es. Per primo, con i suoi stessi occhi, il vecchio
Priamo lo scorse / lanciarsi per la pianura, lucente come l'astro / che sorge in autunno e i
cui fulgidi raggi / brillano in mezzo a molte stelle);
la composizione circolare o Ringkomposition: il poeta, prima di passare a un nuovo
argomento, tende a riepilogare quanto detto in precedenza riallacciandosi all'esordio del
brano, così da formare una specie di anello narrativo;
l'esametro dattilico catalettico: è un verso di natura quantitativa composto da 6 piedi o
misure, chiamati "dattili", composti ciascuno da una sillaba lunga e due sillabe brevi (─ ),
ں ں
queste ultime eventualmente sostituibili da un'unica lunga (─ l'ultimo piede è catalettico,
─);
cioè difettoso di una sillaba, e per questo è detto indifferens.
L'esametro è un verso fluente e narrativo che dà al linguaggio un ritmo lento e solenne.
La lingua di Omero
La lingua di Omero consiste in una mescolanza di dialetti; essa è "stratificata", nel senso che vi si
possono distinguere forme arcaiche e forme più recenti mescolate insieme:
base: dialetto ionico (es. dativo plurale della I declinazione in -ῃς/-ῃσι e non in -αις e quello
− della II in -οισι e non in -οις);
varie forme del dialetto eolico (es. apocope della vocale finale di particelle e preposizioni o
− dativo plurale della III declinazione in -εσσι e non in -σι);
ristretto numero di atticismi (es. pochissimi verbi con aumento).
−
I poemi omerici: Iliade e Odissea
I poemi omerici rientrano in una produzione epica precedente: infatti, presentano un argomento di
base micenea, in quanto la guerra di Troia