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La normativa urbanistica italiana è caratterizzata, a partire dal 1942, da un sovrapporsi di norme
non sempre di carattere esclusivamente urbanistico, che hanno modificato ma non hanno sostituito
quelle precedenti, creando un corpus che non è mai giunto a costituire un testo unico. Inoltre è stato
costante fin dagli anni sessanta il dibattito sulla necessità di una "riforma urbanistica", mai varata
dal Parlamento. Le tappe principali di tale evoluzione sono state:
•legge 17 agosto 1942, n. 1150 (cosiddetta "legge urbanistica") emanata in tempo di guerra contiene
norme per l'epoca molto innovative nonostante fosse approvata in piena guerra.
Era incentrata soprattutto sullo sviluppo urbanistico, organizzata secondo un sistema gerarchico a
cascata per mezzo dei piani regolatori territoriali di coordinamento (comprendevano una vasta area,
venivano redatti dal Ministro dei Lavori Pubblici su parere del Consiglio Superiore dei Lavori
Pubblici e davano indirizzi per la compilazione dei PRG) e dei piani regolatori generali comunali
(le vie di comunicazione principali, la zonizzazione del territorio e le direttive di espansione, le aree
destinate agli spazi pubblici e i vincoli). Tra di essi c'era poi il Piano InterComunale (PIC): che è su
iniziativa dei comuni e ha lo stesso contenuto dei PRG, ma su scala sovracomunale.
Sono obbligati a redigere il PRG i comuni elencati dal Ministero dei Lavori Pubblici.
Per i comuni non elencati c'era il Piano o programma di Fabbricazione (che ebbe molto successo
per la snellezza procedurale).
Il PRG è attuato attraverso licenza edilizia (intervento diretto) o tramite Piano Paricolareggiato
d'Esecuzione (PPE), che copre una parte del territorio e precisa il PRG a livello di dettaglio (fino al
planivolumetrico).
• All'inizio degli anni Sessanta lo sviluppo industriale si consolida e viene alla luce la
contraddizione tra edilizia speculativa e settore industriale più avanzato, che esige un uso più
razionale del territorio. L'Istituto Nazionale di Urbanistica auspica l'istituzione delle regioni e
tenta di integrare la pianificazione urbanistica con la programmazione economica, attraverso un
comitato nazionale di pianificazione (ministri e presidenti di regioni) e di un Consiglio tecnico
centrale (alta burocrazia e esperti urbanisti). Non si prevede l'esproprio generalizzato per i suoli
destinati all'edificazione e viene proposto il meccanismo del comparto: accordo tra i proprietari di
terreni di una certa area per non svantaggiarne alcuni; altrimenti l'obbligo ai proprietari di cedere
gratuitamente nella zona di espansione una quota del 30% dell'area totale da destinare ad
attrezzature pubbliche e a sostenere le spese di urbanizzazione primaria.
I primi passi sono mossi con la commissione per la riforma urbanistica voluta da Benigno
Zaccagnini (governo Fanfani), trai cui membri si contano Giovanni Astengo, Luigi Piccinato e
Giuseppe Samonà. La proposta pubblicata nel '61 non si discosta molto dalle proposte dell'INU.
•La proposta di Sullo:
Nel 1962 è pronto il disegno di legge Sullo. L'indirizzo e il coordinamento della pianificazione
urbanistica deve attuarsi nel quadro della programmazione economica nazionale secondo gli
obiettivi fissati da essa.
La pianificazione si articola come nel progetto di Zaccagnini: Piano regionale, piano
comprensoriale, piano regolatore comunale e piano particolareggiato. Piano comprensoriale e
comunale sono necessariamente attuati con piani particolareggiati. Nell'ambito dei Piani
Particolareggiati il comune promuove l'espropriazione delle aree inedificate (non demaniali) e delle
aree edificate qualora l'utilizzo sia difforme alla previsione del PP. Il comune provvede
all'urbanizzazione primaria e cede tramite asta pubblica il diritto di superficie sulle aree destinate ad
edilizia residenziale. La base d'asta è il prezzo dell'indennità di esproprio (prezzo agricolo dei
terreni inedificati, ovvero escludeva il valore della rendita discendente dal nuovo piano) maggiorata
del costo delle opere di urbanizzazione e di una quota per spese generali. Per gli usi industriali la
cessione avviene a trattativa privata.
Lo schema Sullo modifica profondamente il regime proprietario delle aree: la proprietà privata per
le aree edificate o edificabili passa in proprietà dei comuni che cedono ai privati il diritto di
superficie per gli utilizzi previsti dal piano.
A un mese dalle elezioni del '63 si scatena lo “scandalo urbanistico”, l'isteria collettiva secondo
cui Sullo avrebbe voluto togliere la casa agli italiani, che si concluse con la dissociazione della Dc
dalla proposta di legge Sullo. L'isteria trovò consensi soprattutto in un gran numero di piccoli
proprietari di potenziali aree edificabili, pieni di aspettative di arricchimento.
•Legge 167 del 1962, sull'edilizia economica e popolare. Si deve a Sullo l'approvazione di questa
legge, i cui studi erano stati avviati fin dal 1651. Si inquadra l'edilizia economica e popolare nei
PRG o Programmi di fabbricazione, i comuni possono costituire patrimoni di aree urbanizzabili da
rivendere ai privati per l'edilizia economica e popolare, possibilità di acquistare aree con l'esproprio,
coordinamento degli interventi per assicurare formazione di quartieri socialmente equilibrati.
Il meccanismo di acquisizione fu dichiarato incostituzionale dalla Corte perchè l'indennità rischia di
risultare solo simbolica. In sostituzione si promulga una legge che determina l'indennità come
quella della legge di Napoli del 1885.
•Legge 6 agosto 1967, n. 765 ("legge ponte");
La legge Ponte limita le possibilità di edificazione dei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici
(che sono il 90%) e incentiva la formazione dei piani: finora visti come limitazione del diritto di
proprietà, la legge ponte ne ribalta la situazione: la legge limita il diritto trasformazione dei suoli a
meno del piano, visto quindi come opportunità di trasformazione. Per i comuni inadempienti
provvede lo Stato e per gli strumenti urbanistici minori (PPE, Progammi di Fabbricazione e
Regolamenti Edilizi) si deve chiedere l'approvazione degli uffici regionali del Ministero dei Lavori
Pubblici. È introdotto inoltre il regime di “salvaguardia” dei piani già adottati ma non ancora
approvati, per impedire che i piani stessi siano vanificati da licenze edilizie rilasciate in contrasto
con le loro previsioni. Le opere di urbanizzazione primaria sono a carico dei privati.
Vengono introdotti gli standard urbanistici dei piani: quantità minime di spazio riservate
inderogabilmente ad uso pubblico, distanze minime da osservare.
La Legge Ponte viene passata con un emendamento che rinvia di un anno l'attuazione delle
limitazioni: si scatena una frenetica attività di licenze edilizie durante tutto l'anno di moratoria.
•decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, stabilisce gli Standard urbanistici relativi a scuole,
attrezzature, spazi a verde pubblico e parcheggi; in particolare si distingue tra attrezzature di
interesse locale (raggiungibili con percorsi brevi di 20-25 minuti) o di interesse generale/territoriale.
In quelle di interesse locale sono inclusi i mq di asili e scuole, attrezzature
culturali/assistenziali/amministrative/religiose etc, parcheggi, verde pubblico, sport.
Tra quelle di interesse territoriale si hanno i parchi, le attrezzature ospedaliere e l'istruzione
superiore.
Sebbene gli standard stabilissero valori di mq inferiori a quelli raggiunti dalle aree più evolute
d'Europa all'epoca e alle quantità definite oggi dalle leggi regionali erano considerate un traguardo.
La rozzezza degli standard deriva dal loro essere puramente quantitativi e mai qualitativi. Un altro
problema è posto dalle zone omogenee previste dal decreto: esso prevede una serie di zone con
standard differenti, A-G. Nell'intenzione del legislatore esse sono strumenti di verifica
dell'applicazione degli standard, ma nella realtà vengono assunte come aree dalla rigida
monofunzionalità che di fatto negarono la complessità tipica dell'organismo urbano
•Le sentenze della Corte Costituzionale:
La sentenza 55 del 9 maggio 1968 fa decadere parte dell'articolo 7 e l'articolo 40 della legge
urbanistica del'42. Poichè il PRG ha vigore a tempo indeterminato, esso può impedire l'edificazione
di un suolo. A questo vincolo però non segue l'atto dell'espropriazione, mettendo i proprietari in una
situazione di stallo. La limitazione alla proprietà privata è ampia e il legislatore può esercitarla a
patto che:
- la norma interessi una determinata categoria di beni, senza discrezionalità
- che ci sia il principio dell'interesse generale
- che la limitazione non annulli il valore economico del bene. In caso contrario segue va
indennizzato.
Nella 1150 del '42 questi tre punti non sono soddisfatti. Il legislatore non può disporre che questo o
quel proprietario venga privato senza indennizzo del diritto di utilizzare un certo bene, in questo
caso il terreno, per il suo uso tipico, in questo caso l'edificazione. Viene però ribadito il divieto
dell'utilizzabilità a fini di edilizia urbana delle aree che non abbiano ancora formato oggetto di
pianificazione di dettaglio (ovvero di ppe o piani di lottizzazione).
La sentenza 56 del 29 maggio 1968 si pronuncia sulla legge della provincia autonoma di Bolzano
sulla tutela del paesaggio. La legge era sospettata di illegittimità perchè stabiliva che in caso di
assoluto divieto di costruire sopra aree da considerarsi fabbricabili, potesse essere concesso un
contributo nei limiti del bilancio. Il Consiglio di Stato obiettava che il divieto assoluto di
edificazione svuota il diritto di proprietà in quanto il contributo non è un indennizzo, ma dipende
dal bilancio. La Corte Costituzionale respinge questa tesi affermando che il divieto si riferisce ad
una categoria di beni che è originariamente di interesse pubblico, ovvero quelli paesaggistici i quali
vanno tutelati e non hanno automaticamente intrinseco lo ius aedificandi, dunque non c'è nulla da
indennizzare.
In risposta alle due sentenze l'Inu si auspica provvedimenti che si ispirino ai seguenti principi:
- La proprietà del suolo non deve comprendere lo ius aedificandi
- Il diritto a edificare appartiene ai comuni, regioni e Stato e viene esercitato in concessione
- L'edificazione è regolata unicamente dai piani regolatori
- I comuni hanno facoltà di espropriare pagando un indennizzo pari al valore dell'opera dell'uomo e
non all'opera della collettività.
•legge 19 novembre 1968, n. 1187, "Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto
1942,