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– LA CRISI DELLA MDOERNITA’
DISPENSA PAG.47: HARVEY
Harvey è un geografo, si è occupato di urbanistica, ma è anche una delle personalità più
influenti della cultura americana e uno dei più grandi esperti di Marx e in particolare del
“Capitale”, di cui ha scritto un bellissimo commento. È un marxista e nel 1990 pubblica
“La crisi della Modernità”. Questo libro è una mappa del Post Moderno, al pari del testo
di Jameson, ed è indispensabile per poter capire questo passaggio.
per poter spiegare che cos’è il Post Modernismo e potersi avviare ad una
A PAG. 57
spiegazione, Harvey menziona nelle prime righe proprio l’espressione di Williams.
Questa espressione è citata a sua volta da un altro teorico, Huyssens , che spiega in cosa
consiste questa nuova struttura del sentire. Dice che ciò che sembrerebbe essere una
parentesi della Modernità o la messa in opera di una specifica poetica della Modernità, in
realtà corrisponde a qualcosa di molto profondo. Cioè l’entrata in gioco della cultura di
massa a livello sistemico non è un capriccio della moda, ma è parte della trasformazione
della società occidentali. Cioè di una trasformazione e di una mutazione sociale,
culturale e politica molto forte. Prendiamo sul serio i segnali che vengono da questo tipo
di nuova esperienza e di nuovo sentire che si sta profilando. Da un lato dice che è
sicuramente in atto una grande trasformazione, dall’altro per non essere esagerato e per
essere cauto dice che la trasformazione è in atto, soprattutto nella cultura occidentale.
Cioè la cultura in un certo senso ha anticipato la messa in chiaro di questa
trasformazione che poi probabilmente è molto più profonda.
In effetti il saggio di Jameson del 1984è un’indagine sulla cultura del nostro tempo, ma è
il tentativo di legare questa cultura ad una modificazione sistemica più profonda, cioè
all’idea che l’esperienza culturale che si profila a partire dagli anni 60 e diventa sempre
più invasiva e dominante sia legata alle condizioni materiali che ne permettono
l’emersione. E che la cultura del Post Moderno, così come viene definita da Huyssens,
sia la cultura del capitalismo avanzato.
Il Post Modernismo per come lo sta descrivendo Huyssens, ma poi anche Jameson, è il
luogo in cui il capitalismo avanzato produce egemonia. Cioè è la dominante culturale di
una trasformazione sistemica a livello economico, è l’espressione diretta di questa
trasformazione. Ecco perché si insiste sul sentire, non perché ci sia un sentire solo
culturale, non perché ci sia solo una moda, una diversità eccentrica nella sensibilità
dell’epoca, ma perché quel sentire è il sentire del tardo capitalismo di cui noi tutti siamo
dei prodotti. Il Post Modernismo è la dominate culturale di questa trasformazione
economica, noi siamo gli esseri senzienti di questa stessa trasformazione, siamo gli
agenti in quanto fruitori di cultura e produttori di cultura. Qui inizia a profilarsi la
posizione di Jameson.
In questo testo di Harvey egli piano piano ci fa vedere questo, e così come ha fatto
Jameson nel suo testo dimostra come sia stata la cultura ha mettere a sistema i segni di
questa grande trasformazione. Cioè la cultura ha funzionato come una specie di
sismografo (come ha detto Adorno), ha segnalato la scossa. Di questa scossa e delle sue
conseguenze ci siamo resi conto solo dopo e abbiamo potuto sistematizzarla. E ci siamo
resi conto che non è stata una scossa del Moderno, come la pensa Harvey e anche
Jameson, ma è stata un terremoto vero e proprio che ha sconvolto le fondamenta della
Modernità per impiantarne altre diverse.
Infatti a PAG. 61 Harvey prende in considerazione una serie di espressioni che sono
proprio di Jameson. Harvey è d’accordo con Jameson e cita qui quella che è la
definizione centrale di Jameson , cioè logica culturale del tardo capitalismo. Il Post
Modernismo non è semplicemente la cultura del tardo capitalismo, ma è la logica
culturale del tardo capitalismo, cioè è il modo con cui funziona la logica del tardo
capitalismo. Non è semplicemente un’espressione culturale del tardo capitalismo ma è
proprio la sua logica interna. E Jameson dimostrerà che questa logica di funzionamento
della cultura nel tardo capitalismo in cui noi siamo immersi è omologa alla logica stessa
del capitale. Cioè il Post Modernismo ha di rivoluzionario il fatto che cultura = capitale.
PAG. 62-63: Harvey sta cercando di teorizzare la transizione e ripropone la tabella di
Hassan, solo che la relativizza. E Harvey riprende il concetto di Baudelaire sul
Modernismo. Riassume perfettamente il modernista, la sua eccezione negativa per cui si
deve cercare il modo di uscire da questa condizione. Mente il Post Modernismo no. Cioè
l’individuo percepisce una sua passività rispetto a tutto. Poi dopo riprende Foucolt e dice
che il Post Modernismo in fondo attinge da un elemento del Moderno che poteva essere
considerato come residuale e va a svolgerlo però rendendolo dominante e lo svolge in un
certo modo. Questo certo modo in cui lo svolge è da intendere nel senso gramsciano del
termine, cioè è produzione di valori, è egemonia. Cioè il galleggiamento dell’individuo
rispetto ad un presente che non riesce a capire e quindi la rinuncia all’azione un po’
nichilistica, è la rinuncia del sentire che è nata dal potenziamento del residuo che era nel
Moderno.
5) DISPENSA PAG. 63: HARVEY
La sostanza del ragionamento che Harvey porta avanti ha a che vedere con la teoria della
transizione da un …… a un'altra codificata da Williams, che a sua volta si rifaceva ad un
passo di Marx.
Questo per dire che l’anatomia del Post Moderno, che Harvey vuole rappresentare e
studiare, è una chiave per capire l’anatomia del Moderno. Perché evidentemente nel
passaggio da un’epoca all’altra ci sono elementi un tempo residuali che il Post Moderno
ha contribuito a potenziare. Questo per dire che la logica del Post Moderno era già
presente nel Moderno. Questo è un elemento che Jameson fa suo sempre, e nel 1992
pubblica un libro intitolato “I segni del tempo” proprio su questo aspetto.
Nelle restanti pagini del capitolo su Williams, egli da una serie di indicazioni e fa dei
nomi che si collegano alla lezione sullo Strutturalismo. In particolare cita Foucolt, che, è
uno strutturalista e in fondo sta a cavallo tra Moderno e Post Moderno, diventa una delle
chiavi di accesso al sistema teorico che regge la Post Modernità. 06 MINUTI
“le idee di Foucolt, in particolare
E Harvey questo lo dice benissimo. A pag. 64 dice che
quelle sviluppate nelle sue prime opere, meritano attenzione poiché sono state una fonte
feconda di argomentazioni postmoderniste.”
Quindi nello strutturalismo francese e in quello foucoltiano c’è la verità filosofica del
Post Moderno. O c’è una tensione filosofica che alimenterà poi le idee della Post
Modernità.
Ciò che Harvey vede di postmodernista in Foucolt è l’idea di un indebolimento fino alla
distruzione del soggetto e dell’individuo (idea tipica del primo Foucolt). Cioè il
soggetto, in fondo, non conta più nulla, così come l’autore è solo una mano che scrive
ma a muovere la mano non è la coscienza dell’autore, ma un sistema discorsivo
linguistico che lo surclassa. Questo perché noi, a parere di Foucolt, non parliamo la
nostra lingua, quella della coscienza, ma parliamo una lingua che ci domina e della quale
non siamo padroni. Soprattutto quando obbediamo alle convenzioni sociali. Noi siamo
abitati da formazioni discorsive che strutturano i nostri pensieri e che ci rendono schiavi
ad una lingua che non controlliamo. In una società sempre più specializzata, ciascuno
parla la lingua del proprio settore della propria professione. Cioè parla attraverso un
codice predeterminato, dentro cui non ci sono margini di libertà.
Noi stiamo all’interno di una finzione codificata che ci autorizza a parlare in un certo
modo, magari illudendoci di avere coscienza di questa parola, ma sostanzialmente
imponendoci la regola di questa parola.
Questa è una logica (quella del primo Foucolt quasi totalitaria). Cioè l’individuo non può
sfuggire al linguaggio che lo predetermina. E questo linguaggio Foucolt lo chiama il
potere. Gli uomini sono vittima di un potere coercitivo che li sostanzia nel profondo. E
questo potere è così dettagliato e preciso che per Foucolt si può fare una microfisica. Se
noi siamo pieni del potere, talvolta senza saperlo, la nozione di Io cosciente che si
autodetermina ne viene fuori annichilita. Non è più l’Io cartesiano che impone la sua
logica e decide di conoscere il mondo secondo le sue coordinate, non è più l’Io che si
impone sulla realtà. Ma è un Io che è semplicemente immagine del potere come tante
altre.
L’ultimo Foucolt (anni 80, anche detto il Foucolt stoico perché rimanda allo stoicismo)
ha come obbiettivo il riconoscimento di una qualche possibile resistenza al potere. E
è la cura del sé. C’è una dimensione di liberazione che però non
questa resistenza
presuppone un noi ma solo un sé. Foucolt usa ‘sé’ invece do Io. L’Io nella Modernità è
rapporto con la realtà e quindi è apertura. Il sé, invece, dà quest’immagine di chiusura
l’unica dimensione soggettiva è quella introflessa del sé. E allora dato
introflessa. Cioè
che il potere pervade tutto l’unico modo per resistergli è quello di trovare all’interno di
questo sé delle terapie molto locali, in un certo senso effimere e transitorie, che ci
di convivere con il potere. Questa visione distrugge l’idea di
permettano
un’emancipazione collettiva che stava alla base della Modernità. Un noi non è più
pensabile. Mentre le grandi utopie della Modernità erano cornici emancipative collettive
che presupponevano un noi, cioè ci si liberava tutti insieme, la proposta foucoltiana è
diversa. Se l’emancipazione c’è può essere legata solo ad un aspetto locale del sé.
Anche perché il noi che si invocherebbe sarebbe per forza un’immagine del potere. E
allora se gli individui possono liberarsi ciascuno a proprio modo dal potere curando sé
ste