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CAPITOLO TERZO

FORME E SIMBOLI

1. corte e sovranità

Quando il potere è concentrato nella persona del monarca, la comunicazione simbolica e

formalizzata è particolarmente sviluppata. Forme e simboli della monarchia non soltanto

rappresentano il potere, ma costituiscono parte del potere monarchico.

La corte fa intravedere la sua multifunzionalità originaria già nell'ambiguità del concetto. La corte

può indicare il governo centrale, il grande governo organizzato della casa del sovrano e luogo in cui

si intrattiene, dove "tiene corte". Spesso una chiara distinzione tra i significati è impossibile, ciò

dipende dal fatto che essi originariamente coincidevano. Il re itinerante medievale portava il

governo della casa con sé e regnava tramite i membri di questo governo. Le autorità centrali, i

tribunali, persino le assemblee dei ceti sono il risultato del graduale aumento di autonomia di alcune

funzioni di questa curia regis. Nelle grandi monarchie europee il grado a corte non doveva

necessariamente corrispondere alla posizione politica di un funzionario, come nel caso di Bismarck,

e viceversa, un grado di corte poteva disporre di un enorme potere politico senza una carica nelle

autorità centrali. Dopo le corti rinascimentali italiane, i duchi di Borgogna nel XIV e XV secolo

furono fondamentali nello sviluppo della vita di corte europea. Oltre alla partecipazione agli affari

del governo, le funzioni di una corte includevano l'organizzazione della vita quotidiana del sovrano,

la sua sicurezza, l'accesso alla sua persona, e la manifestazione e il rafforzamento del suo prestigio.

Un altro obiettivo importante era integrare o neutralizzare le élite di potere, in particolare la nobiltà.

Inoltre, una grande attività edilizia doveva non solo fornire alla corte una sede adeguata ai rituali di

dominio, ma anche rendere visibile il potere e la magnificenza del principe sia ai sudditi che

all'estero.

2. Capitale e residenza

"Residenza" è una categoria riferita al sovrano, mentre "capitale" si riferisce piuttosto al territorio.

Durante l'età moderna esse vennero di regola a coincidere, ma ciò non accadde all'origine. Nella

maggior parte dei casi i re divennero definitivamente sedentari solo nel XVI secolo o ancora più

tardi. Le prime monarchie erano, per diversi motivi, e non solo in Europa, prevalentemente

monarchie itineranti (tuttavia vi erano sedi fisse: si svilupparono palazzi cittadini come il Louvre a

Parigi o castelli provinciali).

Con i Capetingi Parigi assunse il carattere di capitale come cathedra regni, soprattutto perché nelle

XII secolo era la residenza preferita del re.

L'impero, anche per la mancanza di una continuità dinastica, non ha mai avuto una sola capitale ma

ne ha avute molte.

In Castiglia soltanto Filippo II ha fatto di Madrid, poco significativa ma posizionata in un punto

centrale, la capitale permanente.

3. Cerimoniale e rituale

Il rituale offre la certezza del comportamento attraverso la ripetizione stereotipa, è azione più che

rappresentazione. Il cerimoniale invece è teatralizzazione, è un rituale estetizzato, accentuato dal

punto di vista visivo. Il cerimoniale è un sistema di rituali che alla fine tra il XVII e il XVIII secolo

fu trasformato in una sorta di scienza. Il cerimoniale divenne uno strumento di rigido

disciplinamento sociale non solo per i cortigiani, ma anche per lo stesso monarca. La consacrazione

e l'incoronazione del re erano originariamente i più importanti rituali della monarchia, la corona il

suo simbolo più importante.

In Spagna, però, il rifiuto delle influenze ecclesiastiche portò all'autoincoronazione e, nel XIV

secolo, alla rinuncia completa all'incoronazione. Per Filippo II di Spagna, ad esempio, è probabile

che non abbia mai indossato una corona. Nell'Impero, invece, l'incoronazione rimase un rituale

importante, ma l'elezione e il giuramento del sovrano divennero gli atti giuridici decisivi. Con

l'Illuminismo, si affermò l'idea che la dignità sovrana dovesse derivare dall'elezione o dalla

successione ereditaria, mentre l'incoronazione doveva solo rappresentare simbolicamente il

risultato. L'incoronazione ecclesiastica non implicava dipendenza dalla chiesa. Al contrario, in

Inghilterra e in Francia, essa dimostrava come la corona fosse riuscita a mettere la chiesa al servizio

della sua sacralità, mantenendo comunque una grande autonomia. Dopo l'incoronazione, il

successivo rituale di dominio era l'ingresso festoso del sovrano nelle capitali e nelle città, un atto

che rappresentava un dialogo politico tra sovrano e sudditi, dove venivano confermati i privilegi dei

ceti e ricevuta la professione di vassallaggio della città. Anche la morte e la sepoltura del monarca

divennero importanti rituali politici.

4. Rappresentazione e mito

Le dinastie cercarono di impadronirsi della storia e delle arti, perché anche quella rappresentazione

del loro potere era a sua volta una forma di potere. Il rapporto della monarchia con gli artisti finiva

in un reciproco dare e avere: incarichi e incoraggiamenti in cambio della raffigurazione richiesta dal

committente.

CAPITOLO QUARTO

Discorso e teoria

Come dalla monarchia deriva lo stato, così dal discorso sulla monarchia viene il discorso sullo stato,

ossia il discorso convenzionale e naturale di una iperistituzione "stato", che viene fissato con testi,

prodotti dagli stessi detentori del potere statale (leggi, regolamenti, discorsi politici) o con scritti di

giuristi e storici (costituzioni, discussioni teoretiche o storiche). La chiesa dominava senza rivali il

discorso intellettuale e quindi anche quello politico. Così i testi sulla monarchia avevano o un

carattere teologico oppure un carattere morale, riguardante le pretese etiche dei principi. A ciò si

aggiungeva la componente ebraico-cristiana con la Bibbia e la sua interpretazione da parte dei padri

della chiesa.

Con i cambiamenti rivoluzionari che si ebbero dopo la lotta per le investiture del XI secolo si

frantumò la naturale unità politico-religiosa tra la chiesa e la regalità e ciò portò la teoria

monarchica a faticare nel trovare una base autonoma, indipendente dall'influenza ecclesiastica. Fu

solo con la traduzione in latino della politica di Aristotele, intorno al 1260, che si cominciò a

sviluppare una scienza politica terrena, separata dalla teologia. Aristotele, pur influente, non

favoriva esplicitamente la monarchia, suggerendo che la miglior forma di governo fosse un'unione

tra aristocrazia e politìa.

Nel contesto dell'emancipazione della monarchia dalla chiesa, Tommaso d'Aquino giocò un ruolo

cruciale, affermando che l'uomo è per natura un "animale politico", fondando così l'ordinamento

politico sull'ordine della creazione/ natura e non più sull'ordinamento di salvezza.

Niccolò Machiavelli e il discorso della ragion di Stato

Un cambiamento decisivo all’interno del discorso politico fu prodotto da Machiavelli.

Due sono i suoi scritti principali: I Discorsi e il Principe.

I "Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio" sono strutturati in tre libri, come un commento ai primi dieci

libri dell'opera di Livio "Ab Urbe Condita".

Machiavelli legge la storia di Roma antica in controluce rispetto ai problemi di Firenze, alla quale vorrebbe

insegnare, sulla base dell’esempio romano, una politica repubblicana. Machiavelli riconosce dietro ciascuna

forma politica la facilità con cui ogni forma pura entra nel circuito della degenerazione, costituendo così la

visione ciclica della storia delle forme politiche. Machiavelli manifesta la propria convinzione neopagana

che la storia non obbedisca al disegno provvidenziale cristiano, ma sia un ciclo di accadimenti di cui l'uomo

non ha e non può avere controllo, e che non è finalizzato alla sua salvezza o al suo benessere.

L'unico modo per dare un senso, sia pure limitato, a questo trionfo della contingenza è l'agire politico

virtuoso. La virtù è per Machiavelli quella energia umana che si oppone alla fortuna, che non vi si adegua

passivamente, e che mette gli uomini in condizione di uscire da se stessi e dal proprio meschino egoismo, e

di compiere gesta collettive grandi e gloriose.

Il problema cui il Principe intende rispondere è proprio quello esplorato nei Discorsi: individuare una forma

politica capace di avere in sé l'energia politica- la virtù- capace di agire efficacemente in un mondo che sta

diventando per Firenze per l'Italia sempre più insicuro.

Il Principe si spiega col fine di liberare l'Italia dai barbari e di salvare, attraverso una potestà pienamente

regia, quello che si può salvare di un organismo politico in cui è entrata la corruzione.

Nei primi undici capitoli Machiavelli analizza i diversi tipi di Principato, che insieme alla Repubblica è una

delle due forme di Stato. Il solo Principato che realmente interessi Machiavelli è il Principato nuovo: è

proprio da un principe nuovo che egli si aspetta l'abbreviazione dei processi che portano al formarsi della

virtù politica nelle repubbliche. Queste restano l'ideale politico di Machiavelli, ma il Principato ne è una

specie di surrogato.

Per quanto riguarda il rapporto tra etica e politica, l'etica tradizionale cristiana resta valida per Machiavelli. Il

bene morale è ciò che la chiesa ha sempre sostenuto, ma la politica si sottrae a questa etica perché si fonda su

di un'altra etica, mondana, in cui il bene è il successo del Principe, ossia la potenza dello Stato. Questo

obiettivo va perseguito dal Principe anche a costo di violare, quando è necessario, l'etica religiosa.

L’intrinseca e peculiare eticità della politica spinge Machiavelli a scrivere una sorta di consapevole contro

canto ai trattati umanistici sul Principe, raccomandando: non la magnificenza, lo splendore, la liberalità, ma

la parsimonia; non la sicurezza fondata sull'amore ma quella costruita sulla forza; non la fede ad ogni costo

ma la simulazione e la dissimulazione; non una natura sola ma almeno due, quella della volpe e quella del

leone, che il principe deve usare a seconda che i tempi e le persone richiedano la forza o la scaltrezza.

L'innovazione di Machiavelli era troppo radicale per poter essere subito pacificamente accettata.

Ad esempio Giovanni Botero, ex gesuita e vicino all'espansionistica casa dei Savoia, in "Della regione di

di

Stato", utilizzò Tacito per depotenziare in direzione cristiana la dottrina di Machiavelli, proponendosi

rimettere la ragion di stato sotto "la giurisdizione della coscienza"

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
28 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/03 Storia delle istituzioni politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Grace_95 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle istituzioni politiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università del Salento o del prof Isoni Alessandro.