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LA LIBERTÀ
Gaio afferma che gli schiavi vadano inclusi non fra i soggetti di diritto ma fra gli oggetti;
infatti, per i Romani, gli schiavi non avevano capacità giuridica. Il diritto romano in sé non volle la
schiavitù, che è invece un’esperienza ovvia di tutta l'età antica, tollerata anche nel pensiero
filosofico, eccetto il pensiero stoico; il pensiero cristiano, religione prima tollerata con Costantino
e poi resa di Stato da Teodosio, non negava e non condannava la schiavitù, benché i Vangeli
predicassero diversamente.
La schiavitù inoltre seguì un'evoluzione nei secoli: a seconda del periodo storico si possono
individuare schiavi in condizioni sociali migliori rispetto ai liberi; ad esempio, nel 2° secolo aC,
era presente la figura del cd. schiavo manager, ovvero soggetti di primissimo piano nell'economia,
nella società e nella cultura romana.
Lo schiavo è quindi una res; Gaio afferma che siano res mancipi, ovvero i beni più
importanti economicamente. Non possiede capacità giuridica, non è soggetto di diritto ma possiede
capacità di agire, in quanto esistono i requisiti di capacità di intendere e volere e la maggiore età:
si crea quindi una situazione anomala in quanto si configura un soggetto capace di fare atti
giuridici ma non titolare di capacità giuridica.
Il primo modo per diventare schiavo è a seguito della sconfitta in guerra: nel diritto romano
esiste il diritto di guerra che prevede nelle regole scritte e non scritte che il vincitore occupi la
preda bellica, ovvero il bottino di guerra; lo stesso tipo di occupazione riguarderà anche un modo
di acquisto della proprietà: tale concetto però contrasta con il diritto naturale.
Un ulteriore modo di diventare schiavo è per nascita: il prodotto di una donna schiava
quindi nasce in condizione servile; se un individuo viene concepito da donna schiava ma partorito
da donna libera, costui nasce libero: nella visione stoica, assorbita dai giuristi romani, l'embrione è
una porzione della donna. La nascita da uomo libero deriva dal concetto del favor libertatis,
ovvero nel diritto romano si riteneva opportuno sempre l'acquisto della libertà; quindi anche un
individuo concepito da donna libera e partorito da donna schiava, oppure da donna libera anche
solo per pochi istanti fra il concepimento e il parto, nascerà libero. Inoltre, ciò spesso poteva
favorire anche il dominus che unitosi alla schiava desiderava che il figlio nascesse libero.
Il procedimento di liberazione dello schiavo si chiamava manumissio; tale atto era
legittimo solo se eseguito dal dominus, ovvero il proprietario esclusivo dello schiavo: l'atto è
definito abdicativo, in quanto il dominus rinuncia ad una sua proprietà. Lo schiavo viene liberato
per motivazioni sociali e non giuridiche; in età Augustea, a causa di problematiche sociali, arrivò
una limitazione alle manomissioni: un'emissione non graduale ma abnorme di liberi poteva creare
problemi sociali molto importanti.
La manomissione è un atto o negozio giuridico, ossia un atto volontario di un soggetto; con
tale atto si annulla un diritto di proprietà facendo nascere lo status di soggetto di diritto.
La manomissione tipica è quella per verghetta, ossia un atto fittizio che simula un
processo; spesso addirittura i dominus liberava lo schiavo in presenza di un magistrato anche in
situazioni non processuali.
La seconda modalità è mortis causa; nell'asse ereditario rientrano anche gli schiavi
ovviamente in quanto res. Il dominus quindi può prevedere una manomissione testamentaria, cioè
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alla morte dello stesso lo schiavo verrà liberato.
Una terza modalità riguarda l'iscrizione di uno schiavo da parte del dominus in un registro
censorio: tale modalità è definita manomissione per censo.
La manomissione è un atto giuridico di ius civile; nel caso in cui non si seguisse una delle
tre procedure sopra esposte, lo schiavo non è libero per lo ius civile in quanto non è stata rispettata
la forma. In questo caso uno schiavo liberato può essere rivendicato; se però un cittadino riconosce
che quello schiavo è stato liberato, allora il giudice può manometterlo in giudizio (manomissione
pretoria). Il pretore quindi, anche se il procedimento non si è svolto in modo giusto e legittimo,
manomette lo schiavo; tale tipo di manomissione non può essere quindi definita giusta e legittima,
perché non esegue il rito secondo un procedimento formale. In questo caso quindi si può affermare
che il diritto onorario supera il ius civile.
Riguardo il profilo patrimoniale del servo e quindi la capacità d'agire, il servo nel tempo
diventa uno strumento fondamentale nella società romana; egli infatti può eseguire atti giuridici
validi di compravendita e dismissione. L'acquisto del servo è subordinato al dominus, quindi egli
acquista solo da padrone; riguardo la dismissione, il servo aliena sue porzioni di patrimonio di
proprietà del dominus. Essendo il servo capace di agire ma non soggetto di diritto, si provoca una
problematica a livello concettuale; in caso di controversie, ad esempio, se un individuo cita in
giudizio un servo, costui non può essere chiamato a rispondere. Un servo può quindi compiere atti
giuridici che lo vincolano, ma questi sono validi solo se il servo spontaneamente adempie; se
costui invece non adempie, l'opponente non ha strumenti processuali per citarlo in giudizio: ciò è
definito obbligazione naturale; il servo è quindi obbligato a pagare spontaneamente e se ciò non
avviene controparte non ha diritto di riscuotere. Tale concezione si può ritrovare nel Codice Civile
all'articolo 2034, applicabile ad esempio nei debiti di gioco. La soluti retentio è quindi prevista, ma
la corresponsione, se non spontanea, non è richiedibile processualmente.
A livello economico però tale modello è molto debole; è nell'interesse dei domini che il
servo sia giuridicamente credibile: il pretore risolve tale problematica. Il pretore prevede una
funzione aggiuntiva, ossia si ritiene che anche il dominus vada chiamato in giudizio in caso di
controversie. Se il servo viene preposto ad un'attività commerciale si chiama institore; tale figura
era pubblicizzata alla comunità mediante l'atto della praepositio, nel quale era indicata la mansione
dello schiavo. Mediante la praepositio il pretore permette che, in caso di inadempienza, si possa
citare il dominus in giudizio per adempiere; l'azione è definita institoria/exercitoria ed il
responsabile è appunto il dominus. Tali azioni sono a responsabilità illimitata del dominus e
possono essere attivate solo se il debito del servo nasce all'interno delle mansioni previste dalla
praepositio.
Allo schiavo può essere inoltre concesso dal dominus un peculius, ovvero una porzione di
patrimonio affidata alla disponibilità materiale del servo (che non può essere titolare di proprietà in
quanto non soggetto di diritto); il servo è libero di fare ciò che vuole con questo. Il negoziante, in
caso di adempimenti, può agire solo nei limiti del peculio nei confronti del dominus (actio de
peculio); quindi la responsabilità del dominus è limitata al peculio concesso al servo. Da ciò nasce
la concezione del rischio d'impresa: il servo diventa uno strumento economico molto importante,
in quanto agisce nei limiti del peculio ed in caso di fallimento dell'impresa il dominus perde solo il
peculio investito e concesso al servo.
Esiste inoltre una terza azione di tipo aggiuntivo, ossia l'actio quod iussu; consiste
nell'ordine dato dal dominus ad un terzo di negoziare con il servo riguardo ad un determinato
affare: la responsabilità è quindi illimitata ma solo riguardo l'affare previsto.
L’editto del pretore: esempi di formule processuali (3) - Vademecum
C) Actio empti (Azione di compera): “Sia giudice C.Aquilio. Posto che A.Agerio ha venduto a N.Negidio lo schiavo di
cui si tratta con riguardo a tutto ciò che, in forza di tale rapporto, N.Negidio deve dare o fare in favore di A.Agerio
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secondo bona fede, il giudice C.Aquilio condanni N.Negidio nei confronti di A.Agerio; se non apparirà, lo assolva.”
La demonstratio riguarda un'azione incerta: all'interno di una compravendita vi sono una
serie di eventi non prevedibili dalle parti
D) Actio empti institoria (Azione institoria di compera): “Sia giudice C.Aquilio. Poiché A.Agerio ha comprato da
L.Tizio, essendo costui preposto da N.Negidio alla impresa commerciale, dieci libbre d’olio nell’esercizio di tale
impresa - materia del contendere - con riguardo a tutto ciò che, in forza di tale rapporto, L.Tizio deve dare o fare in
favore di A.Agerio secondo buona fede, il giudice C.Aquilio condanni N.Negidio nei confronti di A.Agerio; se non
risulta lo assolva.”
Nella condanna compare il nome dello schiavo; azione con trasposizione di soggetti: nella
condanna non può comparire il nome dello schiavo in quanto non è soggetto di diritto.
E) Actio depositi de peculio et in rem verso (azione di deposito nei limiti del peculio e del versato): “Sia giudice
C.Aquilio, poiché Aulo Agerio ha depositato un tavolo d’argento presso lo schiavo Stico, che è nella potestà di
Numerio Negidio – materia del contendere – con riguardo a tutto ciò che, per tale causa, lo schiavo Stico, se fosse
libero in base al diritto dei Quiriti, dovrebbe dare o fare ad Aulo Agerio secondo buona fede, Il giudice C. Aquilio
condanni Numerio Negidio nei confronti di Aulo Agerio nei limiti del peculio, ivi incluso quanto per dolo di Numerio
Negidio è stato eventualmente fatto al fine che non si trovasse nel peculio oppure nei limiti di quanto da ciò sia stato
eventualmente rivolto a profitto di Numerio Negidio, se non risulta lo assolva.”
Il dominus è responsabile nei limiti del peculio; viene quindi condannato il dominus nel
caso in cui lo schiavo non abbia adempiuto ad un contratto, ma solo nei limiti del peculio.
Se il tavolo viene consegnato al dominus insieme al peculio, Aulo Agerio non solo può
soddisfarsi nei limiti del peculio ma può anche inseguire i rapporti patrimoniali fra dominus e
schiavo atti ad evitare il pagamento da parte dello schiavo; et in rem verso significa quindi anche
nei limiti del versato dallo schiavo al dominus per occultare il reale peculio.
Dicesi taxatio il limite che il pretore impone al giudice riguardo al denaro effettivamente
prelevabile (peculio e quota versata). LA CITTADINANZA
Idea della cittadinanza è molto particolare a Roma, individuabile secondo il principio dello