Intervento psicologico nella scuola e nelle istituzioni educative – Autismo
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AUTISMO
Cap.1 Che cos’è l’autismo
1. Fatti, teorie e metodi di ricerca
• Sono state confutate le ipotesi secondo le quali l’autismo è causato da un comportamento
inadeguato della madre;
• Sono state dimostrate le origini genetiche del disturbo;
• Sono state chiarite peculiarità in ambito cognitivo, emotivo e percettivo;
• Sono stati inventati strumenti utili alla diagnosi precoce e alla valutazione della gravità del
disturbo;
• È stato controllato sperimentalmente l’effetto di varie tecniche di intervento educativo.
Non è ancora chiaro quali fattori ambientali possano contribuire all’insorgere del disturbo o
influenzarne il decorso. Non si conoscono ancora cure la cui efficacia sia rigorosamente
dimostrata. Non sono stati identificati i geni responsabili del disturbo; l’identificazione delle sue
basi neurali è solo agli inizi.
2. Origine del termine autismo
L’autismo è un disturbo dello sviluppo mentale dovuto ad una patologia dell’ontogenesi del
sistema nervoso centrale. Il termine «autismo» venne inventato da Eugen Bleuler, il quale
chiamava «chiusura autistica» la difficoltà di relazione sociale delle persone colpite da
schizofrenia. I primi a ipotizzare l’esistenza di una «sindrome autistica» furono Leo Kanner e
Hans Asperger. La sindrome di Asperger e l’autismo sono parte di una serie di disturbi che
vengono chiamati Disturbi dello spettro Autistico (DSA).
3. Le prime ipotesi
Kanner propone nove caratteristiche fondamentali per la sindrome autistica: 1) peculiarità
nelle relazioni sociali, 2) disturbi del linguaggio, 3) buone capacità di memoria e
apprendimento, 4) disturbi dell’alimentazione, 5) reazioni emotive eccessive, 6) aderenza alle
routine, 7) buone relazioni con gli oggetti fisici, 8) impaccio motorio e 9) provenienza da
genitori intellettualmente dotati. Alcune di queste caratteristiche hanno trovato conferma nelle
successive indagini. Altre sono considerate ora disturbi associati all’autismo, ma non centrali
per la diagnosi. Per altre infine l’associazione con l’autismo è stata invalidata dalle ricerche.
1) Incapacità di relazione sociale. Secondo Kanner questo è il disturbo fondamentale
dell’autismo. Sin dalla nascita il bambino manifesta un’estrema «solitudine autistica».
2) Abilità linguistica sviluppata con ritardo e senza funzioni comunicative. I bambini non
usano il linguaggio per veicolare significati. Parole e frasi vengono ripetute letteralmente
(ecolalia), senza legami con l’interlocutore o con il contesto. Questo vale anche per l’uso di
pronomi personali di prima e seconda persona singolare, che vengono ripetuti come vengono
sentiti.
3) Buone potenzialità cognitive e di memoria. Il linguaggio viene deviato verso un esercizio di
memoria semanticamente e comunicativamente privo di valore attraverso la capacità dei
bambini di apprendere tramite la semplice ripetizione.
4) Disturbi dell’alimentazione. Presenti fin dalla nascita e talvolta così gravi da richiedere la
somministrazione coatta del cibo. Kanner interpreta questi disturbi come un tentativo di tenere
fuori il mondo e impedire qualsiasi intrusione all’esterno.
5) Panico per rumori e per oggetti in movimento. Questi attacchi non sembravano dovuti
all’intensità del rumore, poiché talvolta il medesimo bambino provava piacere nel produrre
rumori altrettanto intensi.
6) Ripetitività monotona. I bambini hanno un desiderio ansioso e ossessivo per mantenere
delle cose immutate. Il cambiamento provoca disagio, terrore, panico.
7) Buone «relazioni con oggetti inanimati». Il bambino non teme l’intrusione di oggetti
inanimati nel suo mondo se questi non mutano apparenza e posizione. Anzi, possono dare
molto piacere ai bambini autistici quando si adattano ad un uso preferenziale, ad esempio
quello di farli ruotare su se stessi. Secondo Kanner il fervore estatico che accompagna questi
gesti indica una «gratificazione orgasmica».
8) Fisico normale, impaccio motorio. Le capacità di manipolazione e prensione paiono intatte.
Alcuni dei bambini osservati però erano impacciati nell’andatura, nella coordinazione motoria e
nella regolazione della postura.
9) Appartenenza a famiglie intelligenti. Kanner nota che tutti i bambini da lui esaminati
provenivano da «famiglie molto intelligenti».
Alcune ipotesi iniziali sono state falsificate dalla ricerca scientifica. Ad esempio, non è vero che
esiste una relazione fra autismo e intelligenza dei genitori; anche l’affermazione che la maggior
parte dei bambini autistici abbiano buone potenzialità cognitive è stata confutata
empiricamente (più del 70% presenta ritardo mentale). Infine, non c’è, a tutt’oggi, alcuna
conferma dell’ipotesi che il comportamento «ritirato» dei bambini serva a sbarrare le intrusioni
del mondo esterno nel mondo interno. Sembra però che Kanner avesse ragione nel proporre
che il disturbo si a congenito, anche se spesso non è manifesto alla nascita.
4. La diffusione
Vari studi condotti in Gran Bretagna, Stati Uniti, nei paesi scandinavi e in Giappone hanno
trovato un’incidenza di circa 2 casi per 10.000. Il disturbo è molto più frequente nei maschi che
nelle femmine. Studi condotti in Gran Bretagna hanno trovato una maggiore incidenza nelle
famiglie provenienti da paesi asiatici e centroamericani.
5. La ricerca delle cause
L’origine genetica di molti casi di DSA è ormai indubitabile, tuttavia non sono stati ancora
individuati i geni coinvolti. Per quanto riguarda le cause psicologiche, le spiegazioni individuano
problemi nell’elaborazione delle informazioni che danno origine alle difficoltà comportamentali.
Per quanto concerne quelle biologiche, le risposte date a questo livello individuano le basi
neurali e genetiche delle funzioni e disfunzioni mentali. I livelli di spiegazione psicologico e
biologico non si escludono a vicenda. Le cause evolutive sono quelle che determinano le
devianze del processo ontogenetico. Esempi di cause evolutive biologiche sono l’infezione
virale, o l’anomalia genetica, mentre a livello psicologico possiamo trovare la deprivazione
nell’imput ambientale durante un periodo critico per lo sviluppo. Le cause immediate sono i
fattori che contribuiscono nel presente alla manifestazione di una certa difficoltà. Esempi di
cause immediate di tipo biologico sono la presenza di una eccessiva quantità di un certo
neurotrasmettitore o la malformazione di una struttura cerebrale. Esempi di cause immediate
psicologiche sono la mancanza di una particolare conoscenza concettuale o di una procedura di
elaborazione delle informazioni.
Cap.2 Aspetti diagnostici e basi biologiche
1. I deficit centrali nell’autismo
Questi deficit sono raggruppati in tre aree: le relazioni sociali, le capacità comunicative, il
repertorio di attività e interessi. Per dare risalto alla grande variabilità interindividuale e
all’esistenza di un continuum di gravità del disturbo, alcuni esperti parlano ora di Disturbi dello
Spettro Autistico (DSA). A sostegno di questa concezione «continuista» è stato scoperto che
alcune caratteristiche sociali e attentive tipiche degli autistici possono presentarsi in forma
lieve, anche nei loro genitori. Nello schema del DSM i sintomi dell’autismo sono divisi in tre
aree: interazione sociale, comunicazione e immaginazione. L’aspetto deviante più caratteristico
è la mancanza di interazione sociale. I bambini autistici manifestano scarso interesse per il
gioco sociale e per il condividere le esperienze, hanno scarsa consapevolezza dei sentimenti
altrui e permanenti difficoltà nello sviluppare amicizie.
L’attività comunicativa in alcuni casi è completamente assente, in altri casi può essere
frequente, ma caratterizzata da messaggi non appropriati al contesto. I comportamenti tipici
includono ecolalia, la sostituzione dei pronomi personali «tu» e «io», il contorno intonazionale
monotono e piatto, le espressioni facciali improprie, lo scarso contatto oculare, le difficoltà a
iniziare e continuare una conversazione. Il gesto di indicazione è presente, ma solo con
funzione richiestiva. L’indicazione non richiestiva, o «protodichiarativa», compare con grave
ritardo o per nulla.
Gli interessi sono molto limitati e ossessivamente rivolti verso un atteggiamento specifico. Il
cambiamento di routine provoca un’ansia esagerata. Vi può essere un interesse molto
accentuato per parti di oggetti o del corpo. Manca il gioco di finzione spontaneo. Sono frequenti
le stereotipie motorie quali lo «sfarfallamento» delle mani: il bambino si porta ripetutamente le
mani ai lati della testa e le fa oscillare, oppure muove le dita come se stesse grattando o
facendo il solletico all’aria. Fra gli strumenti diagnostici più usati troviamo la Autism Diagnostic
Interview – Revised e la Autism Diagnostic Observational Schedule. L’Autism Screening
Questionnaire (ASQ) è utile nelle fasi iniziali della diagnosi. A questi elementi si affiancano
strumenti di valutazione della gravità del disturbo, quali l’ABC (Autistic Behavior Checklist) e il
CARS (Childhood Autism Rating Scales).
Una distinzione adottata è quella fra autismo primario e secondario.
Criterio diagnostico per l’autismo del DSM-IV:
I. Primo punto. Almeno due sintomi nell’ambito del deficit dell'interazione sociale, uno dei
sintomi elencati nell’area del deficit della comunicazione e uno fra quelli di del deficit negli
interessi e nelle attività.
II. Secondo punto. Ritardo o sviluppo anormale manifestato prima dei tre anni in almeno una
delle seguenti aree: interazione sociale, uso comunicativo del linguaggio, gioco di finzione
III. Terzo punto. Il disturbo non soddisfa il criterio per la diagnosi di altri disturbi evolutivi quali
il disturbo di Rett o il disturbo disintegrativo.
2. Le abilità preservate
Una delle abilità savant degli autistici riguarda certi tipi di memorizzazione e di apprendimento,
per esempio quello relativo agli argomenti in cui è focalizzato l’interesse del bambino. Vi sono
poi abilità spaziali come quelle rilevate nel test delle figure incluse o il Block design delle scale
di intelligenza Wechsler. Le abilità discriminative nella modalità visiva e uditiva possono essere
molto sviluppate. Alcuni autistici possiedono l’«orecchio assoluto» (precisione nello stabilire se
una data stimolazione uditiva corrisponde ad una nota musicale). Un’altra capacità talvolta
molto sviluppata è il calcolo delle date del calendario. Si sono riscontrate anche superiori abilità
grafiche dimostrate nelle prove di copia di ambienti e soggetti.
3. I disturbi associati
Fra questi vi sono: il ritardo mentale e del linguaggio, le anomalie della deambulazione e di
altre abilità motorie, i disturbi dell’alimentazione, le risposte insolite a stimolazioni sensoriali,
l’irritabilità all’essere toccati e le reazioni esagerate a certi stimoli o situazioni.
Circa il 70% dei bambini autistici presenta un ritardo mentale medio o grave. Il ritardo mentale
è più frequente tra i bambini piccoli che fra gli adolescenti e gli adulti; è raro osservare
bambini autistici di età inferiore ai cinque anni che non presentino ritardo mentale.
4. Le prime manifestazioni e la diagnosi nei primi anni
Secondo Kanner l’autismo è presente fin dalla nascita. La mancanza di atti anticipatori
all’essere presi in braccio è stata confermata in uno studio condotto sulle videoregistrazioni
eseguite dai genitori di bambini autistici nei primi anni di vita. Altri studi riportano tuttavia uno
sviluppo complessivamente normale fino a circa 12 mesi. I genitori spesso riportano anomalie
comportamentali nella seconda metà del secondo anno di vita; in alcuni bambini manifestazioni
devianti sono state osservate nel primo anno di vita. Tra quelle più frequenti troviamo
irritabilità, disturbi del ritmo sonno/veglia e dell’alimentazione. Queste però non sono anomalie
specifiche del DSA.
Uno dei metodi adottati per affrontare il problema dell’insorgenza precoce è quello delle
indagini retrospettive. Esse si basano sui resoconti forniti dalle madri dopo che è stata
formulata la diagnosi di autismo. La difficoltà è che i ricordi possono essere influenzati dalla
diagnosi e dalle esperienze successive. Studi svolti con test per la valutazione dello sviluppo
sociale (le scale Vineland) mostrano nei bambini con autismo anomalie relative a molti
comportamenti sociali semplici: incapacità di adattamento posturale, anomalie affettive verso i
familiari, interessi anomali verso altri bambini, anomali tentativi di avvicinarsi alle persone
note, interesse anomalo per le attività degli altri e anomala imitazione di semplici movimenti
come il saluto. Altri studi hanno esaminato il valore predittivo delle valutazioni mediche sullo
stato di salute nei bambini prima dei due anni. Sono predittive le valutazioni condotte a
diciotto mesi, ma non quelle condotte a dodici mesi.
Un terzo metodo è quello degli studi prospettivi. Essi consistono nell’osservazione dei bambini
in età precoce, anche prima di poter formulare una diagnosi certa. Baron-Cohen, Allen e
Gillberg hanno indagato il valore diagnostico del ritardo nell’emergenza di vari comportamenti
sociali in bambini di diciotto mesi. Sono stati esaminati bambini con un fratello maggiore
autistico, valutando il ritardo con un breve questionario che viene compilato con l’aiuto dei
genitori e l’osservazione diretta. I risultati suggeriscono l’assenza di alcuni comportamenti quali
l’attenzione condivisa (guardare alternativamente un oggetto e l’interlocutore), l’indicazione
non richiestiva e il gioco di finzione hanno, all’età di diciotto mesi, un alto valore diagnostico.
Basare una valutazione solo su questi indici può portare purtroppo a molti falsi negativi.
5. Le differenze fra autismo e altri disturbi simili
Sindrome di Asperger. Le persone con sindrome di Asperger soddisfano il criterio diagnostico
dell’autismo, ma non presentano ritardi intellettivi e linguistici. La seconda differenza riguarda
l’impaccio motorio, generalmente più presente in questa sindrome, anche se alcuni studi
dimostrano la loro presenza anche nell’autismo. La sindrome di Asperger è un DSA in cui il
ritardo intellettivo è assente o molto ridotto. DSM-IV Sindrome di Asperger:
a) Deficit dell’interazione sociale
b) Repertorio di interessi e attività ristretti
c) malfunzionamento in ambito sociale e occupazionale
d) Nessun ritardo del linguaggio evidente nell’osservazione clinica
e) Nessun ritardo cognitivo evidente nell’osservazione clinica
f) Non viene soddisfatto il criterio per un altro disturbo pervasivo dello sviluppo
Schizofrenia. Assomiglia all’autismo nei deficit sociali e comunicativi. Un aspetto cruciale è
l’età in cui compare il disturbo; precoce, prima dei tre anni, nel caso dell’autismo e tardiva,
dopo la prima infanzia, nella schizofrenia. Le persone con autismo non hanno allucinazioni
visive né auditive, e inoltre, l’autismo è associato al ritardo mentale più di quanto lo sia la
schizofrenia. Negli schizofrenici di solito non si trovano le ossessioni per gli oggetti o parte di
essi e il loro uso ripetitivo, e i movimenti ritualizzati non sono presenti nei DSA.
Disturbo di Rett. Qui sono osservabili i sintomi tipici dell’autismo, ma questi sono accompagnati
da uno sviluppo vistosamente anomalo dell’encefalo. Fra i cinque mesi e i quattro anni,
l’accrescimento della testa subisce un rallentamento, vengono perse o si deteriorano alcune
abilità di manipolazione e deambulazione acquisite precedentemente, compaiono stereotipie
motorie. Lo sviluppo del linguaggio presenta gravi ritardi, sia nelle abilità di comprensione che
di espressione. Il disturbo di Rett si osserva solo nelle femmine, mentre l’autismo colpisce
entrambi i sessi, ed è più frequente nei maschi.
6. Origini genetiche e basi biologiche.
Sulle origini genetiche le prove più convincenti riguardano il confronto tra fratelli gemelli
identici e fratelli non identici. Data la rarità di bambini con autismo e con un fratello gemello
identico è facile immaginare quanto sia difficile raccogliere casistiche sufficientemente ampie
da permettere un confronto tra gruppi.
In tre importanti studi non si sono osservati casi di autismo nel gruppo dei fratelli gemelli
dizigoti. Nel caso invece di fratelli monozigoti Folstein e Rutter hanno trovato il 37% di fratelli
affetti dalla stessa sindrome. Steffenburg e colleghi il 90%, Bailey e colleghi il 69%
dimostrando così il ruolo centrale del patrimonio genetico. Un altro dato che indica il ruolo della
componente genetica riguarda i fratelli non gemelli. La concordanza della diagnosi di DSA in
coppie di fratelli non identici è del 2-6%, mentre l’incidenza nella popolazione in generale è
molto più bassa, uno su mille o uno su duecento.
Non è stato individuato alcun gene dell’autismo ed è molto improbabile che esista un solo gene
responsabile. Un’altra recente fonte di prove è costituita dalle ricerche sui genitori dei bambini
con autismo. Alcuni studi hanno messo in evidenza significative caratteristiche dell’autismo nel
comportamento e nelle funzioni cognitive dei padri dei bambini con autismo, ad esempio un
maggiore successo in compiti che richiedono un ragionamento su problemi fisici invece che
psicologici e una tendenza a elaborare informazioni privilegiando l’analisi di dettagli piuttosto
che aspetti strutturali globali.
7. Spiegazioni funzionaliste e neuropsicologia dell’autismo.
Diversamente dalla neuropsicologia classica, la moderna neuropsicologia cognitiva pone in
primo piano non la localizzazione, ma l’identificazione e la descrizione delle funzioni mentali
stesse. Per spiegare funzionalmente un disturbo del comportamento dobbiamo definire con
precisione i processi mentali che normalmente sottostanno a tale abilità. Le spiegazioni
funzionali in neuropsicologia cognitiva scompongono le capacità mentali in rappresentazioni e
processi. La rappresentazione è «qualcosa che sta per qualcos’altro» (il suo significato).
Secondo molti scienziati alcune rappresentazioni mentali sono di tipo simbolico e i
simboli che le compongono vengono combinati rispettando regole sintattiche, proprio
come succede per il linguaggio. Le spiegazioni funzionali sono irriducibili alle spiegazioni
fisiologiche o fisiche.
Alcuni processi mentali manifestano un’organizzazione modulare. I moduli mentali sono
componenti specializzate e relativamente indipendenti l’una dall’altra. Il loro funzionamento è
automatico, veloce, obbligatorio quando sono presenti certe condizioni di stimolo e basato su
rappresentazioni specializzate per un certo dominio (es. numeri, musica, regole grammaticali).
La neuropsicologia dell’autismo permette di affrontare empiricamente uno dei problemi centrali
per le neuroscienze: quello della specificità di dominio nei processi mentali ontogenetici. Il
problema, semplificando un po’, è questo: l’acquisizione di conoscenze in domini diversi (es.
numeri, grammatica, cause meccanica, processi psicologici) viene promosso dagli stessi
meccanismi, oppure da meccanismi specializzati e diversi per un solo dominio? Lo studio
dell’autismo si è rivelato di grande utilità nel dare una risposta a questa domanda. Una buona
teoria neuropsicologia dell’autismo può essere infine di grande aiuto nella ricerca di tecniche di
intervento. Un intervento educativo efficace individua gli obiettivi da raggiungere e impiega
metodi appropriati alle capacità del bambino. La definizione degli obiettivi e l’individuazione dei
mezzi educativi per raggiungerli dipendono dalle conoscenze che abbiamo delle funzioni e
capacità di apprendimento danneggiate e preservate nelle persone con autismo.
Gli scopi di una teoria neuropsicologia generale dell’autismo sono tre: 1) fornire una
spiegazione funzionale del disturbo, 2) localizzare le funzioni mentali e 3) guidare la ricerca di
tecniche d’intervento.
Capitolo 3 Comunicazione e linguaggio
1. Selettività e specificità dei deficit
Le capacità di espressione verbale di bambini con autismo migliorano con l’età, dunque anche
in questo settore bisogna affrontare il problema della variabilità inter- e intraindividuale.
Parliamo di deficit selettivo quando il deficit è più accentuato di quello che ci si può aspettare
in base al ritardo mentale. La valutazione della selettività avviene utilizzando test diversi,
compiti di controllo e gruppi di controllo. La selettività può essere distinta dalla specificità: il
deficit x è specifico per l’autismo quando non è presente in bambini senza autismo. Nel caso di
deficit isolati, o molto circoscritti, si parla di deficit puri. In ogni autistico vi sono in generale
vari deficit selettivi, quindi non vi sono deficit puri.
2. Codice linguistico, comunicazione e acquisizione del linguaggio
Le ricerche concludono che, a grandi linee, le conoscenze grammaticali, lessicali e fonologiche
sono spesso coerenti con il livello di sviluppo mentale generale, mentre gli aspetti pragmatici
sono selettivamente danneggiati. La pragmatica riguarda l’adattamento del linguaggio agli
scopi e al contesto comunicativo. Fra gli aspetti pragmatici che risultano deficitari vi sono le
capacità di iniziare una conversazione, l’uso di pronomi personali contestualmente adeguati e
la prosodia.
Linguaggio e pensiero sono processi distinti, sebbene fra loro collegati. Il linguaggio codifica il
pensiero, lo rende conscio e comunicabile, può influenzare il ragionamento, ma non è
necessario alle attività di pensiero. Gli elementi che compongono il linguaggio sono
individuabili a più livelli. Al livello più «semplice» troviamo i fonemi (i suoni linguistici), e le
combinazioni fonetiche ammesse da una lingua. Vi sono poi i morfemi (le parti di parole dotate
di significato), le parole intere, le parti di una frase, le frasi, le parti di un discorso e infine, i
discorsi. Tutte queste unità vengono combinate secondo le rigide regole della grammatica. Fra
queste regole vi sono le regole fonologiche, morfologiche e sintattiche.
Un ritardo dello sviluppo grammaticale, nell’acquisizione sia delle regole morfologiche sia di
quelle sintattiche, si osserva con frequenza nell’autismo.
3. Acquisizione del significato delle parole
Vincoli semantici e pragmatici. Molte ricerche hanno mostrato che nell’udire un nome nuovo i
bambini tendono a pensare che questo si riferisca all’oggetto intero e non al colore, alla
grandezza, alla posizione, o a una sua parte. Questa tendenza viene attribuita all’uso di un
vincolo, il vincolo dell’oggetto intero. Esso dipende probabilmente da aspetti generali del
funzionamento del sistema percettivo. Il mondo ci appare come composto da oggetti interi.
Secondo un altro vincolo, quello della mutua esclusività, per uno stesso oggetto non ci possono
essere due nomi diversi. In alcune occasioni però i vincoli possono diventare un ostacolo
all’apprendimento. Ad esempio, se il bambino tende a usare sempre il vincolo dell’oggetto
intero può essere ostacolato nell’apprendere gli aggettivi o i nomi per le parti di oggetti.
Sembra che l’applicazione del vincolo dell’oggetto intero possa essere bloccata dal vincolo
della mutua esclusività. In questo modo il bambino imparerebbe l’uso di parole che si
riferiscono a parti di un oggetto conosciuto. In uno studio eseguito con i metodi di Markman e
Wachtel, a bambini con autismo, ad altri con ritardo mentale e a soggetti con sviluppo normale
di pari età mentale a quella dei bambini con autismo, veniva richiesto di svolgere un compito di
interpretazione di parole nuove. I bambini con sindrome di Down e quelli con sviluppo tipico
pensavano che il nome nuovo riferito ad un oggetto conosciuto si riferisse ad una parte
dell’oggetto, mentre nel caso di oggetti sconosciuti pensavano si riferisse all’oggetto intero. Al
contrario, i bambini con autismo sceglievano la parte dell’oggetto in entrambi i tipi di prove.
Questo risultato suggerisce che i bambini con autismo non sono in grado, o trovano grande
difficoltà, ad applicare il vincolo dell’oggetto intero. In un esperimento successivo è stato
studiato se i bambini con autismo erano in grado di applicare il vincolo della mutua esclusività
nel caso in cui la sua applicazione non dovesse opporsi alla loro tendenza all’elaborazione di
informazioni locali. In questo esperimento non sono state trovate differenze con il gruppo di
controllo.
Sviluppo lessicale e «teoria della mente». Baldwin ha dimostrato che i bambini di diciotto mesi
con sviluppo tipico non si limitano registrare il verificarsi simultaneo di parole ed esperienze
visive per dedurre il significato di parole. Nella situazione sperimentale da lui proposta il
bambino e lo sperimentatore sedevano ai lati di un tavolo dove si trovavano due oggetti
sconosciuti. Mentre il bambino manipolava uno di essi lo sperimentatore affermava «Oh, è un
modi», ma i bambini non sempre interpretavano la parola nuova come un riferimento
all’oggetto che stavano manipolando. Se lo sperimentatore, nel pronunciarla, guardava l’altro
oggetto, i bambini dimostravano di interpretare la parola come riferimento all’oggetto
osservato dallo sperimentatore. Quindi, a diciotto mesi, i bambini utilizzano lo sguardo di chi
pronuncia una parola nuova per interpretarla correttamente. Questo studio è stato replicato
con bambini autistici da Baldwin: le interpretazioni basandosi sullo sguardo dei bambini
autistici arrivavano solo al 29%. Intervenire allora nel controllo dello sguardo potrebbe essere
un modo per aiutare i bambini autistici a sviluppare non solo maggiori capacità sociali, ma
anche migliori conoscenze linguistiche.
I processi di categorizzazione: un prerequisito per l’apprendimento del significato delle
parole. La categorizzazione è la funzione cognitiva che permette di formare classi di oggetti,
eventi o altre entità sulla base di qualche somiglianza, e trattare vari individui come
equivalenti, sebbene differiscano in molti aspetti che tuttavia percepiamo. Le capacità di
categorizzazione dei bambini autistici sono state studiate da Ungerer e Sigman registrando i
soggetti mentre manipolavano e raggruppavano spontaneamente alcuni oggetti. Oltre alla
capacità di categorizzazione, veniva valutata la capacità di linguaggio ricettivo dei bambini, per
evidenziare le relazioni fra sviluppo linguistico e sviluppo delle capacità di categorizzazione. Il
risultato principale è che fra i gruppi di bambini non è emersa alcuna differenza nelle capacità
di categorizzare oggetti in base alla forma, al colore e ad alcune categorie generali come veicoli
e animali. Nei bambini con autismo il deficit nella categorizzazione è riconducibile al loro
generale livello di sviluppo intellettivo. Per quanto riguarda le relazione tra categorizzazione e
sviluppo del linguaggio vi era un’associazione significativa nel gruppo di controllo, ma non fra
gli autistici. Quindi la presenza di buone capacità di categorizzazione non è sufficiente a
garantire lo sviluppo linguistico nei bambini autistici, e il loro ritardo linguistico non è
attribuibile a difficoltà nei processi di categorizzazione.
Vi sono infine alcuni studi sull’organizzazione delle conoscenze semantiche e sui processi di
accesso a tali conoscenze. Tager-Flusberg ha indagato la conoscenza semantica di nomi di
oggetti concreti sia a livello di base (barca, uccello), sia a livello più generale (utensile, cibo). I
bambini dovevano decidere quali degli oggetti presentati appartenevano alla categoria
nominata dallo sperimentatore. Il risultato è stato una prestazione dei bambini autistici
complessivamente buona ed equivalente a quella degli altri gruppi. È importante notare che i
membri dei concetti di livello superordinato («utensile») condividono poche caratteristiche
percettive e la loro appartenenza categoriale è determinata da proprietà funzionali di
complessità e astrazione talvolta notevoli. Le capacità dimostrate degli autistici quindi
contraddicono qualsiasi teoria che affermi un’associazione stretta fra autismo e
generali problemi nella rappresentazione concettuale astratta.
4. Comunicazione e conoscenze conversazionali
Gesti di indicazione e attenzione condivisa. Wetherby osserva che alcune funzioni comunicative
nei bambini autistici sono molto frequenti, fra queste troviamo le richieste di azioni e di oggetti
e le proteste. Al contrario, altre funzioni, quali le richieste di informazioni, denominazioni, e
azioni dimostrative, sono totalmente assenti. Le azioni ostensive, come il mostrare un oggetto
o l’indicarlo senza l’intenzione di ottenerlo, e le denominazioni di oggetti sono del tutto assenti.
È importante notare che non manca una certa forma comunicativa, ad esempio il gesto di
indicazione, quanto piuttosto una particolare forma veicolata da quella forma, ad esempio
l’indicare senza intenzione richiestiva. Nei bambini autistici l’assenza di indicazione
protodichiarativa permane a lungo e costituisce un importantissimo indice per la
diagnosi precoce. Queste dissociazioni suggeriscono che le due funzioni richiedono
meccanismi mentali diversi. Per l’indicazione richiestiva potrebbe essere sufficiente l’intenzione
di influenzare il comportamento dell’interlocutore, mentre per la seconda potrebbe essere
indispensabile formulare l’intenzione di agire sul suo stato mentale, in particolare il suo stato
attentivo. L’assenza di gesti protodichiarativi sarebbe quindi un’incapacità di rappresentare
stati attentivi.
Codice linguistico e massime conversazionali. Il linguaggio naturale è un sistema di
codifica/decodifica dei messaggi, ma l’attività di comunicazione non può essere ridotta allo
stesso processo. Basandosi sull’assunto di razionalità, arriviamo a interpretare correttamente
quello che una persona ci dice con una frase, una parola o qualche volta una semplice
occhiata. Per quanto veloce e spontanea, l’interpretazione di enunciati è un processo di
ragionamento, non semplicemente di decodifica. Se la produzione e la comprensione di
enunciati è basata sulla conoscenza delle massime conversazionali, oppure sulla sensibilità al
principio di pertinenza, allora una possibile fonte di difficoltà potrebbe essere l’incapacità a
determinare quando tali massime sono violate. Surian, Baron-Cohen e Van der Lely hanno
riscontrato che sia i bambini con autismo, sia i bambini con disturbo specifico del linguaggio e
sia i bambini con sviluppo tipico (4 anni) incontravano difficoltà nel rispettare la massima della
Quantità. I bambini con autismo non riconoscevano nemmeno le altre massime. In un
compito di controllo in cui le violazioni da individuare erano di tipo grammaticale invece che
pragmatico, i bambini con autismo avevano una prestazione buona comparabile a quella degli
altri bambini. Sembra improbabile quindi che le cattive prestazioni nel compito riguardante le
violazioni pragmatiche siano dovute a deficit attentivi ed esecutivi. Infine nel gruppo con
autismo si è riscontrata un’associazione significativa fra la prestazione ad una prova sulla falsa
credenza e il successo nel compito delle violazioni pragmatiche.
5. Strutture grammaticali complesse
Per applicare le regole sintattiche un parlante deve elaborare informazioni sulla struttura che
lega i sintagmi, ovvero le parti di una frase. Queste strutture sono talvolta di straordinaria
complessità, ma di tale complessità per lo più non siamo coscienti. È molto improbabile che i
bambini riescano ad apprendere queste regole attraverso meccanismo generali di natura
associativa. È invece plausibile che esista un sistema di acquisizione specializzato per lo
sviluppo sintattico. Altri meccanismi guidano l’acquisizione di aspetti diversi, ad esempio le
conoscenze e le abilità fonologiche o lessicali. Lo sviluppo grammaticale, cioè l’acquisizione
delle regole sintattiche e morfologiche, non risulta selettivamente danneggiato nell’autismo.
6. Discorsi e linguaggio figurato
Tager-Flusberg ha utilizzato un libro di figure senza parole molto spesso adottato nelle ricerche
sullo sviluppo della capacità narrativa intitolato Frog: where are you?
In confronto ai bambini con ritardo mentale e ai bambini normali, i bambini autistici
producevano storie più brevi e con un minor numero di proposizioni. Alcuni di loro addirittura
non interpretavano le figure come una sequenza di eventi legati e si limitavano a descrivere
separatamente le figure di ogni pagina. Inoltre vi era una totale assenza di affermazioni causali
sugli eventi narrati. Tager-Flusberg e Sullivan indicano una stretta correlazione tra
l’assenza di affermazioni causali e abilità nei compiti di falsa credenza. L’assenza di
tali affermazioni quindi, potrebbe derivare dall’incapacità di comprendere le cause psicologiche
dei personaggi della storia. Un altro aspetto studiato nelle persone con autismo è la loro
capacità di comprendere il linguaggio figurato. Il compito di comprendere un enunciato richiede
di andare oltre la semplice decodifica linguistica. Ciò è particolarmente chiaro nel caso delle
metafore e dell’ironia. L’ironia è un caso particolarmente complesso perché richiede
l’attribuzione di un atteggiamento particolare rispetto a uno stato mentale.
Happé ha trovato che solo alcune persone autistiche comprendevano le metafore e quasi
nessuna capiva l’ironia. La comprensione di metafore era associata significativamente alla
capacità di attribuire stati mentali.
Cap. 4 Teoria della mente
1. Metarappresentazione e «psicoagnosia»
Nella teoria metarappresentativa dell’autismo si parte dall’ipotesi che esista nella mente un
«Meccanismo della Teoria della Mente», un modulo specializzato nel produrre rappresentazioni
di stati mentali come , o . Il meccanismo della Teoria della Mente è
CREDERE CONOSCERE FAR FINTA
una parte del sistema cognitivo. Il suo input è costituito da «rappresentazioni primarie»
prodotte da altri moduli, che codificano stati di fatto in modo letterale. Il suo output è
costituito da rappresentazioni secondarie che chiameremo «metarappresentazioni». La
metarappresentazione è una struttura di dati particolare che codifica l’atteggiamento di un
agente nei confronti di una proposizione. Le metarappresentazioni sono quindi formate da tre
parti: un simbolo per una persona (o un animale), una proposizione (cioè il significato di una
frase) e un concetto relativo a uno stato mentale (ad esempio, , , ).
SPERARE CREDERE FAR FINTA
Ad esempio, nel pensare che Michele crede che la palestra sia chiusa, Sabrina forma una
rappresentazione del significato del suo pensiero: «M che p» (dove M = Michele, p = la
CREDE
palestra è chiusa). Questa è una rappresentazione nella testa di Sabrina, ma uno dei simboli
che vi compaiono, p, si riferisce a una rappresentazione nella testa di Michele. La chiamiamo
metarappresentazione perché è la rappresentazione mentale di un’altra rappresentazione
mentale. Vista la prolissità dell’espressione «deficit nella Teoria della Mente», qui si suggerisce
un nuovo termine, psicoagnosia. Questa espressione si riferisce in modo trasparente alla
mancanza di conoscenze (agnosia) sulla mente (psiche).
2. Gioco di finzione e origini della «teoria della mente»
Il gioco di finzione testimonia l’emergere di una teoria della mente, perché nel fingere e
comprendere la finzione negli altri il bambino deve disporre sia di rappresentazioni primarie
sullo stato di fatto, sia di rappresentazioni secondarie, metarappresentazioni, sullo stato
mentale di chi sta fingendo. Grazie a questa capacità i bambini possono con facilità
interpretare le frasi di un compagno di giochi che dice «Io ero il dottore, e tu eri il malato»,
«Questo bastone è una spada», «Questa banana è un telefono». Interpretare correttamente
queste frasi utilizzando metarappresentazioni permette loro di evitare aberrazioni dello
sviluppo semantico e concettuale in cui i bastoni sono spade, o le banane sono telefoni! In
questa prospettiva, la mancanza del gioco di finzione nei bambini con autismo è
perciò un indizio del ritardo nello sviluppo metarappresentativo.
3. Esperimenti sulla comprensione psicologica nell’autismo
Le ricerche sull’attribuzione di credenze false sono state il banco di prova più importante per la
teoria metarappresentazionale. Nella prima ricerca è stato presentato ai bambini uno scenario
composto da due bambole, Sally e Ann, una scatola, un cesto e una pallina. Si raccontava a
loro la seguente storia: «Sally mette la sua pallina nel cesto e poi esce. Poi, mentre Sally è
fuori, Ann prende la pallina dal cesto e la mette nella scatola». Terminato il trasferimento, Sally
ritornava e al bambino veniva chiesto: «Dove andrà Sally a cercare la pallina?». Al bambino
venivano inoltre poste due domande di controllo, una sulla collocazione iniziale e l’altra sulla
posizione finale della pallina, per poter escludere che gli sbagli insorgessero a causa di una
difficoltà relativa alla memorizzazione di alcune informazioni chiave. Tutti i soggetti superarono
le domande di controllo, ma solo il 20% dei 20 autistici risposero correttamente alla domanda
sperimentale, e questo nonostante le loro prove nei test di intelligenza fossero migliori di
quelle dei bambini con sindrome di Down. Un altro strumento utilizzato è il «compito degli
Smarties». Qui si mostra al bambino un tubetto di caramelle Smarties e si chiede che cosa
pensa che contenga. Alla risposta dei bambini («Smarties» o «caramelle») la si apre e si
mostra che invece contiene una matita. Subito dopo si reinserisce la matita e si pongono tre
domande: 1) «Che cosa c’è nella scatola?», 2) «Che cosa hai risposto quando prima ti ho
chiesto cosa conteneva?», 3) «Quando (nome di uno sperimentatore che si è
momentaneamente assentato) torna, se gli chiedo cosa c’è qui dentro che cosa dirà?». Anche
in questo compito i bambini di quattro anni rispondono correttamente mentre i bambini con
autismo trovano grandi difficoltà. L’attribuzione di stati mentali è il culmine di un lungo
processo evolutivo che porta a comprendere la mente di altre persone. Per attribuire questi
stati mentali non bastano le capacità metarappresentative, bisogna essere capaci di
comprendere l’origine di un certo stato epistemico. Tale capacità rimanda a un principio
causale che lega percezione e conoscenza.
Una prova molto semplice permette di valutare la padronanza di questo principio nei bambini.
Presentiamo due bamboline e un contenitore dal contenuto sconosciuto al bambino, poi
mostriamo al bambino che una delle due bambole guarda dentro il contenitore mentre l’altra lo
tocca all’esterno e infine chiediamo: «Quale delle due bambole sa che cosa c’è dentro la
scatola?». I bambini autistici hanno chiare difficoltà in questa prova. Sembra però che una
minoranza di bambini autistici possieda capacità metarappresentative, ma ciò non significa che
la loro teoria della mente sia paragonabile a quella delle persone senza disturbi dello sviluppo.
Alcuni studi hanno messo in risalto difficoltà nell’attribuzione di stati mentali anche nei pazienti
capaci di superare i test di falsa credenza. I compiti di comprensione sono stati presentati in
termini di «storie strane» volte a esaminare il grado di comprensione del soggetto. Le storie
erano di due tipi: le storie di tipo «fisicalistico» erano centrate su un evento di natura
meccanica o biologiche. Le storie «mentalistiche» invece, riguardavano scherzi, giochi di
finzione, usi del linguaggio non letterale, bugie, piccole strategie di inganno e persuasione.
4. Come si sviluppa la teoria della mente
Gli aspetti centrali della teoria della mente si sviluppano entro i primi tre anni di vita. La
complessità e l’astrazione di queste conoscenze suggeriscono che tali acquisizioni non sono il
prodotto di meccanismi associativi e di condizionamento. Pertanto appare molto più probabile
l’azione di processi specializzati e predisposizioni biologiche.
I bambini sordi dalla nascita e figli di genitori udenti dimostrano una prestazione
significativamente inferiore nei compiti di falsa credenza. I bambini sordi ma figli di genitori
sordi i quali usano quotidianamente la lingua dei segni hanno invece prestazioni simili a quelle
dei bambini udenti. Questa differenza si può probabilmente spiegare con la deprivazione
conversazionali che riguarda il primo gruppo. Una conferma deriva da studi che indicano una
superiorità dei bambini che hanno fratelli rispetto ai bambini che non ne hanno. L’esperienza
conversazionali potrebbe, ad esempio, essere una preziosa occasione di esercizio
nell’uso flessibile e rapido delle nozioni psicologiche. Potrebbe sembrare che le seguenti
affermazioni:
1) il bambino sviluppa una teoria della mente,
2) ha bisogno di esperienze per farlo,
3) il bambini possiede una teoria della mente innata,
si contraddicano. Ma le differenze riguardo al carattere innato di una competenza non sono
solo quantitative, ma anche qualitative.
Per Gopnik e Meltzoff i bambini partono operando su una base di conoscenze innate. In questo
modello, i bambini con autismo soffrirebbero non già del malfunzionamento di un meccanismo
di acquisizione, ma della mancanza di un’adeguata base di conoscenze psicologiche
innate e di principi astratti di ragionamento. Fra questi, il principio secondo cui «gli altri
sono come noi». L’attivazione di tale conoscenza si manifesta nella selettività dei
comportamenti imitativi; i bambini tendono a imitare azioni eseguite da una persona e non da
agenti meccanici. Nella proposta modularista di Lesile si presume l’esistenza sia di una base di
conoscenze psicologiche innate sia di un meccanismo di elaborazione e di acquisizione di
informazioni specializzato. Nella proposta costruttivista di Gopnik e Meltzoff viene invece
ipotizzata una base di conoscenze innata che si arricchisce, e viene in parte radicalmente
cambiata nel corso dello sviluppo, grazie a processi di invenzione e revisione delle conoscenze
teoriche. Un’altra teoria modularista sullo sviluppo della teoria della mente prevede ben
quattro moduli distinti che costituiscono il nucleo del sistema di lettura della mente. Oltre al
modulo che produce metarappresentazioni ve ne sono altri tre, uno dedicato a elaborare la
direzione dello sguardo, uno specializzato nel leggere l’intenzionalità nei movimenti e
rappresentare stati volitivi e uno per partecipare a interazioni triadiche in cui due persone
condividono l’attenzione per il medesimo oggetto. I primi due sarebbero i precursori evolutivi
del terzo, il quale a sua volta è precursore del ToMM. Baron-Cohen sostiene che le conoscenze
innate presenti in questi moduli sono il frutto di un processo filogenetico basato sulla
mutazione casuale e la selezione naturale. È possibile per i bambini con autismo acquisire una
ToMM con meccanismi di apprendimento vicarianti, ad esempio le capacità di apprendimento
associativo e ragionamento analogico? In alcuni bambini appaiono, sebbene in ritardo, vari
comportamenti che indicano la presenza di una teoria della mente. Questo fenomeno può
essere spiegato in almeno due modi: il ritardo e l’invenzione di strategie di compensazione. Le
difficoltà a generalizzare gli apprendimenti suggeriscono che il successo sia stato raggiunto
utilizzando processi mentali diversi da quelli usati da bambini normali.
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti di Intervento psicologico nella scuola e nelle istituzioni educative – Autismo. Nello specifico gli argomenti trattati sono i seguenti: Che cos’è l’autismo, Origine del termine autismo, Le prime ipotesi, La diffusione, La ricerca delle cause,Aspetti diagnostici e basi biologiche, ecc.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia clinica dello sviluppo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Messina - Unime o del prof Scarfì Simona.
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