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Storia dell'arte moderna - Rinascimento in Italia Settentrionale Pag. 1
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STORIA DELL’ARTE MODERNA

IL RINASCIMENTO IN ITALIA SETTENTRIONALE

Nella seconda metà del Quattrocento, il linguaggio rinascimentale si afferma in Italia

settentrionale.

Introno alla bottega di Francesco Squarcione (1397-1468), presso il quale si formerà Andrea

Mantegna e una vasta schiera di pittori, molte sono ancora le questioni aperte, a partire da

quelle riguardanti le vicende artistiche del maestro e sul ruolo realmente giocato nella

maturazione di tante promesse dell’arte nord italiana.

Appassionato dell’antico e collezionista di antichità, Squarcione accoglieva alla sua bottega

giovani di varia provenienza, adottandoli e fornendo loro gli insegnamenti fondamentali della

pittura e la sua cultura antiquaria.

Nonostante la sua formazione gotica, Squarcione seppe reagire alle novità donatelliane, come

dimostra il suo “POLITTICO DE LAZZARA” (1449-1452) o la sua “MADONNA CON IL BAMBINO”

(1455) ove vi sono perfettamente leggibili quegli input stilistici che trasmise ai numerosi

allievi della sua bottega padovana. L'enfasi prospettica e la linea netta, derivano dalla lezione

di Donatello, che visse a Padova dal1443 al 1453 e del quale Squarcione fu il principale

ricettore in terra veneta. Lo stesso disegno generale della Madonna col Bambino deriva da

una placchetta donatelliana, mentre sono elementi stilistici tipici i festoni di fiori e frutta, i

colori intensi e marmorei, le linee elaborate e taglienti, che sbalzano le figure ed esasperano i

panneggi. Ogni elemento è riconducibile alla sua passione per l’antico e per le minuzie, come

il Bambino, più simile ad un Cupido di matrice classica.

Tutti gli allievi che passarono per la sua bottega, pur evolvendo un seguito un proprio stile,

manterranno un comune repertorio stilistico e figurativo: decorazioni cariche di riferimenti

antiquari, predilezione di festoni di foglie e frutta, utilizzati come elementi decorativi;

sensibilità materica per metalli, marmi e stoffe, tendenza di caricare di senso espressivo gesti

e volti.

Questo repertorio ricorre sia nelle opere di Mantegna, che in quelle di Marco Zoppo

(1433-1478), come nella sua “MADONNA DEL LATTE” (1453-1455) dove rientra a pieno la

passione per l’antico trasmessa dal Maestro Squarcione affiancata alla passione per la

scultura donatelliana. La stessa figura della vergine con Bambino è esemplata alla Madonna

Pazzi di Donatello, e i putti musici, posti intorno alla figura della Vergine, sono ispirati a quelli

presenti nei rilievi dell’Altare del Santo.

ANDREA MANTEGNA (1431-1506)

Si formò nella bottega padovana dello Squarcione, che lo accolse come un figlio, dove maturò

il gusto per la citazione archeologica; liberatosene attorno al 1445, venne a contatto con le

novità dei toscani di passaggio in città quali Filippo Lippi, Paolo Uccello, Andrea del

Castagno e, soprattutto, Donatello, dai quali imparò una precisa applicazione

della prospettiva. Sulla scorte di queste premesse, dette vita ad una pittura rievocativa della

classicità e caratterizzata da forte plasticismo, una perfetta impaginazione spaziale giocata in

chiave illusionistica. Il contatto con le opere di Piero della Francesca, avvenuto a Ferrara,

marcò ancora di più i suoi risultati sullo studio prospettico tanto da raggiungere livelli

"illusionistici", che saranno tipici di tutta la pittura nord-italiana. Attraverso la conoscenza

delle opere di Giovanni Bellini, di cui sposò la sorella Nicolosia, le forme dei suoi personaggi si

addolcirono, senza perdere monumentalità, e vennero inserite in scenografie più ariose. La

sua arte può essere definita come un classicismo archeologico.

CAPPELLA OVETARI (1448-1457)

Nel 1447, Mantegna si trovò a far parte del gruppo di artisti chiamati da Imperatrice Ovetari a

decorare con storie di Santi Giacomo e Cristoforo l'omonima Cappella nella Chiesa degli

Eremitani a Padova (il ciclo, distrutto quasi completamente nel 1943 da una bomba alleata, è

noto grazie a riproduzioni fotografiche). Piuttosto eterogeneo, il gruppo comprendeva i più

anziani Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna, sostituiti in seguito nel 1450, per la

morte di Giovanni, da Bono da Ferrara e Ansuino da Forlì; e i più giovani Mantegna e

Nicolò Pizzolo, autore della Pala Ovetari, considerata primo esempio di sacra conversazione.

L’universo artistico del giovane Mantegna si esplicò pienamente nelle storia di San Giacomo,

nelle quali vennero a confluire le ampie conoscenze antiquarie del pittore: in questi primi

affreschi la prospettiva mostrava ancora qualche incertezza, più determinata invece in quelli

sottostanti; essa mira a conferire solennità e monumentalità.

Un sensibile mutamento di stile si riscontra negli ultimi interventi di Mantegna alla Cappella:

l’affresco con il “MARTIRIO E TRASORTO DI SAN CRISTOFORO”, ancora esistente. I due episodi

del Martirio e del Trasporto sono raffigurati unitariamente, come se avvenissero in

contemporanea in una medesima piazza cittadina, separati solo da un'alta colonna che regge

un pergolato scorciato in profondità. Lo spazio è stupefacentemente vasto, arioso e

organizzato razionalmente secondo le regole della prospettiva, che all'epoca Mantegna

dominava già alla perfezione. In una piazza curatissima nei dettagli e ricca di decorazioni

all'antica (archi, colonne, rilievi, medaglioni, iscrizioni in lettere capitali romane), la parte

inferiore, quasi illeggibile, è occupata da numerosi personaggi, mentre in quella superiore

spiccano gli edifici. Nel Martirio il santo legato e circondato dai carnefici giganteggia

all'estrema sinistra oltre il pilastro laterale, come se si proiettasse verso lo spettatore

coinvolgendolo nella narrazione. Il Trasporto del corpo del santo occupa invece la parte

destra, con un corteo di uomini che cercano di spostare l'enorme cadavere: si nota ancora

oggi bene un personaggio che ne solleva una gamba. La scena è impostata in diagonale e che

si riallaccia alla fuga prospettica dell'architettura. L'uso di un punto di vista ribassato

permette di collocare il corpo del santo in scorcio e di dilatare lo spazio illusorio.

“POLITTICO DI SAN LUCA” (1453-1455)

Il polittico è composto da dodici scomparti organizzati su due registri. Nella pala si trovano

fusi elementi arcaici, come il fondo oro e le diverse proporzioni tra le figure, ed elementi

innovativi come l'unificazione spaziale prospettica nel gradino in marmi policromi che fa da

base ai santi del registro inferiore e la veduta scorciata dal basso dei personaggi del registro

superiore, estremamente soldi e monumentali. Nella fascia inferiore, la figura centrale è

quella di san Luca evangelista, seduto su uno scranno marmoreo che sembra un trono e

concentrato nella scrittura del Vangelo. Tra il piano dello scrittoio e la base marmorea si trova

una natura morta con due libri, una lucerna rossa e due calamai infilati in due buchi nel legno,

contenenti inchiostro rosso e nero. Evidente è anche qui lo scorcio dal basso verso l'alto e

curatissima è la raffigurazione dei marmi policromi, derivata dall'esempio del suo

maestro Squarcione. Da sinistra verso destra si riconoscono santa Scolastica, nell'abito nero

di monaca benedettina e il libro della Regola; san Prosdocimo, in abiti vescovili, con il

pastorale e la brocca, simbolo del Battesimo; san Benedetto da Norcia, in abito scuro, con il

libro della Regola e un fascio di verghe, che indicano le norme della Regola; santa Giustina,

con la palma del martirio e un pugnale nel cuore, variazione della spada che la decapitò. La

resa dei panneggi delle figure è data mediante l’effetto bagnato, ripreso dalla statuaria

donatelliana. Nella fascia superiore, al centro la Pietà con Maria e san Giovanni, dove si nota

la lezione dei rilievi dell'altare del Santo di Donatello (come quello del Cristo morto).

La Pietà è affiancata da quattro santi.

“PALA DI SAN ZENO” (1456-1459)

Le ricerche sperimentali effettuate nell’ultima fase della Cappella Ovetari, trovano compiuta

applicazione nella Pala di San Zeno a Verona commissionata dal Vescovo Corner. La Madonna

con bambino in trono, circondata da angeli musici e i santi, quattro per parte, sono dipinti

seguendo il modello dell’Altare di Sant’Antonio di Donatello: entro una loggia all’antica,

architravata e decorata con fregio continuo di putti e da bassorilievi sui pilastri. Al di fuori si

trova un rigoglioso giardino fiorito, mentre in alto, sul lato principale, corrono alcuni festoni di

frutta e foglie, un motivo tipico di Squarcione e dei suoi allievi, tra cui Mantegna stesso. La

straordinaria cornice lignea è originale e forse realizzata su disegno dello stesso Mantegna.

Essa imita una struttura architettonica che appare come il continuamento di quella dipinta,

con quattro colonne scanalate che reggono un frontoncino con fregio a girali e con

una cimasa a forma di arco ribassato terminante in due volute decorative. In basso incornicia

anche i tre pannelli della predella. Il tutto è in legno dorato con incrostazioni in blu

d'Alemagna. La cornice solo in apparenza divide la pala in un trittico: in realtà tutto, comprese

le colonne lignee, concorre a creare un'ambientazione spaziale unitaria, per cui è più corretto

considerarla come un'unica pala, la cui stesura pittorica è stata tripartita dall'artista.

La pala, che segna la fine del periodo padovano dell'artista e quindi la sua fase giovanile

verso la piena maturità, mostra un mutamento di indirizzo nel fare artistico. Le architetture

hanno infatti acquistato quel tratto illusionistico che fu una delle caratteristiche base di tutta

la produzione di Mantegna. Il punto di vista ribassato intensifica la monumentalità delle figure

e accresce il coinvolgimento dello spettatore, che viene chiamato in causa anche dallo

sguardo diretto di san Pietro. Le figure, sono più sciolte e psicologicamente individuate, con

forme più morbide, che suggeriscono l'influenza della pittura veneziana, in particolare

di Giovanni Bellini, del quale dopotutto Mantegna aveva sposato la sorella nel 1454. Nelle

figure degli angeli emerge la maestria di Mantegna nella resa dei volti tondeggianti, degli

incarnati morbidi e paffuti, delle espressioni teneramente fanciullesche. Ancora più che negli

affreschi agli Eremitani, la pittura è qui orientata verso una fusione di luce e colore che dà

effetti illusionistici, con citazioni dell'antico e virtuosismi prospettici.

LA CAMERA DEGLI SPOSI

Nel 1460 Mantegna si trasferì con tutta la famiglia a Mantova come pittore ufficiale di corte,

ma anche come consigliere artistico e curatore delle raccolte d'arte. Qui ottenne uno

stipendio fisso, un alloggi

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
4 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/02 Storia dell'arte moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher aandreadrew94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Pattanaro Alessandra.