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Mis(i), ùt petìsti, tìbi mundìtias dèntium,
nitèlas òris ex Aràbicis frùgibus,
tenuèm, candìficum, nòbilem pulvìsculum,
complànatòrem tumìdulae gingìvulae,
convèrritòrem pridiànae relìquiae,
ne quà visàtur tètra làbes sòrdium,
restrìctis f
ò rte si lab è llis r
ì seris.
O Calpurniano, ti saluto con versi veloci. 15
Ti ho mandato, come hai richiesto, la pulizia dei denti ,
lo splendore della bocca (ricavato) dalle erbe arabiche,
una sottile, candeggiante, nobile polverina
spianatore delle gengive un poco gonfie
spazzatore dei resti del giorno prima
12 Dopo si, aliquid “perde le ali”.
13 Supino con valore finale.
14 Forma arcaica di versibus.
15 Apuleio tende a sostituire il concreto con l’astratto. Non si può dire se sia una caratteristica del suo stile o
della sua epoca. affinché non si veda nessuna macchia scura ( ) di sporcizia
tetra labes
se per caso riderai a labbra aperte.
Quaeso, quid habent isti versus re aut verbo pudendum, quid omnino quod
philosophus suum nolit videri? Nisi forte in eo reprehendendus sum, quod
Calpurniano pulvisculum ex Arabicis frugibus miserim, quem multo aequius
erat spurcissimo ritu Hiberorum, ut ait Catullus, sua sibi urina «dentem atque
russam pumicare gingivam».
Ti chiedo, che cos’hanno (mai) questi versi di vergognoso o per l’argomento ( ) o per le
re
parole, che un filosofo non voglia che sembrino del tutto suoi? A meno che per caso ( Nisi
) io non debba essere rimproverato per il fatto di aver mandato a Calpurniano una
forte
polverina fatta di aromi arabici, mentre sarebbe stato molto più giusto che, secondo la
sporchissima tradizione degli Iberi, come dice Catullo, con la sua stessa urina lui “si
strofinasse il dente e la rossa gengiva”.
Apuleio non chiama “amico” Calpurniano, lo nomina semplicemente “un certo
Calpurniano”: probabilmente perché egli aveva consegnato questo biglietto ai suoi
accusatori perché lo usassero contro di lui; evidentemente quindi Apuleio ha un grande
risentimento contro di lui, a cui una volta lo legava l’amicizia. Ma se Calpurniano vuole
accusare Apuleio, anche lui sarebbe da accusare, perché se Apuleio ha fatto il dentifricio
Calpurniano lo ha richiesto.
Il fatto di fare dentifrici è colpevole non in sé, ma perché se uno fa dentifrici
probabilmente si occupa aanche di altre pozioni più dannose.
I versi veloci cui allude Apuleio potrebbero fare riferimento al fatto che si tratta di versi
giambici (i versi più veloci della poesia latina) oppure che li ha scritti velocemente e con
improvvisazione.
Il piede giambico è formato da una breve seguito da una lunga. Il senario giambico è
formato da sei piedi giambici. Il trimetro giambico è molto simile, perché è formato da tre
metra giambici (coppie). quindi ancora sei piedi: però sono raggruppati per coppie, in cui il
primo membro della coppia può essere sostituito, nel senso che una lunga può essere
sostituita con due brevi, ma anche sostituzioni irrazionali, come ad esempio una breve con
una lunga. Il senario è più libero, perché le sostituzioni possono avvenire praticamente
ovunque; il trinario invece è più vincolato, perché il secondo membro della coppia rimane
un giambo puro. Il senario è il metro usato prevalentemente nella commedia e nella
tragedia, tant’è vero che proprio questa sua libertà lo rende il metro più vicino al parlato
normale. I metri giambici generalmente sono tipici della poesia giambica, una poesia
aggressiva; oppure è anche usato per la poesia scherzosa, come in questo caso.
Il finale di ciascuna di queste sezioni è un attacco ironico che tendente gettare il ridicolo
l’avversario; questa volta in modo colto, dato che cita Catullo. Lo cita tuttavia in modo
scorretto, perché nell’antichità non era facile reperire i testi per fare delle citazioni corrette,
e fa la citazione a memoria sostituendo un termine (pumicare al posto di defricare).
Par. 7
Vidi ego dudum vix risum quosdam tenentis [=tenentes], cum munditias oris
videlicet orator ille aspere accusaret et dentifricium tanta indignatione
pronuntiaret, quanta nemo quisquam venenum.
Quidni? Crimen haud contemnendum philosopho, nihil in se sordidum sinere,
nihil uspiam corporis aperti immundum pati ac fetulentum, praesertim os, cuius
in propatulo et conspicuo usus homini creberrimus, sive ille cuipiam osculum
ferat seu cum quicquam sermocinetur sive in auditorio dissertet sive in templo
preces alleget: omnem quippe hominis actum sermo praeit, qui, ut ait poeta
praecipuus, dentium muro proficiscitur.
16
Dares nunc aliquem similiter grandiloquum: diceret suo more, cum primis
17 18
cui ulla fandi cura sit impensius cetero corpore os colendum, quod esset
animi vestibulum et orationis ianua et cogitationum comitium; ego certe pro
meo captu dixerim nihil minus quam oris illuviem libero et liberali viro
competere.
Est enim ea pars hominis loco celsa, visu prompta, usu facunda; nam quidem
feris et pecudibus os humile et deorsum ad pedes deiectum, vestigio et pabulo
proximum, nunquam ferme nisi mortuis aut ad morsum exasperatis conspicitur:
hominis vero nihil prius tacentis, nihil saepius loquentis contemplere.
Ho visto poco fa (dudum) che qualcuno tratteneva a stento (vix) il riso, quando quel
[avv., “senza dubbio”] ille orator)
cosiddetto oratore (videlicet accusava
severamente (aspere) la pulizia dei denti e pronunziava (la parola) dentifricio con tanta
indignazione quanto nessuno mai per (la parola) veleno.
Come no? Non è (davvero) un’accusa da disprezzarsi per un filosofo, non permettere su
di sé nulla di sporco, non sopportare nulla di immondo e puzzolente sulla parte visibile del
aperti,
proprio corpo (corporis “nel corpo visibile”), e soprattutto nella bocca, il cui uso (è)
in propatulo et
il più frequente per un uomo ed (è) in evidenza e ben visibile a tutti (
conspicuo), sia che dia un bacio a qualcuno, sia che parli con qualcuno, sia che tenga un
19
discorso in una sala da declamazione, sia che faccia delle preghiere in un tempio : infatti,
la parola precede ogni azione umana, (parola) che, come dice il grande poeta, fuoriesce
20
dal muro dei denti .
Mettiamo che tu possa darmi (Dares) uno altrettanto magniloquente (di Omero):
direbbe, secondo il suo stile, che soprattutto colui che ha cura della parola, deve occuparsi
della bocca con più cura (impensius) che del resto del corpo, poiché è il vestibolo
meo
dell’animo, la porta della parola e il luogo di riunione dei pensieri; quanto a me (pro
captu, “per quanto ne capisco”), direi che nulla meno della sporcizia della bocca si addice
(competere) all’uomo libero e liberale.
Infatti questa parte dell’uomo è alta (celsa) riguardo alla sua posizione, immediata a
vedersi, eloquente nell’uso; infatti invece nelle belve feroci e nelle bestie addomesticate la
bocca è (volta) verso la terra (humile) e volta (deiectum) all’ingiù (deorsum) verso i
piedi, vicino alle sue orme e al pasto, non si vede mai bene (ferme) se non negli (animali)
morti o irritati fino a mordere: invece nell’uomo nulla si vede prima quando tace e nulla più
spesso quando parla.
16 Ha un valore potenziale.
17 Gerundio genitivo di for, faris, fatus sum, fari, “parlare”.
18 Dativo di possesso.
19 C’è un climax crescente di azioni che può fare con la bocca, dal più semplice fino al più sacro di tutti.
20 Locuzione tipicamente omerica. Il grande poeta è Omero, e fra uomini colti come Apuleio e Claudio
Massimo non serve nemmeno specificarlo.
Apuleio allude forse al fatto che era accusato anche di veneficio, di produrre veleni.
Con ironia dice che è una bella accusa il fatto di non sopportare la sporcizia sul suo
corpo.
C’è un climax nell’elenco di azioni che fa un uomo con la bocca: dall’osculum (il bacio
dato per saluto) fino al pregare in un tempio, l’azione più nobile che possa fare un uomo.
La metafora della parola che esce dai denti è tipicamente omerica. Fra uomini colti come
Apuleio e Claudio Massimo non è nemmeno il caso di nominarlo per nome.
Lezione 7 – 08/10/12
Ci sono tanti elementi di somiglianza tra i Florida e il De magia. Il terzo excerpta
(frammento) di questa raccolta riguarda l’auleta Marsia, un flautista mitico, un satiro, che
aveva gareggiato con Apollo perché sosteneva di essere lui il miglior musicista. È stato
ovviamente vinto da Apollo, e il dio si è vendicato molto crudelmente di lui: lo scuoia e
lascia appesa la pelle a un albero.
Nell’excerpta, Apuleio parla del padre di Marsia, che avrebbe inventato certe forme
musicali; Marisa era seguace del padre nell’arte musicale.nel mito, Marsia accusa Apollo
di essere fondamentalmente un dio bellissimo e pieno di qualità sia fisiche che morali: ma
questo per Marsia non è virtù, e si addice piuttosto alla lussuria; le stesse accuse erano
state rivolte proprio ad Apuleio, che era stato accusato di essere un bell’imbusto ma di
fatto inconsistente sotto il profilo morale. L’affinità di questo frammento con la storia del De
magia è così forte, che Apuleio avrebbe anche potuto usarla in quella sede, dicendo
qualcosa del tipo: “vedete come fanno i miei avversari, che mi accusano vilmente come
fece Marsia con Apollo!”.
Probabilmente Apuleio in questo passo, che pure non proviene dal De magia ma da un
suo discorso epidittico, parla contro degli avversari. Può darsi quindi che ci fossero dei
topoi ricorrenti nell’oratoria di Apuleio, topoi che aveva già usato in precepoodenza e di cui
si ricorda anche in questa sede. Par. 8
Velim igitur censor meus Aemilianus respondeat, unquamne ipse soleat pedes
lavare; vel, si id non negat, contendat maiorem curam munditiarum pedibus
quam dentibus in pertiendam.
Plane quidem, si quis ita ut tu, Aemiliane, nunquam ferme os suum nisi
maledictis et calumniis aperiat, censeo ne ulla cura os percolat neque ille
exotico pulvere dentis emaculet, quos iustius carbone de rogo obteruerit,
neque saltem communi aqua perluat: quin ei nocens lingua mendaciorum et
amaritudinum praeministra semper in fetutinis et olenticetis suis iaceat.
Nam quae malum ratio est linguam mundam et laetam, vocem contra
spurcam et tetram possidere, viperae ritu niveo denticulo atrum venenum
inspirare?
Ceterum qui sese sciat orationem prompturum neque inutilem neque
iniucundam