Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Proinde gratum habui, cum ad contumeliam diceretis rem familiarem mihi peram et
baculum fuisse.
Pertanto vi fui grato quando voi, per offendermi, diceste che il mio patrimonio consisteva
in una bisaccia e in un bastone.
Il richiamo alla vita naturale come gli animali, per cui l’uomo deve avere meno bisogni
possibili e vivere solo delle cose indispensabili, porta a parlare del cinismo. Il cinismo era
stato tirato fuori dagli stessi accusatori, secondo Apuleio.
Apuleio in realtà appartiene a una setta platonica meno radicale dei cinici. Tuttavia qui
ostenta ammirazione per il personaggio di Cratete. Cratete possedeva molte ricchezze, e
le scambiò per solamente una bisaccia e un bastone. Apuleio mette a paragone con ironia
le molte ricchezze di Cratete, e come le scambio per cose di scarso valore: tutte le sue
59
ville per un solo contenitore, la bisaccia, e tutti i suoi boschi per un solo pezzo di legno, il
bastone.
Apuleio ribatte all’accusa di andare in giro vestito come i cinici, ossia con il minimo
indispensabile (bisaccia e bastone); lui infatti realmente portava questi ornamenti, essendo
un v piaggiatore, ma egli apparteneva alla scuola platonica. Era stato Cratete, e prima di
lui Diogene, a inaugurare il topos di un simile abbigliamento. All’epoca costituiva la
manifestazione di una scelta filosofica, ma ai tempi di Apuleio era stato usato come
emblema sostanzialmente del filosofo da strapazzo. Apuleio era platonico, ma rivendica
comunque la dignità di una simile austerità.
Il fatto che, dopo aver citato i versi di Cratete ricavati da Omero, Apuleio dica che
Emiliano dovrebbe invidiare di più la bisaccia che le nozze con Pudentilla, fa pensare che
forse anche Emiliano fosse stato in lizza per sposare la vedova e beneficiare così del suo
patrimonio, e che in qualche modo quindi gli rodesse di aver perso la competizione.
Apuleio dice che rimproverare bisaccia e bastone ai filosofi è come rimproverare gli
oggetti tipici di qualsiasi altra categoria, come gli scudi ai fanti, le insegne le insegne, le
quadrighe e la toga ai trionfatori.
Poi ricorda come l’iniziatore stesso del cinismo, Diògene, avesse discusso con
Alessandro Magno vantandosi del suo bastone come se fosse uno scettro. Oltre questo
episodio ricordato da Apuleio, esiste un altro episodio più noto: Alessandro Magno vide
Diogene nella sua botte e gli chiese che cosa potesse fare per lui con tutta la sua gloria e
la sua potenza, e Diogene gli rispose di spostarsi dal sole che gli faceva ombra.
Apuleio ha sempre fatto esempi tratti dalla storia e dalla filosofia. Ma nel finale del
paragrafo, come al solito, usa le sue argomentazioni più forti e ad effetto, nominando
Ercole: persino lui, che è assurto alla dignità divina, per raggiungere quello status ha
dovuto prima combattere le sue passioni e vivere umilmente. In tal senso, Eracle viene
visto come un proto cinico; la sua clava viene assimilata al bastone del cinico. È prototipo
del cinismo soprattutto per le sue fatiche, che vengono interpretate come la lotta di
ciascun uomo contro le passioni, lotta che alla fine permette all’uomo di raggiungere una
condizione di sapienza che lo porta quasi ad uno stato divino: l’assunzione di Eracle fra gli
dei sarebbe la ricompensa della sua vita dedicata alla lotta contro il male.
Ercole viene detto “invitto”, perché in età imperiale viene spesso visto come figura di
alcuni imperatori. Eracle compare nell’apologo del bivio, in cui deve decidere se dedicare
la sua vita al vizio o alla virtù. Probabilmente anche lo stesso Marco Aurelio avrà avuto
questa immagine di Eracle. Egli passò la vita a riparare le fratture che si aprivano ai confini
dell’impero, e paragonò queste sue imprese alle fatiche di Ercole. Oltre tutto Ercole non è
mai stato sconfitto, anche per questo è invitto, e quindi diventa simbolo del carattere
vittorioso dell’imperatore. Chi riprese a suo modo il personaggio di Eracle fu Commodo.
Apuleio quindi fa ricorso ad Eracle perché aveva una forte valenza politica, e usa quindi
un argomento contro cui i suoi avversari non possono obiettare.
Par. 23
Con questo paragrafo comincia un'altra sottosezione del discorso di Apuleio. Fa sempre
parte della risposta all’accusa di essere povero, alla quale ribatte con molte sfaccettature:
qui dice ora che in realtà è un'accusa ingiusta, perché lui è di famiglia ricca: suo padre gli
lasciò un grande patrimonio. Apuleio vuol far credere di essere una persona di grandi
mezzi. Questa è una sezione di grande interesse perché ci fornice molte informazioni
autobiografiche sulla sua famiglia e sulla sua formazione. Lui ci fa capire di aver sì
ricevuto molto, ma di aver anche speso moltissimo pur di ottenere la sua formazione.
60
Questo ci fa capire che questo patrimonio nel tempo si era notevolmente assottigliato. Lui
lo mette in buona luce, ma una cosa che spesso veniva rimproverata agli avverarsi era
quella di aver dilapidato il patrimonio dei padri, e di aver fatto decadere la propria famiglia.
Apuleio afferma che non ha dissipato il patrimonio in bagordi, ma lo ha investito per
costruire la sua cultura. 61
Quod si haec exempla nihili putas ac me non ad causam agundam, verum ad
censum disserundum vocasti, ne quid tu rerum mearum nescias, si tamen
nescis, profiteor mihi ac fratri meo relictum (fuerunt) a patre HS XX paulo
secus, idque a me longa peregrinatione et diutinis studiis et crebris
liberalitatibus modice imminutum.
Nam et amicorum plerisque opem tuli et magistris plurimis gratiam retuli,
quorundam etiam filias dote auxi; neque enim dubitassem equidem vel
universum patrimonium impendere, ut acquirerem mihi quod maius est
contemptu patrimonii.
Tu vero, Aemiliane, et id genus homines uti tu es inculti et agrestes, tanti re
vera estis quantum habetis, ut arbor infecunda et infelix, quae nullum fructum
ex sese gignit, tanti est in pretio, quanti lignum eius in trunco.
At tamen parce postea, Aemiliane, paupertatem cuipiam obiectare, qui nuper
usque agellum Zarathensem, quem tibi unicum pater tuus reliquerat, solus uno
asello, ad tempestivum imbrem, triduo exarabas.
Neque enim diu est, cum te crebrae mortes propinquorum immeritis
hereditatibus fulserunt, unde tibi, potius quam ob istam teterrimam faciem,
Charon nomen est.
Che se ritieni che questi esempi non valgano niente e mi hai chiamato non a discutere
una causa ad esporre il mio censo, allora, affinché tu non ignori nessuna delle cose mie,
se pure davvero le ignori, io dichiaro che a me e a mio fratello fu lasciata da mio padre
un’eredità di due milioni di sesterzi o poco meno, la quale da me, per via dei miei lunghi
viaggi e dei miei lunghi studi e dei miei frequenti doni, è stata un pochino diminuita
imminutum).
(modice
Infatti ho dato aiuto a molti amici e sono stato grato [economicamente] a molti miei
maestri, di cui ho procurato la dote per le figlie. Infatti non ho mai dubitato che valesse la
pena spendere anche l’intero patrimonio, per acquisire ciò che è più importante con il
disprezzo del patrimonio.
Tu, Emiliano, e gli uomini della tua specie siete ignoranti e villani, valete tanto in realtà
quanto possedete, come un albero infecondo e sterile, che non genera da sé alcun frutto,
ha soltanto il valore quanto il legno del suo tronco.
E tuttavia smetti d’ora on poi, Emiliano, di rinfacciare a qualcuno la povertà, tu che fino a
poco fa da solo con un solo asinello aravi, quando si avvicinava la pioggia, in tre giorni il
tuo campicello di Zarath, che era l’unica cosa che tuo padre ti avesse lasciato.
mortes)
E non è passato molto tempo da quando le frequenti morti (crebrae dei tuoi
parenti ti hanno rimesso in sesto (fulserunt) con delle eredità immeritate, e da questo
fatto, più ancora che da questo tuo orribile aspetto, ti è venuto il tuo nome di Caronte.
Apuleio rimprovera Emiliano di essere stato a sua volta un poveraccio fino a poco prima,
e di essersi arricchito solo di recente grazie a delle eredità. Non poteva nemmeno ararsi i
suoi campi con dei buoi ma con un asino. Zarath è una località straniera, che in quanto
tale ha un po' il marchio di infamia; anche se in effetti Apuleio stesso dovrà ammettere di
non essere romano di origine.
Quando Apuleio dice che Emiliano si è ripreso economicamente grazie alla morte dei
suoi parenti, insinua in qualche modo il sospetto che sia stato in realtà Emiliano stesso a
causane la morte, anche se non lo fa perché semmai dovrebbe allora lui stesso intentare
una causa per omicidio.
Caronte era il traghettatore dei morti, rappresentato come personaggio dal viso tetro e
terribile. Apuleio fa ironia come al solito sull’aspetto fisico di Emiliano, cosa che gli riesce
62
tanto più bene lui stesso è di bell’aspetto, per quanto si sia presentato trasandato in
tribunale. Emiliano quindi somiglia a Caronte sia per il suo brutto aspetto sia perché ha
fatto attraversare il fiume infernale a parecchi suoi parenti. Caronte chiedeva l’obolo per
far traghettare le anime. Par. 24
De patria mea vero, quod eam sitam Numidiae et Gaetuliae in ipso confinio
meis scriptis ostendistis, quibus memet professus sum, cum Lolliano Avito
C[larissimo]. V[iro]. Praesente publice dissererem, Seminumidam et
Semigaetulum, non video quid mihi sit in ea re pudendum, haud minus quam
Cyro maiori, quod genere mixto fuit Semimedus ac Semipersa.
Non enim ubi prognatus, sed ut moratus quisque sit spectandum, nec qua
regione, sed qua ratione vitam vivere inierit, considerandum est. Holitori et
cauponi merito est concessum holus et vinum ex nobilitate soli commendare,
vinum Thasium, holus Phliasium; quippe illa terrae alumna multum ad
meliorem saporem iuverit et regio fecunda et caelum pluvium et ventus
clemens et sol apricus et solum sucidum.
Riguardo poi alla mia patria, che avete mostrato attraverso i miei stessi scritti (essere)
sita sul confine stesso fra la Numidia e la Getulia, (scritti) in cui io stesso mi sono
dichiarato, quando discutevo in una conferenza pubblica alla presenza dell’illustrissimo
55
Lolliano Avito, metà numida e metà getulo , Non vedo cosa ci sia da vergognarsi in
questo per me, non più di quanto per Ciro il Grande, che fu di famiglia mista, metà medio e
metà persiano.
Non bisogna infatti guardare dove uno sia nato (prognatus), ma che costumi ha
(moratus, “come sia costumato”), né bisogna considerare da quale ragione ma con quale
ragione uno abbia cominciato a vivere la propria vita. Per un venditore di verdura e per un
oste è concesso meritatamente raccomandare la verdura e il vino per mezzo della fama
del suolo da cui provengono: il vino di Taso, la verdura di Fliunte; perché per questi