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TEMA DELLA PROSPETTIVA
Nella lettera dedicatoria, indirizzata a Don Migel de Silva, ambasciatore portoghese
presso la corte di Roma, dice che Castiglione era prima al servizio del figlio di
Federico da Montefeltro, Guidobaldo, e dopo la sua morte restò ad Urbino.
Fresco del ricordo di Guidobaldo e dei suoi cavalieri scrisse il Cortegiano in pochi
giorni e si era ripromesso di correggerlo in poco tempo, avendolo scritto in fretta per
poter rendere subito omaggio a Guidobaldo. M avendo avuto un sacco di impegni
diplomatici non ha potuto farlo.
Ma viene sapere che Vittoria Colonna aveva fatto fare delle copie del suo
manoscritto, e queste copie stavano circolando a Napoli.
Castiglione ha paura che venga pubblicato, così ha iniziato a lavorarci per pubblicarlo
lui per primo, e ha due scelte:
1) pubblicarlo non corretto
2) che venga pubblicato da altri ma in modo stravolto.
Sceglie la prima opzione.
Quindi il Cortegiano ha tre tempi:
1) 1507 avviene la finzione
2) 1513/1518 viene scritto
3) 1528 viene pubblicato
Sempre nella lettera dedicatoria, Castiglione dice di aver fatto un ritratto della corte
di Urbino, di cui lui è il pittore, anche se dice di non essere bravo come Raffaello e
Michelangelo (esempio di sprezzatura).
Inoltre, dice di non voler usare la prospettiva perché è una forma di inganno, mentre
lui vuole rappresentare la realtà.
Per quanto riguarda la prospettiva, Castiglione né è informato, la conosce bene e lo
sappiamo grazie ad alcuni elementi:
1) a quel tempo alla corte di Urbino, Piero della Francesca dedica due trattati legati al
tema della prospettiva a Guidobaldo (testimonianza indiretta)
2) Federico da Montefeltro chiamo i de Maiolo per decorare lo studiolo di Urbino
usando l’arte della prospettiva. (t. indiretta).
ideale di Urbino” di un autore ignoto è un’opera prospettica
3) la tavola 2Città
raffigurante forse un edificio pubblico adibito a teatro, ma la cosa importante è che ha
la forma di cerchio (tema centrale nel Cortegiano) (t. indiretta).
4) nel 1513 viene messa in scena una commedia, “La Calandria”, nel palazzo ducale
e Castiglione in una lettera descrive la bellezza della scenografia frutto della
prospettiva (t. diretta)
PROBLEMA DELLA LINGUA
Nella lettera dedicatoria dice di voler adattare il concetto di “ars est celare artem”
problema della lingua, iniziato da Dante nel “De
anche alla lingua. Affronta così il
volgari eloquentia” e rimasto ignorato fino al Quattrocento. Nel Cinquecento Bembo
pubblica “Prose della volgar lingua” dove affronta il problema di riconoscere la
dignità del volgare.
Vi sono tre posizioni sulla lingua:
1) posizione arcaizzante: riconoscere il primato della lingua in Petrarca per la poesia
e in Boccaccio per la prosa.
2) posizione cortigiana: ricerca di un modello nella lingua parlata nelle corti del
Cinquecento. Castigliane sostiene questa posizione.
3) Posizione toscana: uso del fiorentino o del toscano moderno.
Bembo dice che prima bisogna dare dignità al volgare e applica gli schemi del latino
al volgare. E sostiene che la lingua deve essere assoluta, intatta, pura. Per questo
rifiuta il plurilinguismo di Dante. La sua lingua non riguarda le classi popolari, la cui
ed è fatta per l’uso e quindi cambia costantemente, mentre la lingua
lingua è orale
scritta è immutabile ed eterna.
Bembo, d’accordo con Tasso, disprezza l’oralità a favore della scrittura, che è ciò che
ferma la voce nell’eternità.
Due delle persone che sono presenti negli Asolani sono presenti anche nel
Cortegiano, e parlano della lingua. L’opera di Bambo inizia con Ercole Strozzi che
non vuole riconoscere la dignità del volgare e alla fine si converte.
Nel Cortegiano, Castiglione parla della lingua a volte contraddicendosi. Lui sostiene
la posizione cortigiana ma quando va a pubblicarlo nel 1528 ormai la posizione di
si è consolidata, quindi affida la revisione dell’opera a
Bembo Giovanfrancesco
Valier che la bembizza (contraddizione).
VALIER: Castiglione gli affidò la revisione del manoscritto. All’inizio non si sapeva
da chi fu revisionato. Valier eliminò i lombardismi e inserì fiorentismi antichi (ripresi
da Petrarca e Boccaccio). Si capisce che non è Castiglione a correggere perché la
mano è diversa.
Valier era molto importante all’epoca, tuttavia oggi non si sa niente di lui. Questo
perché morì impiccato per aver venduto informazioni segrete di Venezia al re di
Francia nel 1542. Prima di morire fece bruciare i suoi manoscritti non pubblicati. La
sua famiglia era importantissima ma era un figlio illegittimo. Iniziò la carriera a
Mantova dai Gonzaga e poi passò al servizio del Bibbiena (protagonista del
Cortegiano).
Nella dedica, dopo il tema della prospettiva, Castiglione parla della lingua. Qui
rivela due cose: viene rimproverato perché non si ispirò a Boccaccio per la scrittura e
lui dice che Boccaccio scrisse meglio quando era spontaneo e l’artificioso non si vede
(applicazione della sprezzatura alla lingua). Poi dice che Bembo sbaglia quando dice
che le opere migliori di Boccaccio sono quelle teoriche (e quindi il Decameron non è
la sua opera migliore). Dice che se avesse imitato Boccaccio non sarebbe sfuggito
alle critiche di Boccaccio stesso sul Decameron e quindi ciò sarebbe un errore (critica
sottile a Bembo senza citarlo). Inoltre, non può imitarlo dato che trattano temi diversi.
A pag. 8 anticipa la sua posizione sulla lingua, dato che per lui non è possibile usare
parole ormai in disuso solo perché le usò Boccaccio. La scrittura deve essere lontana
dall’oralità, deve essere incontaminata. Per lui usare parole in disuso è un vizio, ma
Boccaccio usava parole che al tempo si capivano, ora i toscani non le capiscono più.
Dice che la lingua è come il commercio delle mercanzie, sono frutto della
contaminazione e non bisogna disprezzare la lingua delle varie corti.
Dice che in Toscana si usano vocaboli corrotti dal latino (mentre in altre regioni sono
rimasti intatti). Sembra quindi scegliere il filone arcaicizzante e quello evolutivo,
però va in contraddizione con quello detto prima, dato che il toscano è un buon erede
del latino, ma lo fa per andare contro Bembo. Poi dice di preferire il lombardo perché
è più fedele al latino rispetto al fiorentino, il quale è una corruzione del latino.
Qui sembra sostenere il filone arcaico piuttosto che quello dell’evoluzione della
lingua.
E’ meglio cercare di evitare di formare parole nuove perché non essendo abituati non
si capirebbero ma è anche meglio non usare arcaismi ormai in disuso. Ciò va contro
‘sprezzatura’),
la consuetudine. Ma lui stesso coniò parole nuove (ad esempio quindi
è contraddittorio.
Quando una lingua va di moda molti la imitano per far capire di appartenere a quel
gruppo, ma una persona che imita una lingua non sua suscita l’iralità.
Lui non conosce la lingua toscana quindi non la può usare.
Dice che se qualcuno non accetta il fatto che lui usi la lingua delle corti può evitare di
leggere la sua opera.
Federico Fregoso riprende la posizione di Bembo, che distingueva tra orale e scritto,
mentre per castigliane sono sullo stesso piano.
d’accordo.
Il Conte non è Castigliane attraverso il Conte dice che indipendentemente
dal contesto in cui ci si trova si guarderebbe bene dall’usare il toscano antico e anche
quello scritto. Quindi non è d’accordo con l’idea di non usare queste parole nell’orale
ma di usarle nello scritto. La scrittura è una forma di parlare che è fissa, mentre la
parlata si disperde. Nell’oralità si può usare qualche forma più licenziosa perché poi
si perde, mentre nello scritto non si può perché resta in eterno e porterà delle critiche.
Però ciò non esclude la parità tra orale e scritto. Se nello scrivere fosse lecito ciò che
non è lecito nel parlare si creerebbe l’affettazione. Dice che la lingua scritta non deve
essere troppo ricercata perché sennò la comunicazione non sarebbe immediata e non
è possibile fare domande perché lo scrittore del testo scritto non è presente, mentre
nel parlato se non si capisce qualcosa si posso n fare domande a che sta parlando per
chiedere spiegazioni. Se si usano parole in disuso si rischia di cadere nell’affettazione
e far capire che si è studiato molto per usare quelle parole ricercate.
DUE POSIZIONI OPPOSTE:
1) il Conte dice che la scrittura non può permettersi ambiguità
2) Federico dice che nell’oralità si deve essere comprensibili mentre nello scritto
bisogna usare parole ricercate (perché se il testo è troppo comprensibile toglie l’alone
di mistero che da).
Giuliano de Medici dice che al cortegiano serve di più il parlare rispetto allo scritto
ma entrambe le cose sono importanti.
Il Conte (che usa la sprezzatura dato che dice che gli chiedono cose che non sa
mentre invece le sa) risponde dicendo che dato che si parla del toscano bisogna dar
parlare il Magnifico, che riprende la tesi dei castigliane, dicendo che anche Petrarca e
Boccaccio ora non userebbero le parole da loro usate anni e anni fa.
Bibbiena dice che queste parole si usano ancora ma dal popolo ed è per questo che i
nobili non le usano più.
A pag. 71 dice che dalla lingua romana sono nate tante altre lingue che hanno avuto il
loro sviluppo corrompendosi ancora di più. Per lungo tempo questa lingua, il volgare,
ha trovato il suo sviluppo con Dante, Boccaccio e Petrarca
. La Toscana ha fatto si che questa lingua prendesse piede in Italia.
Durante l’epoca dell’occupazione barbara anche le altre regioni, al pari della toscana,
hanno iniziato a curare la lingua cosicché varie parole latine sono scomparse.
Attraverso le parole del conte, castigliane esprime la sua idea che le lingue mutano,
idea ostile a Bembo.
Anche il latino si è evoluto nel tempo, tanto che Turno non parlava lo stesso latino di
Virgilio.
Quindi si possono rispettare i classici anche senza usare il loro linguaggio.
Ma non si può imitare gli autori antichi perché le cose si sono evolute e molte parole
usate dagli antichi ormai non si usano più. Quando si usano le parole degli antichi,
qualsiasi tema trattato viene elevato. Quando si scrive non bisogna avere attenzione
solo allo stile e alle parole ma anche al tema.
A pag. 76-88 Castiglione fa riferimento ai dialetti presenti in Grecia prima della
Grecia classica, che poi hanno