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Il vero movente dello scontro tra i paladini di Carlo Magno e i Saraceni guidati da Agramante
Boiardo afferma poi che il vero movente che ha portato allo scontro tra i paladini di Carlo Magno, per quanto riguarda il campo cristiano, e i Saraceni guidati da Agramante (le qualimovenze e comportamenti vengono definiti da Ariosto "l'ire e i giovenil furori") è inerente etrasportato soprattutto da un fattore egoistico: l'impresa tragica di Agramante è motivata dalloscopo di acquistare fama e onore. Come già accennato, il secondo filone del racconto è quelloamoroso. Già nell'esordio dell'opera viene presentato uno dei protagonisti dell'opera, ilpersonaggio che darà il nome all'intera opera ariostesca: Orlando. L'Ariosto dichiara in questiversi la novità dell'argomento, un topos molto frequente nella tradizione classica e medievale,tuttavia qui tale topos è introdotto con il preciso intento di sottolineare come il poeta si distacchidalla tradizione, dicendo così
di un Orlando non solo innamorato, ma pazzo per amore. Quindi abbiamo così il tema del furor (Lat. Pazzia): il termine che era già stato impiegato per Agramante, compare non solo qui in questi versi, ma anche nel resto del poema, per indicare e significare, l'insania amorosa di Orlando o di altri personaggi. Il tema della follia per amore viene ripreso in tutta l'opera: nel proemio del canto XI Ruggero cade vittima della "libidinosa furia" per Angelica. Angelica è un personaggio inventato dal Boiardo, che, pur senza preoccuparsi di farne una figura psicologicamente organica, ne aveva posto in rilievo l'appassionata sensualità e la femminile malizia; il poema, pur essendo stato concepito come gionta, cioè una continuazione dell'Orlando Innamorato, non fu mai ridotto a vero e proprio seguito del poema boiardesco: dimostrazione di questa mancanza di completezza è il fatto che l'autore non portò a termine.Tutti i nuclei narrativi aperti dal Boiardo. Anche la scelta di Angelica come punto di partenza del Furioso non era in questo senso ovvia: Boiardo aveva voluto privilegiare le "armi" agli "amori" e, nel progressivo snodarsi delle vicende epiche, aveva finito per trascurare Angelica per gran parte del secondo libro e per i nove canti del terzo. L'Ariosto lascia in ombra la sensualità e la femminile malizia e invece fa di Angelica uno dei simboli più significativi della irrazionalità del sentimento amoroso, sia in quanto oggetto sempre fuggente del desiderio del protagonista Orlando, sia di quello di Rinaldo e di tanti altri cavalieri, sia in quanto vinta essa stessa dal desiderio d'amore, dal punto di vista sociale irragionevole, per Medoro, un povero fante saraceno ferito (Medoro compare per la prima volta nel canto diciottesimo del poema: giovane guerriero bellissimo d'aspetto, anche per via dei capelli insolitamente biondi per un Moro d'Africa).
è legato da amicizia al commilitone Cloridano ed entrambi sono sudditi del re Dardinello). Nel canto VI Ruggero che era appena giunto con l'ippogrifo sull'isola fatata di Alcina decide di riposarsi dal lungo viaggio in una radura di prati fioriti e di fresche ombre, lasciando il cavallo alato legato a un mirto, albero che però nasconde un particolare non irrilevante: non si tratta di un arbusto vero e proprio, ma di Astolfo, paladino cristiano, il quale comincia a raccontare a Ruggero delle tattiche amorose della maga Alcina: infatti Astolfo era stato ingannato e rapito dalla maga Alcina (attraverso una balena che aveva sembianze di un'isola) e la maga, dopo averlo usato per i suoi scopi sessuali, come amante, lo aveva trasformato in mirto. È il mito dell'uomo-albero, topos antropologico e letterario della metamorfosi che attraversa la cultura occidentale dalle sue origini alla contemporaneità. Ruggero salva Astolfo, cadendo però poi.
egli stesso prigioniero dell'incanto di Alcina, la quale, vecchia, brutta e sdentata, grazie ai suoi poteri magici gli appare come una giovane donna fascinosa. Qui in tutto il suo splendore viene trattato il tema della Simulazione (che tratteremo in seguito). Tuttavia alla fine Ruggero riesce a scappare con l'aiuto della maga Melissa, che gli mostra le vere sembianze della fata malefica. Nel proemio del canto II, Ariosto riflette su quanto l'amore, passione per cui persino il paladino più valoroso, Orlando, cade vittima, sia in realtà un "Ingiustissimo Amor", poiché non consente mai la tranquilla e regolare corrispondenza degli affetti amorosi. L'episodio in cui si mostra tutto il tema della follia per amore del protagonista, si trova nei canti XXIII e il XXIV. Orlando giunge, mentre ricerca Angelica, in un luogo assai insolito, una selva nei cui alberi sono incisi intrecciati in mille nodi d'amore due nomi: Angelica e Medoro.paladino è sconvolto, ma trova il modo per crearsi un autoinganno convincendosi che il nome di Medoro sia un soprannome che la sua amata abbia utilizzato per celare il suo nome. Ariosto, nel proemio del canto XXIV, nella prima ottava, chiarisce esplicitamente il significato etico dell'episodio che da il titolo al poema: cioè come egli abbia voluto rappresentare nella pazzia di Orlando un caso tipico, e solo apparentemente estremo, della sconfitta della ragione da parte della passione irrazionale; sconfitta che nessun uomo può evitare, neppure colui che, come il poeta stesso, si assume il compito di ammonire e avvertire gli altri: una riflessione di Ariosto sul fatto che gli uomini sono soliti perdere il senno per amore, una delle principali cause della loro rovina. E mentre il nostro eroe è roso dal tarlo del dubbio, si imbatte in un ombroso e fresco antro nei pressi di una chiara e limpida fonte nonché perfetto riparo dalla calura estiva, ma
un'intensa passione.Poiché è scoppiato un amore incontenibile da una piccola scintilla: L'umiliazione maggiore per Orlando è non solo l'aver perso la donna, ma soprattutto che un umile soldato sia stato preferito a lui. E la narrazione del pastore diviene la "secure che 'l capo a un colpo gli levò dal collo". Così Orlando è in preda all'insania e immediatamente gli cadono in odio la casa, il pastore e soprattutto quella letto dove la donna aveva giaciuto col suo amante e fugge via fulmineo. Da qui inizia la follia più cieca alimentata da lacrime e dolore. Come primo atto di questa sua rovinosa follia Orlando si reca nella grotta accanto alla limpida fonte dove era inciso l'epigramma di Medoro e ne fa scempio. L'ultimo atto che lo degrada dalla sua condizione di saggio, valoroso e stimato cavaliere è il suo privarsi dell'armatura e delle armi che vengono scagliate in ogni dove: nella tradizione del mondo classico la perdita
Delle armi era fonte di disonore e di perdita della dignità, per cui è chiaro che l'episodio segna irrimediabilmente la caduta irreversibile dell'onore del paladino. In seguito Orlando compie gesta che lo conducono ad una condizione disumana e bestiale, qui si completa l'abbassamento della sua dignità eroica e l'ironia dell'Ariosto tocca levette più alte. Estirpa alberi d'alto fusto, stermina greggi, pastori, contadini con inaudita violenza ed efferatezza, compie poi imprese impossibili come attraversare a nuoto lo stretto di Gibilterra. Rinsavirà solo quando il paladino Astolfo si recherà sulla luna a recuperarne il senno. A questo punto ci si chiede cosa abbia spinto Ariosto a declassare Orlando e altri paladini nel poema. La risposta si può facilmente arguire dalla critica che egli fa alla concezione dell'amore cortese fortemente idealizzato, che rinverdisce nell'ambito delle corti.
rinascimentali e si esprime mediante il platonismo. Tutto questo non ha più senso per Ariosto, appartiene ad un'epoca ormai remota, egli non considera più l'amore come fonte di elevazione spirituale bensì come fonte di follia e di abbrutimento, inoltre ritiene i valori della cavalleria impraticabili nella società cortigiana presentandoci perciò i personaggi sotto una luce straniata con il sapiente uso dell'ironia, per renderli distanti e grotteschi agli occhi del lettore moderno. La figura della donna, invece, ne esce vincente: non è più la donna angelo idealizzata, rarefatta e spirituale, ma una donna che sa benissimo ciò che vuole e soprattutto che sceglie chi e quando amare, non è più disposta ad essere amata e lodata a distanza, o peggio un premio da conquistare o da offrire al miglior partito. Ariosto come già indicato presenta nei suoi proemi, riflessioni morali ed etiche sui comportamenti umani.non solo legati all'amore, ma anche alle relazioni che si instaurano tra esseri umani, con il genere opposto e tra esseri umani stessi. Ad esempio l'autore tratta il tema della simulazione: già questo argomento era stato presentato nel proemio del canto IV, alla fine del canto II, ma anche già nel canto I. Il fatto che le relazioni sociali pullulino di menzogne nocive, Ariosto lo rammenta subito, fin dal I canto. Non vista, Angelica ascolta qui i sospiri d'amore che le rivolge Sacripante e s'illude che ai sospiri del suo spasimante corrisponda un carattere leale e sincero come quello di Orlando; per questa ragione decide di simulare benevolenza allo scopo di farsi riaccompagnare in Catai. Da brava ipocrita, uscendo fuori dal cespuglio, la donna si rivolge allo spasimante salutandolo addirittura con le parole di Gesù risorto: "Pace sia teco". Angelica tuttavia sta cadendo in un gravissimo errore. Violare la verginità dell'amata, infatti,è il primo pensiero di Sacripante. Se Bradamante, passando frettolosa, non avesse disarcionato il guerriero, insieme anche alla sua libidine e orgoglio, il fiore di Angelica sarebbe stato portato via in un soffio da chi, come Sacripante, alla fine avrebbe avuto la sua vendetta.