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La tradizione dei cantastorie a Napoli

Per i secoli successivi, le attestazioni più copiose si hanno per la tradizione napoletana. In uno dei dialoghi del Pontano, l'Antonio (1488) si fa accenno a due diversi tipi di canterini: quelli che usano accompagnarsi nel cantare una canzone d'amore e che non esitano a declamare una poesiola morale, e quelli che si presentano in compagnia di un buffone, a cui spetta il compito di recitare il Prologo in cui si raccomanda al pubblico l'attenzione. Questo gruppo non viene accolto bene dai due uditori. Pontano, tramite le parole del suo personaggio, fa intendere che questa dei cantastorie era una novità per Napoli e si può dedurre che vi fosse arrivata non prima della metà del secolo. Dal racconto, sembra di capire che questo Cantatore declamava se con il solo sussidio della memoria, come avviene in Sicilia.

Tutta via Napoli, i cantastorie erano solite ostentare l'uso di un libro o discartafacci come simbolo di prestigio di competenza "letterata" presso gli uditori.

Nel 500, Napoli era ricchissima di poeti rapsodi. Questi professionisti dello spettacolo popolare svolgevano attività di varia natura, legati al canto, la narrazione, alla musica, il ballo, l'intrattenimento teatrale e alla giocoleria; venivano invitati a feste per esibirsi per gli intervenuti. Inoltre, traducevano in poesia fatti di cronaca e avvenimenti di rilievo, per cantarli e vendere nei mercati e nelle fiere i fogli volanti.

A partire dagli anni successivi alla sua pubblicazione, l'Orlando furioso divenne fonte di ispirazione per i poeti e per ogni genere di spettacolo popolare di argomento cavalleresco. La sua enorme popolarità fu determinata anche dalla forma in ottave, che ben si prestava all'esecuzione musicale.

La diffusione dei versi dell'Ariosto del XVI secolo riguardava

Ambienti socialmente diversi: le storie di Orlando erano recitate, cantate nelle corti e nelle altre accademie, ma anche in ambienti rurali, nelle piazze cittadine. Proprio il favore popolare, la grande diffusione e la fruizione del furioso attraverso la lettura ad alta voce e altre forme di esecuzione e rappresentazioni popolari divennero argomenti per i detrattori dell'opera di Ariosto. (63-70)

Dall'inizio dell'ottocento, accanto a quella napoletana, la tradizione siciliana e quella più diffusamente e compiutamente attestata. L'elemento che caratterizza i fabulatore inapoletani, stando alle fonti, è l'abitudine di utilizzare un libro durante il racconto, anche se questa è una caratteristica della performance è comune anche ad alcuni professionisti di piazza in Sicilia. Anche in questi casi, l'argomento della prosa e ancora una volta la materia cavalleresca.

Del 1858 e la Storia dei Paladini di Francia, del maestro elementare Giusto Lodico.

cheintese riunire in un unico ciclo le gesta dei Paladini, in una sorta di compendio che comprendeva dalla Chanson de geste fino ai poemi cavallereschi del quattro e del cinquecento, in una lingua moderna e facile. Molti dei cuntisti, tra cui Peppino Celano e Roberto Genovese, tra gli ultimi rappresentanti di questa schiera di professionisti dello spettacolo popolare, dichiararono di usarlo seguendone il filo narrativo.

Achille Mazzoleni descrive le caratteristiche della recitazione del centista Giovanni Cifalioto di Catania: "la sua voce suona cadenzata e monotona, se non fosse qualche grido di dolore o qualche minaccia e bestemmia che a volte ne rompe l'uniformità del tono. Le parole gli escono raggruppate in periodetti quasi sempre uguali, che si succedono con una regolarità automatica. All'entrata in scena di qualche personaggio importante, anche la voce del nostro narratore si faceva più sostenuta e più grave: Carlo Magno parlava quasi sempre in"

In modo sentenzioso solenne, Rinaldo in un certo tono tra lo scherzoso el'ironico, l'Orlando era il vero tipo del soldato smargiasso". Cantastorie descritto non è accompagnato da strumenti, non canta me recitadeclamando, seguendo un andamento cantilenante e monocorde, che si interrompe solo nelle scene di battaglia. Alla declamazione, si alterna spesso il canto e, quindi, la poesia alla prosa.

Nel resoconto giornalistico di Gustavo Chiesi si delineano delle caratteristiche della forma narrativa accostabili a quelle che si ricavano da diverse fonti ottocentesche per i Rinaldi napoletani, chiamati così dal nome del loro Palladino prediletto. Nella descrizione dell'araffigurazione di un cantastorie contenuta in Napoli in miniatura di Mario Lombardi (1847): "con un paio di occhiali sul naso e con in mano un sudicio scartafaccio, con voce ora alta ora piana, ora tenera ora furibonda, con spontanea declamazione, ripeteva agli attoniti ascoltanti le gesta di Rinaldo,

Il sudicio scartafaccio è il testo che il raccontatore legge durante "Furore di Orlando"...

L'esibizione, la cui descrizione è conforme alle altre che si ricavano dalle fonti ottocentesche sui Rinaldi. La più citata è quella che contiene il ritratto di tre esponenti di questa categoria, scritta da Pio Rajna nel 1878:

"Cosimo ha un libro chiuso nella mano destra, stringe nell'altra mano uno scettro... È questo il distintivo caratteristico dei Rinaldi nell'esercizio delle loro funzioni. Il Rinaldo ricorda brevemente agli uditori dove si è rimasto il racconto la volta passata. Dopo di ciò, apre il volume e comincia a recitare leggendo. Cosimo legge e nutre sentimenti di commiserazione per l'uno dei suoi colleghi, che dispone invece all'improvviso. Con lui non mantiene né i versi né la rima, egli osserva sprezzante, e non dice le cose come stanno nel libro. La lettura declamata, là dove il"

Il passaggio da una stanza all'altra permette un'interruzione, e intra ammezzata da unspece di commento, parte in dialetto, ma più spesso in lingua. Il commento manifesta talora i moti dell'animo, perlopiù tuttavia si riduce ad una produzione libera del testo. L'uditorio ha bisogno di questo aiuto, poiché sarebbe assurdo pretendere da lui l'intelligenza di una moltitudine di forme poetiche, di frasi e di modi antiquati. I libri che Rinaldo legge, sono tutte quante in ottava rima, alcuni ma i dati alle stampe". "(Rocco Pezzella, attivo a porta Capuana) egli recita di memoria, racconta in prosa le storie che alette sui libri. Alla prosa si frammischiano i versi, che devono essere perlopiù reminiscenza della lettura". Quando non recita o legge in prosa, il verso usato dal cantastorie e quasi sempre all'endecasillabo. Leggendo i testi appartenenti alla letteratura popolare ci si accorge che non mancano anomalie.

Consistenti in allungamenti o contrazioni che modificano il ritmo dell'ottava tradizionale; ante la recitazione, però, con la possibilità di intervenire sulla lunghezza del suono rispetto alla parola scritta, questi scarti dalla regola venivano probabilmente appianati. Anche quando si trova davanti un testo colto, tuttavia, il cantastorie non rinuncia ad attuare delle modifiche.

Questi cantastorie appartenevano alla cultura dell'oralità e spesso erano poco alfabetizzati, rimodellavano nel testo scritto con libertà, intervenendo anche con aggiunte o commenti estemporanei, per rivolgersi ad un pubblico scarsamente alfabetizzato o del tutto analfabeta. La scrittura però accredita il valore di ciò che viene detto: il libro è strumento di potere, di legittimazione e di fascinazione. Il commento al testo, in dialetto o in lingua, in prosa o in versi, fa parte del racconto e consente di alternare due diversi linguaggi ma anche due registri culturali.

Il cantastorie non solo traduce e spiega per un pubblico non abituato un linguaggio letterario ma attualizza, rende vivo il materiale di tradizione scritta. Fino alla metà dell'ottocento, il Rinaldo non faceva parte della classe popolare né di quella dei mendichi. Già dalla metà del settecento, gli vennero riconosciute le competenze professionali e la funzione sociale da loro svolta e furono dichiarati dal governo di Napoli "appartenere ad una scientifica ed utile professione". Le testimonianze per la tradizione siciliana, descrivono un approccio per la materia cavalleresca rappresentativo è mimetico, caratterizzato dalla mescolanza di diversi codici linguistici e forme narrative, in analogia con ciò che accadeva a Napoli. Pagina 14 Le fonti che testimoniano le attività dei cantastorie a Venezia sembrano invece delineare un approccio narrativo ed epico, con una certa predilezione per la recitazione in prosa. Gli intrattenitori

popolare di questa città recitavano memoria o, talvolta, leggendo dal libro. Un esempio è Ermenegildo Sambo, che narrava con il solo aiuto della memoria perché analfabeta. Interrogato su come avessi appeso queste storie, il cantastorie imbastisce un racconto quasi mitico dei lunghi viaggi che avrebbe fatto su un mercantile, a bordo del quale i padroni leggevano alla ciurma questi "libriccini" e che in questo modo avrebbe fissato nella memoria tali storie. Sambo rivendica con orgoglio di essere analfabeta, di narrare con l'aiuto della memoria e senza mutare una virgola di quello che sta scritto nel libro, facendone un punto di forza della professione. I molti esempi disponibili che descrivono l'attività del cantastorie sottolineano l'affinità nei loro racconti con i romanzi cavallereschi di tradizione scritta, la cui origine è vero similmente legata alla narrazione orale, in una fitta trama di relazioni.

Prosa e poesia,

alla tradizione orale, come l'uso di formule ripetitive e di espressioni fisse. Questi elementicontribuiscono a creare un ritmo incalzante e coinvolgente nella narrazione, facilitando lamemorizzazione e la trasmissione orale dei testi. Inoltre, l'uso di formule e espressioni formulaichecontribuisce a creare un senso di familiarità e di continuità tra i diversi episodi e personaggi,contribuendo così a costruire un'identità narrativa coerente.a tradizioni epiche esclusivamente orali e, soprattutto, alle tecniche di improvvisazione dei guslar jugoslavi. Secondo la tesi della "tradizionalismo popolare"
Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
38 pagine
9 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/08 Etnomusicologia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mir.romano85 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Etnomusicologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Staiti Nico.