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Estratto del documento

Bonconte da Montefeltro, era un guelfo che combatté insieme a

Dante nella battaglia di Campaldino, e anche se ne uscì sconfitto

non morì in quell’occasione. Quando Jacopo era podestà di

Bologna, aveva fatto una forte repressione nei confronti degli

Estensi di Ferrara, in particolar modo contro Azzo d’Este che non

lo perdonerà; infatti quando Jacopo diventò podestà di Milano

dovette dirigersi in quella città, ma non passò per il territorio

estense in quanto non si fidava, bensì passo via mare verso la

laguna di Venezia; appena entrò nel territorio padovano gli

estensi lo raggiunsero e lo uccisero.

- Bonconte da Montefeltro (V purgatorio): figlio di Guido da

Montefeltro incontrato nell’inferno. Come Dante e Jacopo del

Cassero combatté nella battaglia di Campaldino, però nello

schieramento opposto, quindi quello dei guelfi. Si presenta

dicendo a Dante che in terra non aveva nessuno che pregasse

per lui perchè i parenti se ne erano dimenticati; con questa

immagine Dante richiama alla memoria i parenti di Bonconte, in

particolare una figlia (Manentessa) che si era sposata con un

uomo appartenenti ad un ramo dei Guidi al quale Dante si era

affidato per ottenere l’amnistia personale; visto che questa non fu

mai applicata, Dante dice che i parenti non si ricordavano di lui

proprio per sminuirli. A differenza de padre che si trovava

nell’inferno e che non avrebbe dichiarato la sua identità se non

fosse stato certo che Dante non sarebbe potuto ritornare sulla

terra, Bonconte si presenta e vuole che il suo nome venga

ricordato. Dante chiede spiegazioni del fatto che il suo corpo non

fosse mai stato rinvenuto, e lui disse che alla sua morte gli si

presentarono un angelo e un diavolo che discussero su dove

sarebbe dovuta andare la sua anima, poi l’angelo se la prese, ma

il diavolo, per punizione, attraverso un temporale, fece

scomparire il suo corpo; la stessa immagine è presente nel canto

del padre in cui si contendevano la sua anima San Francesco e

un diavolo.

- Pia dei Tolomei (V purgatorio): disse di essere nata a Siena e di

essere morta di morte violenta in Maremma, per mano di suo

marito. Di più non si sa.

- Sordello (VI purgatorio): Sordello fece un discorso molto simile a

quello di Marco Lombardo. Il canto inizia con Sordello che chiede

a Dante e a Virgilio da dove provenissero, e scoperto che Virgilio

veniva da Mantova, ossia dalla sua stessa città, lo abbracciò a

lungo. Iniziò poi un discorso contro i problemi dell’impero

sottolineando sempre il fatto che l’impero era vacante e che

quindi le leggi, anche se c’erano, non veniamo rispettate, e che la

responsabilità di tutto ciò non è solo degli uomini di chiesa che

comunque si interessano di più dei beni materiali piuttosto che di

quelli spirituali, ma sta nel fatto che gli imperatori, fino a quel

momento, non si erano mai interessati all’Italia ma solo alla

Germania. Nomina quindi Alberto I d’Asburgo, predecessore di

Enrico VII morto nel 1308, e suo padre Rodolfo, che Dante

chiama Alberto il tedesco perché appunto non scesero mai in

Italia. Manda a questo punto una maledizione a colpire la loro

stirpe (il figlio di Alberto, prossimo al potere, morì un anno prima

del padre) e disse che tutti i futuri imperatori dovevano temere

questa maledizione e dovevano fare in modo che non cadesse

sulle loro casate, occupandosi anche dell’Italia. Probabilmente in

quel momento Enrico non aveva ancora fatto notare la sua

volontà di scendere in Italia. La visuale di Sordello passa quindi

dall’impero in generale all’Italia in particolare, e alle guerre

intestine tra i due schieramenti guelfi e ghibellini, parla delle città

martoriate da questo conflitti e delle famiglie feudali che sono

stressate dalla mania di espansione sia del papa che dei comuni;

nomina poi Roma che piange per essere stata abbandonata, ma

non dal papa, che era ad Avignone ma per l’imperatore, e poi

chiede a Dio se per caso si è dimenticato dell’italia anche lui.

Segue poi una forte invettiva contro Firenze basata tutta

sull’ironia attraverso la quale Sordello dice che firenze è ricca e in

pace, che i suoi cittadini si addossano volentieri il peso delle

cariche pubbliche, e infine la paragona ad una malata che non

riesce a trovare una posizione comoda neanche su un letto di

piume. Per Dante quindi le cause della caduta di firenze e

dell’impero in generale sono il trono vacante e il papa che ha

preso il potere temporale. Nel canto successivo, il VII, Dante

esorta Sordello a passare ad una visione più ampia, dopo essere

arrivati in una valle, simile a quella del Limbo in cui erano

presenti le anime dei più grandi principi re d’Europa, attraverso i

quali Dante può criticare le nuove monarchie emergenti che si

distaccano dall’imperatore; infatti nomina molti imperatori tra cui

Rodolfo e Alberto d’Asburgo, l’anima che consola Rodolfo che

era Ottocaro che lo aveva lungo combattuto in vita (anche da

bambino era sicuramente migliore di come è suo figlio da adulto).

Parla poi di Filippo III l’Ardito (Nasetto, padre di Filippo IV il

bello)che si stringe a consiglio con Enrico di Navarra, suocero di

Filippo il bello che è qui chiamato il mal di Francia. Poi parla di

Carlo d’Angiò e di Enrico Plantageneto che è l’unico il cui figlio è

migliore di lui.

- Carlo d’Angiò (VII purgatorio): chiamato dal papa Urbano IV nel

1265, sconfigge Manfredi, figlio di Filippo II e diventa re di Sicilia.

- Malaspina (VIII purgatorio): Grande elogio a questa famiglia,

incontra Corrado Malaspina

- Guido del Duca (XIV purgatorio): strettamente legato all’anima

che gli sta vicino, Rinieri da Calboli, lo troviamo tra gli invidiosi

con gli occhi cucini. Essendo in questa condizione non riescono a

vedere Dante e Virgilio e parlano di loro, chiedendosi chi fossero,

come se gli altri non potessero sentirli. Dopo la loro richiesta

Dante fa una lunga metafora per presentarsi e dire che veniva

dalla valle dell’Arno, ma senza nominarla. Rinieri quindi comincia

a fare un lungo discorso sulla valle dell’Arno e sui suoi abitanti

che, o colpiti da una maledizione o per il loro atteggiamento,

rifuggono la virtù come fosse un serpente e dice che gli abitanti

della valle si sono trasformati in bestie (porci: casentino, castello

di Porciano/ botoli ringhiosi: Aretini / lupi: Fiorentini / volpi:

Pisani). Finalmente si capisce chi siano queste anime. Quella

che parla è Guido del duca, vissuto nella prima metà del 200

appartenente ad un’importante famiglia di Ravenna, l’altra è

Rinieri da Calboli. Guido fa una profezia sul nipote di Rinieri,

Fulcieri, che caccerà i fiorentini e li ucciderà, lasciando Firenze in

uno stato tale che non si riprenderà neanche dopo 1000 anni.

Fulcieri infatti, diventato podestà di Firenze nel 1303, si

distinguerà per la sua crudeltà contro i ghibellini e i bianchi

fuoriusciti. Guido poi si presenta e presenta Rinieri, e essendo

romagnoli, fa una lunga invettiva contro la nuova stirpe

romagnola e di tutte le casate i cui successori sono tutte bestie;

sono più fortunate le casate che si estinguono per mancanza di

eredi. Quindi con queste anime si parla prima della Toscana e poi

della Romagna.

- Rinieri da Calboli (XIV purgatorio): Insieme a Guido del duca si

trova tra gli invidiosi e ha gli occhi cuciti. Suo nipote è Fulcieri da

Calboli.

- Marco Lombardo (XVI purgatorio): di lui non sappiamo

praticamente nulla a discapito del nome. Non è infatti importante

la sua figura ma quello che dice, propone infatti una dura

invettiva contro il papa in cui, dopo la domanda di Dante sul

motivo per il quale l’impero stai andando in rovina, dice che la

colpa è sia della fatto che le leggi ci siano ma che non vengano

rispettate perché l’impero è vacante, e sia del papa perchè,

unendo in sé sia il potere temporale che quello spirituale, ha

creato un unico potere che non è in nessun modo in grado di

portare il regno alla salvezza. Il papa è troppo attaccato ai beni

materiali. La colpa è quindi sì del papa, ma anche del fatto che gli

uomini credano che le proprie azioni siano comandate da influssi

celesti, eliminando quindi la concezione di libero arbitrio, ma se

così fosse allora non avrebbe senso che Dio punisse o

premiasse gli uomini in base ai loro atteggiamenti. (Teoria dei

due soli presenti nella roma ansia appena cristianizzata). Il suo

discorso è fortemente legato a quello di Sordello nel VI canto del

purgatorio.

- Abate di San Zeno (XVIII purgatorio): ci troviamo tra gli accidiosi,

ossia i depressi, che come contrappasso hanno il dover correre e

muoversi in continuazione. Si presenta un’anima che non dice chi

sia, ma solo che era un abate id San Zeno, signore di Verona,

che lamenta le sorti della sua abbazia. Parla infatti di Alberto

della Scala, nuovo abate, che contro le leggi ecclesiastiche fece

diventare abate un suo figlio illegittimo, Giuseppe. Alberto della

Scala però era anche padre di Bartolomeo Alboino (dal quale

Dante non si trovò bene) e di Can Grande della scala, che invece

Dante adora. Dante, quando scrive questo canto, non sa che

successivamente sarà ospite di can grande a Verona, e

scrivendo questo canto di illegittimità, si porrà in imbarazzo con

can grande in quanto anche lui farà la stessa cosa.

- Ugo Capeto (XX purgatorio): si trova tra gli avari ed è il

capostipite della dinastia dei re di Francia, sulla terra era

chiamato Ugo Ciappetta, e da lui sono nati tutti quei Filippo e

Luigi da cui la Francia è stata comandata, una dinastia in

continua decadenza. In realtà Dante confonde Ugo con suo

padre, era infatti lui il vero capostipite della casata francese. Fa

una profezia post factum secondo la quale i fiamminghi

sconfiggeranno i francesi in una battaglia. Quando ottenne il

potere associò all’impero suo figlio; finché la sua casata non

ottenne in dote la Provenza (matrimonio tra Carlo d’Angiò e

Beatrice di Provenza 1246) non faceva danno, poi però Carlo

cominciò ad espandersi prendendo alcune terre del re di

Inghilterra e anche la Sicilia (Manfredi). passa poi a parlare di un

altro Carlo, Carlo di Valois, fratello di Filippo IV il bello (profezia,

colpo di stato). Passa poi a parlare del terzo Carlo, Carlo II

d’Angiò, detto lo zoppo, figlio di Carlo I che divenne re di Napoli,

ma prima di ottenere la carica fu fatto prigioniero in una battaglia

navale con

Dettagli
A.A. 2016-2017
13 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martasantorelli di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Santagata Marco.