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RITORNO IN ITALIA
63 legionari si imbarcano nel brigantino “Speranza” il 15 Aprile 1848 lasciando il Plata. Garibaldi torna in
patria per combattere e scacciare lo straniero: la liberazione della patria. Approdarono a Nizza dopo un mese
e mezzo di viaggio, dove già Anita e i figli erano tornati da qualche mese. Già la guerra era iniziata.
Da questo momento inizia l’ostracismo dei mazziniani nei confronti di Garibaldi, perché egli si allea con
l’esercito regio. I mazziniani, ferventi repubblicani, non scendono a patti coi monarchici. Dunque Carlo
Alberto, colui che l’aveva condannato a morte, gli da l’amnistia. Garibaldi, afferma però che Carlo Alberto,
fu la causa della rovina e della mancata Unità, nonostante gli elementi favorevoli a disposizione. Garibaldi
viene arruolato nell’esercito lombardo, dove gli venne incaricato di organizzare dei corpi e includere i
volontari della Legione. Garibaldi ribadisce che non sa niente di teorie militari, e odio organizzare i corpi.
Garibaldi non partecipa alle battaglie più importanti, ma ha il compito di assediare e invadere i campi
nemici, svolgere azioni di guerriglia. Si lamenta delle diserzioni e delle scarsa organizzazione. L’Italia viene
sconfitta a Custoza e si firma l’armistizio di Salasco, Garibaldi prova profonda vergogna. Garibaldi
continua col proprio corpo a vagare e a combattere con gli Austriaci, e tra le campagne lombarde fa
esperienza dello scarso affetto dei contadini per la causa nazionale, poiché li diceva “in pasto ai preti”. I
loro padroni erano emigrati per la guerra, così i contadini ingrassavano a loro spese. Da 3000 il corpo si
ridusse a 70 militi! Garibaldi narra di un prode milite catturato dagli austriaci e bastonato. Garibaldi scampò
alla cattura e si rifugiò in Svizzera, spossato da mesi dalla febbre. La Lombardia tornò all’Austria e
l’esercito piemontese era scomparso, ma non distrutto! Non aveva perso battaglia ma si era ritirato
ugualmente. Garibaldi afferma che l’Italia aveva tutti i mezzi per vincere la guerra e addirittura di assalire il
nemico nella sua terra, ma l’imbecillità dei re, dottori e preti fece rinunciare al sogno unitario. Tutta l’Italia è
in sgomento, Garibaldi si lamenta perché al suo corpo non fu dato nemmeno l’abbigliamento basilare, ed
avevano sacrificato le loro ricchezze per venire a combattere in patria (la Legione Italiana non aveva
accettato i terreni donati dalla Repubblica di Montevideo). Inizia a vagare per l’Italia e a reclutare seguaci, e
la sua popolarità gli consente di entrare in città ritornate sotto il dominio dei nemici: per esempio a Bologna,
dove la popolazione gridò ai delegati pontifici “O i nostri fratelli qui, o voi giù da quel balcone”. Garibaldi
elogia anche Ravenna, dove i ceti di classe diversa convivevano e concordavano: era la realizzazione
dell’interclassismo mazziniano e repubblicano. Anche secondo Garibaldi, l’interclassismo è il perno della
libertà e dell’indipendenza italiana.
Intanto a Roma, Pellegrino Rossi viene assassinato e Pio IX fugge a Gaeta. A Garibaldi e ai suoi uomini è
concessa la permanenza sul territorio romano, e i volontari inglobati nell’esercito romano. Ma gli viene detto
di marciare verso Fermo e controllare quella zona minacciata da nessuno: era chiaro che Garibaldi voleva
essere allontanato, tra l’altro considerato con il suo corpo una marmaglia di assalitori e scapestrati senza
disciplina. Garibaldi si difende che solo alcuni lo erano, poiché la maggior parte dei volontari erano tutte di
famiglie distinti delle diverse province italiane. Intanto a Roma si forma l’Assemblea Costituente e si vota,
tutti chiamati ai comizi dopo secoli di servaggio, con il sacro plebiscito. L’8 Febbraio del 1849 Garibaldi tra i
Deputati proclama la Repubblica Romana, trasportato sulle spalle poiché sofferente per i reumatismi. Ma
ecco che i francesi marciavano per ordine di Napoleone III (allora non ancora Imperatore) e con generale
Oudinot, a distruggere la Neo-Repubblica e occupare la Città Eterna. Garibaldi organizza la difesa con circa
1200 uomini di Porta San Pancrazio, porta meridionale di Roma. Inizialmente Garibaldi vince i francesi e si
decide di invadere lo Stato Napoletano, coadiuvato dalle popolazioni locali. Garibaldi accusa Mazzini
(anche se uno dei triumviri, vero dittatore di Roma) di aver nominato capo dell’esercito repubblicano il
colonnello Roselli, valoroso ma di non molta esperienza. Attrito tra Garibaldi e Mazzini? Nonostante ciò,
arrivarono altri rinforzi francesi e Garibaldi dovette tornare indietro per la difesa della città. Tutti gli
uomini fino a Ravenna sono richiamati a difendere la capitale: Garibaldi è contro questo stratagemma di
Mazzini, perché avrebbe eliminato tutto l’esercito repubblicano in una sola volta, data la superiorità dei
francesi, mentre egli era intenzionato a invadere il Regno di Napoli e con l’aiuto della popolazione avrebbe
continuato la battaglia, in un’azione continua e logorante di guerriglia. Era impossibile difendere con pochi
uomini Roma e le sue 18 miglia di mura (Mura Aureliane). Quando la situazione oramai è disastrosa,
Garibaldi chiede la dittatura di Roma dove Mazzini e gli altri rimangono scandalizzati, ma capiscono che è
necessario, ma gliela concedono troppo tardi. I francesi erano troppi, la Repubblica cade, morirà anche
Mameli. Garibaldi e Mazzini scappano. Il Generale lo accusa di inefficienza e imperizia. Una corvetta
americana aspettava Garibaldi a Civitavecchia, ma rifiuta perché vuol tentare ancora la sorte del Paese.
Anita, incinta lo segue. Pian piano si spegne il fervore nazionale e Garibaldi accusa di viltà gli italiani, e ne
fa paragone invece con la coraggiosa e instancabile popolazione del Sud America. Nessuno più rispose
all’appello. Garibaldi accusa specialmente i contadini, che non sposeranno mai la causa nazionale, perché
narcotizzati dai preti scarafaggi. Aneddoto dei frati, dove Garibaldi minaccia al vescovo di fucilarli ed egli
risponde che vesti per fare i frati ce ne sono; in caso di fucilazione li avrebbe fatti martiri. Garibaldi li fece
rilasciare. Comunque sia, Garibaldi si rifugia a San Marino seguito dagli Austriaci. Arrivato lì scioglie il
Corpo dei Volontari e decide di partire per Venezia. Supplica Anita di rimanere qui perché incinta, ma ella lo
segue perché crede che vuole abbandonarla. Anita morirà e moriranno anche fucilati dagli austriaci alcuni
italiani, tra cui un padre e un figlio di 13 anni che aiutarono Garibaldi a fuggire. Dopo la straziante perdita di
Anita, si rifugia in Liguria. La popolazione, soprattutto i giovani, e questa la dice lunga, perché il
risorgimento fu fatto dai giovani, nasconde Garibaldi, e tra questi anche un sacerdote, che lo considera
davvero un sacerdote di Cristo. Dunque il generale vaga per l’Italia per sfuggire agli austriaci.
Arrivato in Piemonte, cerca asilo a bordo di un vascello inglese, ma il generale Lamarmora, allora
commissario regio a Genova, lo fa arrestare dai carabinieri. Ma in prigione è trattato con deferenza e
addirittura gli è permesso di andare a Nizza per 24ore e abbracciare i suoi figli e i suoi cari: 2 maschi e una
femmina. Il Governo Piemontese, nonostante l’opposizione di sinistra, lo condanna all’esilio e gli da
possibilità di scegliere il luogo: Garibaldi sceglie Tunisi, ma allora sotto il dominio francese viene
allontanato. Nemmeno a Gibilterra dal governatore inglese fu voluto. Questo lo amareggiò molto. Rifugiato
a Tangeri (Marocco), partirà con un amico verso l’America, da Liverpool a New York ed entrare nel mondo
mercantile. Il Generale, sotto il nome di Giuseppe Pane, inizierà una pausa e si dedicherà ad altro.
Conoscerà Antonio Meucci, fiorentino, inventore del telefono e lavorerà nella sua fabbrica di candele.
Viaggerà poi verso l’America Centrale, in Nicaragua, con un amico per commerciare, e da lì fino in Cina. A
Lima, Garibaldi picchia e vastunìa e chiattunìa un francese che aveva mancato di rispetto al nome degli
italiani. La polizia di Lima, sollecitata dal console francese, volle arrestarlo ma ecco che la comunità di
italiani lo difende, dove nemmeno una multa toccò al Generale. Gli italiani nelle Repubbliche sud americane
sono più valorosi, onesti e laboriosi rispetto a quelli della patria. Dal 1849 al 1854 dopo quasi 6 anni di esilio
torna a Nizza dai suoi figli. Fino al 1859 abiterà nel suo possesso di Caprera, coltivando e navigando.
II GUERRA D’INDIPENDENZA
Garibaldi è richiamato nel febbraio del 1859 da Cavour, che si allea con la Francia. Garibaldi sacrifica i
propri ideali repubblicani al fine di unire l’Italia. Qual era il compito di Garibaldi? Far capolino, comparire
e scomparire, una figura esterna e latente, al di fuori della diplomazia. Da qui si evince la scaltrezza di
Cavour, perché Garibaldi prima di tutto è un eroe popolare. Ma Cavour fu cauto, cioè dare o far arruolare
un numero limitato di volontari al suo seguito, perché sa che Garibaldi ha carisma ed è capace di far
insorgere la nazione. Egli incontra il re Vittorio Emanuele II e gli viene ordinato di arruolare dei volontari
(esclusi i 18-26enni!! E questo dice tutto) e richiamare i Cacciatori degli Appennini, in un numero massimo
di 3000. Come sempre Garibaldi non partecipò alle grandi battaglia ma si limitò a scaramucce e ad azioni di
guerriglia, ad aizzare i cittadini e a creare insurrezione. Addirittura suscitò gelosie agli alti ufficiali
dell’esercito piemontese, perché Garibaldi vinceva sempre, scaramucce o no. Il corpo dei Cacciatori degli
Appennini crebbe spaventosamente da 3.000 a 12.000.
Un aneddoto strano ci racconta: la IV Divisione dell’esercito italiano, forse la migliore, viene distaccata e
mandata altrove durante la Battaglia di Solferino. Secondo Garibaldi fu Napoleone III che volle questo per
prendersi i meriti di una vittoria francese, più che piemontese. Ci fu l’armistizio di Villafranca.
Viene mandato in Italia Centrale, a Firenze. Secondo Garibaldi, egli avrebbe potuto riunire un esercito di
100.000 giovani e riunire tutta l’Italia da nord a sud, ma Garibaldi ai poteri alti da fastidio. È una specie di
burattino, utilizzato dai politici, perché il popolo è con lui. È un personaggio scomodo. Intanto progetta
l’invasione pontificia e la spedizione in Sicilia ma Vittorio Emanuele glielo nega: il re vede di buon occhio
Garibaldi, ma Cavour no, e si sa che Cavour manipola il re. Anche Parigi vuole che non gli sia dato troppo
potere.
In realtà Garibaldi avrebbe potuto scatenare una rivoluzione in tutto il Paese contro questa elite, ma non lo fa
per il bene dell’Italia e della sua unità: egli sacrifica t