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I GIURAMENTI DI STRASBURGO
Fra l’VIII e il IX secolo l’Europa cristiana ha sperimentato una fase di consolidamento dovuta alla
dinastia carolingia. Carlo Magno aveva realizzato il sogno della ripresa di un nuovo Impero romano
d’Occidente. Alla morte di Carlo Magno nell’814, questo nuovo impero, che comprendeva la
Francia, la Germania, una vasta parte dell’Italia, la parte nord-orientale della Spagna, si mantiene
unito sotto Ludovico il Pio, che regna fino all’840. Ludovico il Pio era mite e religioso, benché i figli
fossero di tutt’altra natura, e l’impero si disgregò proprio per l’ereditra tra i tre figli: Lotario, Carlo il
Calvo e Ludovico il Germanico.
Nell’842, due anni dopo la morte di Ludovico il Pio, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico si
alleano contro il fratello maggiore Lotario. In eredità dal padre a Lotario fu lasciato il titolo di
imperatore, una fascia di territorio che va dall’Olanda alla Pianura padana, e la Lorena (Lotaringia);
a Carlo il Calvo la parte occidentale fino alla Spagna; a Ludovico il Germanico la parte germanica.
Per una decina d’anni questi fratelli mantennero la pace, finché scoppia una guerra tra Carlo e
Ludovico. Poi muore Lotario. I fratelli si combatterono e si divisero il territorio in un altro modo.
Nell’842, quando i fratelli si alleano, è il momento del testo dei Giuramenti di Strasburgo. Nitardo,
cugino dei fratelli, scrive la storia dei figli di Ludovico il Pio, in cui riporta questo avvenimento
dell’842. Il patto viene stipulato a Strasburgo, nel febbraio dell’842. Ludovico e Carlo si incontrano
con i rispettivi eserciti alle spalle, giurano fedeltà reciproca contro il fratello Lotario secondo una
formula in latino tradotta in francese e in tedesco per farsi capire dai soldati. L’uno giura nella
lingua dell’altro, quindi Ludovico il Germanico giura in francese, Carlo il Calvo in tedesco. A loro
volta, con una formula più semplice, i due eserciti giurano fedeltà a quanto hanno udito nella
rispettiva lingua.
Di queste due formule, quella che a noi interessa è quella in francese. I due testi hanno
caratteristiche diverse. Il testo francese presenta alcuni problemi, mentre il testo tedesco è molto
più corretto. Bisogna dire che il manoscritto di Nitardo ci giunge da una sola copia che risale a 150
anni dopo rispetto al testo originario e quindi potrebbe esserci un problema di trasmissione.
Il giuramento in francone di Lodovico il Germanico
« Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d’ist di in avant, in quant Deus
savir et podir me dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in ajudha et in cadhuna cosa, si
cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi altresi fazet, et ab Ludher nul plaid nunquam
prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno sit ».
[Traduzione: « Per l’amore di Dio e per la salvezza del popolo cristiano e nostra comune, da
questo giorno in avanti, in quanto Dio mi conceda sapere e potere, così assisterò io questo mio
fratello Carlo, e con l’aiuto e con ciascuna cosa, si come secondo giustizia si deve assistere il
proprio fratello, in ciò che egli faccia altrettanto a me, e con Lotario nessun accordo mai prenderò
che, per mio volere, di questo mio fratello Carlo sia in danno ».]
« Pro Deo amur et pro christian poblo » : sono due genitivi che non vengono ancora segnalati dalle
preposizioni di o de.
Il provenzale ha solo due casi (fino al XIII secolo), il nominativo e l’accusativo. La differenza è la S
che è al caso retto singolare e al caso obliquo plurale.
provenzale francese
MURUS nom. sing. MURS
MURUM acc. sing. MUROS
MURI nom. pl. MUR
MUROS acc. pl. MURS
« amur » : da amorem, la U potrebbe essere una realizzazione grafica della pronuncia amor che
anticipa
la tendenza alla chiusura verso la U presente nel francese moderno: amour.
« d’ist di in avant » : da questo giorno in poi; ist dal lat. iste; di dal lat. die; in ha ancora la grafia
latina,
perché poi muterà in en; avant dal lat. de ab ante. Quindi in resta come in latino, mentre avant
procede verso il francese.
« avant » : dal lat. de ab ante, in cui la b si spirantizza, subendo una lenizione, e si trasforma in v.
Anche la parola amica si lenisce in spagnolo e in provenzale diventando amiga, in francese amie,
in cui la velare va al dileguo e sparisce del tutto.
« in quant » : nella misura in cui.
« Deus savir et podir me dunat » : Dio mi dà potere di sapere e decidere (formula latina).
« me » : dal lat. mihi, forma romanza.
« dunat » : dal lat. donat, che avrebbe dovuto dare donat anche in francese, perché oggi abbiamo
in francese il verbo donner, ma evidentemente la U è una rappresentazione grafica della pronuncia
chiusa.
« savir » : SÀPERE, ‘avere il sapore di qualche cosa; poi assume il significato di avere conoscenza
di qualche cosa’ > SAPÉRE > SAVEIR (lenizione di P in V spirante sonora e la E lunga diventa EI
e poi OIR in savoir). Nel testo abbiamo savir : è un problema aperto, perché lo troviamo solo nei
Giuramenti. La soluzione di questa incertezza può essere quella di pensare che il dittongamento
della E già si pronunciava ma non era stabilito graficamente. In tal caso, è il segno di un processo
in atto non ancora regolarizzato nella scrittura.
« podir » : dal verbo latino irregolare posse, che va poi verso una semplificazione, una
regolarizzazione: POSSE > POTÉRE > PODEIR. Avremmo dovuto avere un dittongo anche in
questo caso, ma non viene rappresentato e quindi abbiamo podir. Per arrivare alla forma moderna
pouvoir, la O dittonga in OU, la D si spirantizza in V e IR si trasforma in OIR.
« salvarai » : dal lat. salvabo. Il futuro qui è perifrastico, cioè viene composto dall’infinito + verbo
avere.
« cist » : dal lat. ecce + iste, ‘questo’.
« fradre » : dal lat. fratrem > frade > fr. mod. frère. La A tonica in francese passa a E, la T si
lenisce in D; la E è evanescente; la M cade.
« Karlo » : nel testo abbiamo Karlo e Karle, sono due modi per indicare una pronuncia
evanescente della vocale finale, probabilmente di una E.
« et in ajudha et in cadhuna cosa » : formula ridondante.
« ajudha » : dal latino adiutum (infinito adiutare). Il nesso D+I è rappresentato da J; la T è passata
a D, ma con un suono semispirante DH (come il TH inglese); UM cade lasciando il posto a una A
che va pronunciata E evanescente come nel francese moderno.
« si cum om per dreit son fradra salvar dift » : letteralmente, ‘così come uomo per diritto suo
fratello salvare deve’, ma avendo om valore impersonale ‘a buon diritto si deve salvare il proprio
fratello’.
« om » : dal lat. homo; diventerà poi on nel francese moderno, soggetto della forma impersonale.
« dreit » : dal lat. directum, ‘diritto’. Il nesso CT si risolve in EIT, per arrivare a dreit ; ma nel
francese attuale droit.
« son » : dal lat. suum.
« fradra » : vd. supra; evidentemente anche in questo caso la A finale corrisponde a una E
evanescente.
« dift » : ‘deve’, dal lat. débet > deit > doit. Il dittongo non è rappresentato, come in savir e podir.
Abbiamo il passaggio da E a I, da B a spirante sorda F, cade la E, quindi dift.
« in o quid il mi altresi fazet » : in hoc quid, ‘in ciò che’ (persistenza del latino); il, ‘egli’; mi, dal lat.
mihi, ‘a me’; altresi, dal lat. alter sic, ‘altrettanto’; fazet, dal lat. faciat, ‘che egli faccia’, la C velare
(/k/) diventa palatale, passando a Z.
« ab Ludher nul plaid nunquam prindrai » : ‘con Lotario nessun patto mai prenderò’.
« ab » : dal lat. apud, ‘presso’. Ma ab ha qui lo stesso significato di cum : « ab Ludher », ‘con
Lotario’. Naturalmente la pronuncia della B sarà un po’ sorda, cioè simile alla P, perché le
consonanti finali sonore si pronunciano sorde. Il francese moderno avec viene da apud + haec, e
testimonia che la sonorizzazione della B non si è fermata alla P, ma è arrivata fino alla consonante
V.
« Ludher » : ‘Lotario’. La T è sonorizzata in D e poi, come la grafia con H, è semispirante.
« nul » : ‘nessuno’.
« plaid » : dal lat. placitum, ‘patto’, ma anche ‘sentenza’, ‘processo’. La I postonica cade e C + T,
ora a contatto, danno un esito ID.
« nunquam » : ‘mai’.
« prindrai » : dal lat. prehendere + habeo. Prehendere (cade HE) > préndere (cade E postonica) >
prendr + ai.
« qui, meon vol » : ‘che, per mio volere’, ‘secondo la mia volontà’.
« cist meon fradre Karle in damno sit » : ‘di questo mio fratello Carlo sia in danno’.
« in damno sit » : ‘sia a danno’, espressione latina (che testimonia la persistenza del latino) ripresa
da altri giuramenti presi a modello per queste formule.
Il giuramento in francone dell’esercito di Carlo il Calvo
« Si Lodhuuigs sagrament que son fradre Karlo jurat conservat et Karlus, meos sendra, de suo
part lo fraint, si io returnar non l’int pois, ne io ne neuls cui eo returnar int pois, in nulla ajudha
contra Lodhuuuig nun li iv er ».
[Traduzione: «Se Ludovico il giuramento che a suo fratello Carlo ha giurato mantiene e Carlo, mio
signore, da parte sua lo infrange, se io volgerlo da ciò non posso, né io né alcuno che io possa
volgere a questo, di nessun aiuto contro Ludovico non gli sarò»].
« Si Lodhuuigs » : c’è la s finale perché è nominativo.
« sagrament » : dal lat. sacramentum. Manca l’articolo, perché vi è una persistenza del latino, in
quanto il testo è legato al modello latino.
« que son fradre Karlo » : ‘che (a) suo fratello Carlo’. Manca una A.
« jurat » : dal contesto capiamo che è un perfetto, ‘ha giurato’, quindi si pronuncia /iuràt/, non
/iùrat/.
« Karlus » : nominativo.
« meos sendra » : sendra è una forma particolare che viene da senior (nom.), seniorem (acc.), che
è il comparativo dell’aggettivo senes, ‘vecchio’, e voleva quindi dire ‘più vecchio’. Sénior, con la
caduta del gruppo voca