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ANALISI
Il poeta passeggia tra i campi avvolti dalla nebbia in una giornata d’autunno e dal canale
sente provenire il canto triste e malinconico delle lavandaie.
In un primo momento quindi il componimento sembra trattare di una grigia giornata delle
lavandaie, che attendono il ritorno dell’uomo amato, ma analizzandolo più a fondo si
capisce che il tema centrale sia l’incompletezza, l’infelicità dell’essere soli e l’impossibilità
di rimanere tali (tutti hanno bisogno di una persona vicina).
Lo scenario è la campagna autunnale con i suoi tristi colori e con gli echi della fatica
umana: su tale scenario il poeta proietta il suo stato d'animo, smarrito e malinconico.
Inizialmente sembra un quadretto impressionista, ma pian piano i dati oggettivi assumono
una connotazione soggettiva (=gli particolari):
oggetti quotidiani si caricano di significati
Il campo arato in parte: idea di incompletezza
Aratro dimenticato: abbandono, espresso anche dal canto delle lavandaie
Aria autunnale: stagione malinconica
Le prime due strofe rappresentano oggettivamente la realtà, mentre l’ultima è
caratterizzata dall’analisi dei sentimenti e da un’espressione soggettiva.
Nell’ultima strofa allude a una storia d’amore infelice con una lavandaia. Ripropone quasi
alla lettera i testi di 2 canti popolari marchigiani.
Pascoli predilige la tradizione popolare, introducendo termini specifici.
La sintassi è semplice e lineare. Nei VV. 5-6 utilizza effetti onomatopeici (sciabordare).
I TEMI FONDAMENTALI sono abbandono e solitudine. È una poesia simbolista con cui allude
a un’altra realtà.
Nel campo per metà non lavorato e per metà arato
si trova un aratro senza buoi, che sembra
abbandonato, in una nebbia leggera.
E dal vicino canale si avvertono
gli echi del lavoro delle lavandaie
con il rumore dei panni battuti e le lunghe cantilene:
il vento soffia forte e le foglie cadono dai rami come se nevicasse,
e tu non ritorni ancora nel tuo paese!
Come sono rimasta male quando sei partito!
Come l'aratro abbandonato nel campo rimasto incolto.
X AGOSTO - Myricae
Questa poesia è una delle più famose di Pascoli. La compone nel 1896 ma descrive un
evento capitato nel 1867,esattamente il 10 agosto, ossia la morte del padre Ruggero.
Pascoli sviluppa questo componimento attraverso un parallelismo tra un uomo (che non
dichiara esplicitamente come suo padre), il quale torna a casa da una fiera con 2 bambole
da regalare alle sue bambine, e una rondine che sta tornando al nido dai suoi piccoli per
portar loro del cibo. Entrambi vengono uccisi: l'uomo viene freddato con un colpo di
pistola, la rondine invece rimane vittima tra le spine.
La rondine e l’uomo insieme alla loro morte diventano simboli del dolore universale e
dell’ingiustizia che regola la vita sulla terra.
Nella parte conclusiva il poeta insiste sull’indifferenza del cielo, il quale mostra un timido
compianto col pianto di stelle e rappresenta quanto il bene e la giustizia siano lontani dagli
uomini.
La morte della rondine e dell’uomo rappresenta il sacrificio dell’innocenza. Nel
componimento la passione (intesa come dolore e morte) non comporta alcuna redenzione.
La distanza tra il cielo e l’uomo diventa sempre più grande.
METRICA: 6 quartine di decasillabi e novenari alternati
San Lorenzo, io lo so perché un così gran numero
di stelle nell’aria serena
s’incendia e cade, perché un così gran pianto
risplende nel cielo.
Una rondine ritornava al suo nido:
l’uccisero: cadde tra rovi spinosi:
ella aveva un insetto nel becco:
la cena per i suoi rondinini.
Ora è là, morta, come se fosse in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano e distaccato;
e i suoi rondinini sono nell’ombra, che attendono,
e pigolano sempre più piano.
Anche un uomo tornava alla sua casa:
lo uccisero: disse: Perdono;
e nei suoi occhi sbarrati restò un’espressione disperata.
Portava con sé due bambole per le figlie...
Ora là, nella solitaria casa,
lo aspettano, aspettano inutilmente:
egli, immobile, stupefatto mostra
le bambole che aveva con sé al cielo lontano.
E tu cielo, dall’alto dei mondi
sereni, che sei infinito, immortale
inondi con un pianto di stelle
questo frammento/atomo opaco del male!
L'ASSIUOLO – Myricae - p. 446
Pubblicato per la prima volta nel 1897, questo componimento fu poi inserito nella 4a
edizione di Myricae. E' il capolavoro dell'impressionismo simbolico e descrive il canto
notturno dell'assiolo *(uccello notturno, rapace) – visto come una sorta di guida grazie alla
quale l'uomo può risalire al significato misterioso della realtà e della vita.
Pascoli inizia descrivendo un paesaggio notturno dove all’inizio prevale il sentimento
dell’estasi, difatti dice che la notte è meravigliosa, il cielo è chiaro come l’alba e perfino gli
alberi sembrano sporgersi per vedere meglio la luna che è nascosta tra le nubi. Il
paesaggio descrittivo è reso ancora più incantevole dalla melodia del mare e dai fruscii dei
cespugli che sembrano quasi rasserenare l’anima.
Tutto quest’ambiente è però disturbato non dai lampi, dalle nubi e dalla nebbia, ma
solamente da una voce triste che si leva nei campi (chiù). Una voce che all’apparenza
sembra di passaggio, ma che in realtà diventa sempre più angoscioso, fino ad arrivare ad
un pianto di morte.
Questo suono, per Pascoli, è come un sussulto, una scossa al cuore che gli fa emergere
ricordi tristi e pensieri tormentati. Pare quasi la voce stessa del suo cuore angosciato.
Con tutto il suo componimento poetico, Pascoli vuole esprimere l’incombere dei ricordi e
della morte, che impedisce al poeta di godere pienamente la magia di una notte di luna
perché è avvolto dal mistero e dall’angoscia della morte. Parla infatti delle porte della
morte che non si aprono più e allude al fatto che all'uomo è preclusa la possibilità di vivere
oltre la morte.
PDV metrico: 3 strofe, 7 novenari che si concludono con l'onomatopea CHIU', il quale
assume un valore simbolico, misterioso, allusivo. Ci sono moltissime espressioni, simboli
molto difficili da parafrasare.
Il verso dell'assiolo assume un significato diverso in tutte e 3 le strofe. Nella 1a è uno
suono che proviene dai campi, nella 2a è un singhiozzo lontano mentre nella 3a diventa un
canto luttuoso (climax).
Dov'era la luna? ché il cielo Mi domando dove fosse la luna,
notava in un'alba di perla, visto che il cielo aveva un colore chiaro e il
ed ergersi il mandorlo e il melo mandorlo e il melo sembravano
parevano a meglio vederla. tendersi per vederla meglio.
Venivano soffi di lampi Da nuvole nere in lontananza
da un nero di nubi laggiù; venivano dei lampi mentre
veniva una voce dai campi: una voce nei campi ripeteva:
chiù... chiù...*(verso dell'assiolo)
Le stelle lucevano rare Solo poche stelle risplendevano qua e la
tra mezzo alla nebbia di latte: nella nebbia bianca, lattiginosa
sentivo il cullare del mare, Sentivo il rumore delle onde del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte; sentivo un fruscio tra i cespugli,
sentivo nel cuore un sussulto, sentivo un'agitazione nel cuore al ricordo
com'eco d'un grido che fu. che era un eco di un grido del passato.
Sonava lontano il singulto: Si sentiva il lontananza quel singhiozzo:
chiù... chiù.
Su tutte le lucide vette Sulle vette dei monti illuminate dalla luna,
tremava un sospiro di vento: soffia un vento leggero:
squassavano le cavallette mentre frinivano le cavallette
finissimi sistri d'argento il suono sottile dei sistri funebri
(tintinni a invisibili porte (quasi campanello a invisibili porte *(della
che forse non s'aprono più?...); morte) che forse non si aprono più?)
e c'era quel pianto di morte... ma non rimane nient'altro che un pianto
chiù... luttuoso
chiù...
TEMPORALE – Myricae - P. 451
La descrizione di fenomeni naturali ribadisce il simbolismo del poeta.
L'immediatezza è solo apparente perchè la descrizione viene …...............................
soggettive
Dal pdv metrico questo componimento è una BALLATA minima di settenari. È un
componimento costruito attraverso delle immagini che non vengono disposte né sotto una
particolare gerarchia né sotto un particolare significato (composizione frammentaria).
Un verbo, “rosseggia” è presente in tutti i componimenti e tutte le proposizioni sembrano
sospese.
Il componimento è caratterizzato da analogie e l'immagine della campagna che ne emerge
è un'immagine metaforica.
Un bubbolio lontano... Il brontolio di un tuono lontano, indistinto…
Rosseggia l'orizzonte, L’orizzonte splende per il rosso,
come affocato, a mare; come se fosse infoccato , verso il mare;
nero di pece, a monte, sui monti il cielo è nero come la pece,
stracci di nubi chiare: ma in mezzo vi sono anche nubi bianchi: tra
tra il nero un casolare: le nuvole nere c’è un casolare:
un'ala di gabbiano. bianco come un’ala di gabbiano.
In questa poesia Giovanni Pascoli descrive un paesaggio dove in lontananza si ode il
rumore di un tuono, “un bubbolio lontano”; in corrispondenza dell’orizzonte il quadro
astratto del lettore si colora del rosso di un tramonto dove scintillano i lampi del temporale
in arrivo e pian piano questo orizzonte si dissolve come se affogasse nel mare. Spostando
lo sguardo verso un monte si può notare che il cielo si sta ricoprendo di nuvoloni neri
carichi di pioggia, ma questo nero è rischiarato da lievi e candide nuvole bianche e da un
altro elemento: infatti l’occhio del poeta cade su un dettaglio, un casolare (unico elemento
che ci fa capire che in quel paesaggio c’è vita umana) che assomiglia a un’ala di gabbiano,
e Pascoli con un’analogia (cioè un accostamento fra due oggetti concettualmente distanti
tra loro, e il poeta li accosta ma senza dare al lettore i passaggi intermedi/logici) fa intuire
il colore del casolare, bianco.
I colori dominanti in questa poesia sono quindi il rosso (caldo, fuoco, situazione caotica,
poca serenità), il nero (tristezza, amarezza, paura, morte) e il bianco (speranza, purezza,
vita, libertà; infatti il casolare bianco viene affiancato alla figura di un gabbiano, non un
uccello qualsiasi).
Il casolare rappresenta proprio l’unico appiglio del poeta in questa sua triste esistenza e
allude quindi al nido (infatti c&r