Riassunto esame Geografia Storica, prof. Spagnoli, libro consigliato Dallo Sviluppo della Geografia Storica a Guaini di Braudel, Gambi
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GEOGRAFIA STORICA:
L’uomo ha sempre dovuto fare i conti con l’ambiente che lo circonda e con i fenomeni
naturali. La geografia ufficiale in Italia si è formata poco dopo l’unificazione nazionale
durante il periodo del cosiddetto positivismo che sarà sostituito nel ‘900 dal neo-
idealismo.
Positivismo e neoidealismo hanno una diversa concezione della natura: per il primo essa
è realmente conoscibile, ma per il secondo dipende da come reagiscono gli organismi,
cioè creature e forze della natura. La visione neoidealista nasce come esperienza storica
dell’uomo e afferma che la natura è forgiata dal nostro spirito per i suoi fini pratici. Si ha
quindi una bipolarità della geografia: la trattazione di fenomeni e oggetti della natura in
sé per sé, e la relazione dell’uomo con questi fenomeni e oggetti stessi.
La Geografia Storica serve per saper interpretare la realtà che ci circonda ed è una
disciplina scientifica. In Italia la Geografia storica ha avuto un percorso complicato a
causa del comportamento geografico rimasto indietro rispetto agli altri paesi.
I CASI INGLESE E FRANCESE. L'Inghilterra e la Francia sono i paradigmi di due
diversi e fondamentali percorsi della disciplina. In Inghilterra, e in parte anche in Polonia,
Scandinavia e Germania, la sperimentazione delle metodologie e della ricerca geostorica
si attuò prima che in altri paesi e un certo tipo di riflessione, che altrove (per esempio in
Italia) è ancora in atto, presso gli studiosi anglosassoni ha già fatto il suo corso. In una
fase iniziale dell'evoluzione della disciplina, che, con riferimento all'Inghilterra, si può
definire geografia storica tradizionale, si ebbero studi rivolti a ricostruire situazioni
territoriali del passato (geografia del passato). Sembrò così che la geografia storica si
ponesse al servizio della geografia, dal momento che in questo contesto spesso si è
sottintesa una distinzione tra storia (scienza del passato) e geografia (scienza del
presente). Il principale, ma non unico, studio di questo periodo fu l'analisi del Domesday
Book, realizzata tra gli anni Cinquanta e Sessanta: l'uso di questa sorta di catasto dell'XI
secolo, utilizzata da H.C. Darby e da altri geografi storici per una minuziosa
ricostruzione, aprì la via alla riflessione sull'interpretazione delle fonti documentarie per
la ricostruzione geostorica. In una seconda fase si affrontò il problema del mutamento
geografico: si trattava non tanto di ricostruire nella loro staticità sezioni orizzontali
sincroniche del territorio, quanto piuttosto di mettere in evidenza la sua continua
evoluzione individuando sezioni verticali diacroniche e mettendo in evidenza anche il
fatto che nel territorio ogni elemento ha una temporalità propria, con ritmi di
trasformazione asincroni. A questo punto la geografia storica anglosassone poteva dirsi
pronta a passare da una visione della storia ancora fondata sull'erudizione a una
riflessione approfondita sulle fonti da utilizzare per il proprio lavoro. Emerse la questione
dell'uso del materiale archivistico, sia documentario sia cartografico: la sua lettura non
poteva essere immediata o empirica ma richiedeva una critica approfondita e la capacità
di utilizzare sapientemente gli strumenti della ricerca storica; la geografia doveva
confrontarsi con la storia e il geografo stesso doveva farsi storico, senza temere che il
ricorso agli strumenti della moderna storiografia costituisse una rinuncia alla propria
specificità. Del resto il geografo storico si trovava nella condizione di dover affiancare
l'utilizzo delle fonti documentarie all'esame diretto del paesaggio: anche questo non era
casuale, ma si fondava necessariamente su tecniche corrette e rigorose, su un'analisi
capace di trasformare il paesaggio stesso in fonte storica, da leggersi parallelamente a
quelle scritte. Solo in questo modo documenti e strutture territoriali potevano interrogarsi
e spiegarsi a vicenda ( paesaggio). La geografia storica così strutturata cominciò a essere
particolarmente attenta al dialogo con altre discipline, rivelatosi di estrema importanza
per uno studio delle trasformazioni del territorio nel tempo. Vicine alla geografia storica
sono anche l'archeologia, l'etnologia e l'antropologia, i cui studi vengono condotti in gran
parte sul terreno. Il confronto con le tecniche archeologiche fu utile per la definizione dei
metodi dell'archeologia del paesaggio. Mentre in Inghilterra la riflessione proseguiva in
questa direzione, con studi di geografia storica agraria e urbana, e anche in Germania e
nei paesi scandinavi le analisi sull'origine e l'evoluzione delle strutture agrarie europee
venivano impostate su principi analoghi, diversa vicenda aveva la geografia storica in
Francia, dove da un lato lo storicismo aveva fortemente segnato la geografia fin dal suo
nascere ( geografia umana), dall'altro, seguendo l'impostazione della scuola geografica
tradizionale, aveva fatto propria una concezione della storia del territorio alla cui base
stavano i principi di durata, continuità, tradizione: per la geografia storica francese non
era quindi tanto importante individuare il mutamento delle strutture territoriali quanto
realizzare studi retrospettivi in cui, partendo dall'analisi della situazione data, si
cercavano gli antecedenti storici, con un'inversione dell'abituale percorso cronologico.
L’uomo organizza l’ambiente che lo circonda attraverso i servizi. Nel II° dopoguerra il
territorio doveva essere letto solo in chiave funzionale e vi è il cosiddetto PROCESSO
DI DETERRITORIALIZZAZIONE, cioè l’uomo non si è fatto più spettatore ma è
diventato attore senza riflettere. Questo portò la frattura fra CONSERVAZIONE e
SVILUPPO.
La geografia storica, per salvare questa frattura, è capace di osservare il paesaggio nel suo
complesso e nei suoi singoli elementi cercando di guardare alla sua dimensione storica,
ritrovando il suo scopo funzionale. Rivaluta i valori sociali e culturali, gli elementi di
persistenza di un determinato territorio.
Per la CONSERVAZIONE in Italia si è pensato alla MUSEIFICAZIONE FORZATA
con dei vincoli, chiudendo gli accessi e creando una TUTELA PASSIVA. Negli anni ’70
vi sarà una innovazione e la geografia storica ha capito che doveva rinnovarsi
abbracciando l’idea di essere una scienza prospettica prendendo scelte anche in ambito
pubblico. La disciplina si pone come obiettivo la CONOSCENZA, DIALOGARE con
le altre discipline come l’architettura e l’urbanistica, e la CAPACITA’ della
STORICIZZAZIONE.
Questo ruolo della geografia storica di produrre conoscenza l’ha compreso a partire dagli
anni ’70, anni che danno uno svecchiamento alla cultura, svecchiamento che comincia nel
mondo anglosassone, in particolare in Gran Bretagna. Verso la fine dell’800 e gli inizi del
‘900 inizia il discorso storico della geografia ed inizia con un approccio tradizionale, e si
tenta di ricostruire i territori del passato per cercare un diverso tipo di andamento. Si
svecchia la geografia nel momento in cui viene ritrovato il libro DOMSAY BOOK, del
1086-1087, una specie di catasto che descrive le terre in beneficio e le prestazioni
dovute a Guglielmo il Conquistatore.
La Geografia storica inglese comincia a riflettere, grazie alla scuola di Darby, sull’idea
che la geografia storica non deve solo ricostruire il territorio, ma sezioni verticali dello
stesso.
Con il MUTAMENTO GEOGRAFICO il geografo comincia a capire che non deve
limitarsi a ricostruire sezioni di quel determinato momento storico, mutamento che
avviene attraverso SEZIONI VERTICALI, dette diacroniche. C’è l’uso delle fonti degli
storici, che sono luoghi che gli storici hanno visitato e studiato. Si comincia a riflettere
sulla diversificazione delle fonti. La geografia inglese comincia lo svecchiamento negli
anni ’50 instaurando un dialogo con le altre discipline.
Nel contesto francese lo storicismo aveva sempre segnato la geografia umana e aveva
messo in campo una serie di principi, come DURATA, CONTINUITA’ E
TRADIZIONE, e per questo motivo la geografia francese si è ancorata ad un discorso
RETROSPETTIVO, guardando al presente per cercare nel passato.
In Italia la geografia è sofferente e solo quando si scopre il messaggio della geografia
francese comincia il suo svecchiamento. Con Alan Becrer, geografo inglese, diviene una
scienza prospettica e su questo si riflette nel 1975 in un congresso tenutosi a Varsavia.
Già da qui si accendono i primi dibattiti che portano la geografia storica a riflettere sui
modelli, quindi sugli strumenti, e cercano di fondere passato e presente.
MASSIMO GUAINI è il primo in Italia che comincia a porsi il problema del mutamento
della geografia e riflette sulla fusione tra passato e presente e capisce che il problema sta
nell’incapacità della geografia e della storia di fondersi. Con il Congresso di Mosca inizia
l’analisi delle strutture spazio-temporali e si ha una specie di sondaggio per capire la
volontà dei geografi, che si chiedevano se restare ancorati alla geografia così com’era o
se portare una ventata di novità. Vi è la volontà di lavorare su una geografia storica
(Dinamic Hystorical Geography).
Per capire come la geografia storica si è affermata dobbiamo partire dalla Geografia
umana che studia l’uomo in relazione al territorio e si afferma a partire dalla II° metà del
‘900. Prima la geografia non era una scienza. Il termine significa “studiare la terra,
descriverla”, ma non era una disciplina, ma un sapere e si occupava di descrivere dove
fossero disegnati i luoghi. Occorreva inserire i luoghi che si conoscono attraverso le
CARTOGRAFIE.
TAVOLE E SCUOLE:
Eratostene ha dato inizio al calcolo del meridiano che poteva servire per capire la
circonferenza del mondo ed è importante per l’affermazione della geografia e per la
composizione di un testo all’interno del quale c’è una carta del mondo. Da Eratostene si
apre questo filone, dal IV al I secolo a.C., della geografia antica. Il mondo romano
recepisce gli elementi che provengono dal mondo greco e li traduce in modo pragmatico
con una descrizione dei luoghi attraverso gli ITINERARI.
Importante è la TABULA PEUTINGERIANA, una copia del XII-XIII secolo di
un'antica carta romana che mostrava le vie militari dell'Impero. La Tavola è composta da
11 pergamene riunite in una striscia di 680 x 33 centimetri. Mostra 200.000 km di strade,
ma anche la posizione di città, mari, fiumi, foreste, catene montuose. Non è una
proiezione cartografica, quindi il formato non permette una rappresentazione realistica
dei paesaggi né delle distanze, ma non era questa l'intenzione di chi l'aveva concepita. La
carta va piuttosto considerata come una rappresentazione topologica, una sorta di
diagramma come quello di una metropolitana, che permetteva di muoversi facilmente da
un punto ad un altro e di conoscere le distanze fra le tappe, ma non voleva offrire una
rappresentazione fedele della realtà. La Tabula è probabilmente basata sulla carta del
mondo preparata da Agrippa e si pensa che la sua redazione fosse finalizzata ad illustrare
il cursus publicus (cioè la rete viaria pubblica sulla quale si svolgeva il traffico
dell'impero, dotata di stazioni di posta e servizi a distanze regolari, che era stata appunto
riordinata da Augusto). Dopo la morte dell'imperatore, la carta fu incisa nel marmo e
posta sotto la Porticus Vipsaniæ, non lontano dall'Ara Pacis, lungo la Via Flaminia. La
Tabula mostra tutto l'Impero romano, il Vicino Oriente e l'India e vi sono indicate circa
555 città e altre 3.500 particolarità geografiche, come i fari e i santuari importanti, spesso
illustrati da una piccola figura. Le città sono rappresentate da due case, le città sede
dell'Impero - Roma, Costantinopoli, Antiochia - sono segnalate da un medaglione. Vi
sono inoltre indicate le distanze, sia pure con minore o maggior precisione.
Si tratta di una cartografia descrittiva visto che ai romani interessano i luoghi, i viaggi e
le distanze. E’ una carta schiacciata dove i rapporti tra latitudine e longitudine sono
alterati. Nel mondo medievale la cultura geografica subisce un mutamento e questa viene
intesa come un libro, come la Bibbia e la realtà. L’universo è concepito come un dono di
Dio, e si ha quindi una concezione teologica.
L’uomo viene annullato dal lato storico e valorizzato da quello religioso. Viene creato il
MAPPAMONDO, cioè la carta del mondo, il cui intento non è quello della diffusione
della conoscenza totale e il prototipo, definito "Globo terrestre di Norimberga", venne
costruito tra il 1490 ed il 1492 dallo studioso tedesco Behaim. Contemporaneamente in
questa cultura teologica si affianca un altro modo di fare cartografia attraverso il LIBRO
DI VIAGGIO, che porterà alla nascita della CARTOGRAFIA NAUTICA, che è
l'insieme di conoscenze scientifiche, tecniche e artistiche finalizzate alla rappresentazione
simbolica ma veritiera di informazioni geografiche legate alla navigazione e che diventa
l’espressione del geografo in movimento. La loro cartografia è frutto solo di quello visto
dal mare con una serie di avvertenze come scogli, bassifondi e così via.
Inizia l’EPOPEA DEI VIAGGI, intorno al XII-XIII secolo, ovvero l’età del
mercantilismo. La geografia inizia ad essere costituita di rappresentazioni cartografiche
con dei libri di viaggio di tipo più pragmatico come quelli di Rubruk o dei fratelli Vivaldi,
con itinerari descrittivi e realistici. Rubruk è stato un religioso e missionario fiammingo,
appartenente all'Ordine dei Frati Minori, nonché esploratore. Il suo resoconto del viaggio
in Asia è uno dei capolavori della letteratura geografica medioevale. Importante sarà poi
MARCO POLO, il cui viaggio in Asia sulla Via della Seta e il suo scritto Il Milione
ispireranno Cristoforo Colombo e la stesura di numerose carte.
Nel Medioevo si trova, quindi, sia la conoscenza classica che quella reale.
Nell’età moderna cominciano delle riflessioni sulla geografia e si diffonde la voglia di
capire le informazioni che arrivano da tutte le parti, con, ad esempio, VARENIUS, che
nel 1600 cerca di razionalizzare le informazioni e scrive un’opera composta da due parti
con spiegazioni matematiche poiché secondo Varenius la geografia è universale sulla base
della matematica. Nel 1650 il geografo tedesco pubblicò la sua opera più importante,
Geographia Generalis, trattato sistematico sulle conoscenze geografiche fino ad allora
acquisite.
Geographia Generalis si divide in tre sezioni: geografia assoluta che studia le dimensioni
della Terra e i suoi movimenti, geografia relativa in cui si discute dell'influenza degli altri
corpi celesti sulla terra, delle stagioni e dei cambiamenti climatici, e geografia comparata,
che parla invece delle regioni allora conosciute della terra, delle distanze, della
navigazione.
Con il secolo dei Lumi avvengono grandi cambiamenti e il bagaglio di informazioni
comincia ad esser considerato anche perché è il secolo in cui gli stati assoluti capiscono
che conoscendo i nuovi territori questi potevano esser colonizzati ed era importante la
conoscenza di un territorio anche per sapere quali fossero le risorse che questo poteva
offrire. Da questo derivano delle ANALISI che vanno a guardare alle risorse per ragioni
economiche e con Napoleone, con significato quantitativo si avranno le cosiddette
INCHIESTE STATISTICHE.
Comincia la riflessione su ciò che avviene sul territorio, visto come concretizzazione del
sociale, e indagini sul rapporto tra uomo e natura, soprattutto grazie agli IDEALOGUES
come MONTESQUIEU secondo cui l’uomo deve assecondare i fenomeni della natura e
BUFFON che focalizza l’attenzione sulla costruzione storica della natura affermando che
le regioni recao diversa impronta poiché diversa è la cultura dell’uomo che ci vive e
ognuno ha diverso volto poiché vi è la diversità culturale.
Il ‘700 cerca, quindi, di razionalizzare informazioni, ma vi è una chiusura
AMBIENTALISTA grazie anche all’opera di RATZLE, la cui idea è quella in cui il
rapporto tra uomo e natura ci sia una corrente unidirezionale.
In Francia, fra la fine dell’800 e la II° guerra mondiale, ci si accorge dell’importanza
della geografia. Paul Vidal de la Blache sarà colui che capirà l’importanza della geografia
storica. Vidal è uno storico di formazione che si avvicina alla geografia poiché attratto dai
paesaggi. Comincia il suo percorso facendo approdare la geografia nelle università. Il suo
punto di riferimento sarà la SCUOLA TEDESCA attenendosi alla geologia, alla botanica
e alla geomorfologia. La sua intenzione, però, è quella di fare geografia attraverso
osservazioni dirette, cioè escursioni. La geografia di Vidal è pragmatica ed egli pone
l’attenzione più sulla prassi che sulla teoria. Parole chiave di Vidal saranno:
DESCRIVERE, DEFINIRE E SPIEGARE. Vidal dà vita a monografie regionali
nell’ambito delle quali si descrivono i paesaggi da lui stesso osservati. Precursore della
scuola tedesca egli afferma che il paesaggio deve diventare un oggetto di studio e
attenzione scientifica. I geografi francesi avranno un’attenzione particolare per il
paesaggio, immedesimandosi con esso, e dando vita alla geografia storica.
La geografia umana, a differenza di quella storica, abbandonerà il paesaggio. Da un certo
punto di vista, ponendo l’uomo al centro, Vidal fa geografia umana. Vidal non vuole fare
una vera e propria scuola, ma guarda in modo empirico, attraverso l’osservazione e si ha,
allora, un diverso rapporto tra l’uomo e la natura, dove si influenzano in modo reciproco.
"Porre al centro l'uomo" significa partire dalle condizioni esistenziali dell'essere umano,
analizzando in quale modo egli interpreta, vive e percepisce il territorio, quali valori gli
attribuisce e come proietta se stesso nello spazio esterno.
Si indica, quindi, con il termine GENERE DI VITA ciò che l’uomo, attraverso le proprie
peculiarità, mette sul territorio per plasmarlo secondo le sue necessità e possibilità.
Secondo Vidal “Tutte le civiltà possono scegliere poiché hanno delle possibilità”.
Fu inizialmente in Inghilterra e Germania che la geografia fu considerata come “scienza
del paesaggio”, vista come un insieme di organismi legati gli uni agli altri. Si allineava,
così, la geografia con il progredire della cultura. Essa non studia solo la natura, ma anche
l’uomo e i suoi rapporti con essa. In Italia la geografia che studia l’uomo ha continuato a
vedere le cose con mentalità positivista e ignorato che quando si tratta di problemi umani
si deve avere un approccio, un linguaggio differente e un diverso piano mentale che è
quello che negli ultimi anni ’50 ha sostenuto lo storicismo. Ci si occupa della creazione di
carte che riguardano la distribuzione delle popolazioni che non potevano essere
considerati organismi a sé, ma uniti da fitte relazioni. Tutto dipende, comunque, dalla
struttura della loro cultura, cultura che crea un genere di vita particolare in ogni paese.
Esempi sono i popoli nomadi come i Tuareg tropicali. L’agricoltura fu un elemento
importante in quanto legò l’uomo al territorio e nei paesi agricoli con molta popolazione
si possono avere problemi legati al sovrapopolamento, oggetto di studio per gli geografi
per il rapporto uomo-Terra.
Il positivismo ha portato nella geografia l’abitudine di giudicare gli eventi dell’umanità e
le opere dell’uomo alla stregua delle manifestazioni naturali. Il sovrapopolamento,
secondo uno scrittore delle Annales, Demangeon, dipendeva dalle strutture culturali di
ogni comunità ed era quindi legabile al Genere di vita.
In Francia, finita la I° guerra mondiale, si assiste a una RIVOLUZIONE
STORIOGRAFICA con la nascita della SCUOLA DELLE ANNALES, fondata da
Marc Bloch e Lucién Febvre.
Le linee guida principali di questo sistema storiografico sono il sostituire ad una storia
tradizionale una storia analitica orientata ai problemi delle società umane, l’idea di
sostituire ad una storia politica la storia dell’intera estensione delle attività umane e
ragionare in termini storici avendo un approccio interdisciplinare dialogando con altre
discipline, soprattutto la geografia.
Chi arriva a questa riflessione sono due storici: MARC BLOCH, con tratti di pensiero
geografico. Studiò a lungo le campagne e i rapporti di produzione (economici e quindi
anche sociali) che le caratterizzavano. Importante è l’opera degli anni ’20 “I re
traumaturchi”, opera che parla di una usanza che si era diffusa in Francia nel Medioevo,
quella di considerare il tocco dei re come divino in grado di curare una malattia della
pelle. Egli sceglie questo tema perché lo considera la via maestra per conoscere le società
di un certo periodo. Bloch cerca di affrontare la questione del potere politico assoluto. A
differenza dei suoi contemporanei capisce che è importante porsi questo problema per
conoscere meglio le società medievali. Bloch dimostra, però, che le credenze e il mito
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher violet881 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Geografia storica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Tor Vergata - Uniroma2 o del prof Spagnoli Luisa.
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