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In base alla “Convenzione Europea del Paesaggio” (2000), per paesaggio si intende “una
determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva
dall’azione di fattori naturali e umani e dalle loro interrelazioni”.
7. La sistemazione concettuale della geografia “classica”
All’inizio del XX secolo, la riflessione metodologica sulla natura e sull’oggetto della geografia è
stata dominata da Alfred Hettner (1859-1941), che si basa sulle categorie kantiane di scienze
nomotetiche ed idiografiche, e alle ricerche di Passarge, considerando il paesaggio come un
concetto regionale che unisce in sé la geografia fisica e quella umana.
In “La geografia, la sua storia, la sua essenza, i suoi metodi” (1927), afferma che sin dai tempi più
antichi, lo scopo principale della geografia è stato la conoscenza degli spazi terrestri nella loro
differenziazione; col generale progresso della scienza, la pura descrizione è stata sostituita dalla
ricerca delle cause, ma la geografia è rimasta la scienza della superficie terrestre e delle sue
differenziazioni regionali.
Questo concetto verrà riformulato da Andrè Cholley (1951) secondo cui l’oggetto della geografia è
la conoscenza della Terra nel suo carattere complessivo, secondo combinazioni di singole categorie
di fenomeni fisici, biologici o umani. Essa considera la realtà dunque nella sua complessità.
Preston James, nell’introduzione ad “American Geography” (1954), afferma che la geografia si
occupa di associazioni di fenomeni che danno un certo carattere a particolari luoghi.
Il geografo americano Richard Hartshorne (1899-1992) ha il merito di avere dato una sistemazione
epistemologica alla geografia classica. Riprendendo Cholley, afferma che oggetto della geografia
non sono singole categorie di fenomeni, ma associazioni di fenomeni che danno un certo carattere a
particolari luoghi.
Dunque la geografia si occupa di fenomeni molto eterogenei, anzi di illimitata varietà, e questa
eterogeneità va accettata come caratteristica essenziale della geografia: infatti la superficie terrestre
è il risultato di una integrazione di numerosissimi elementi che si combinano tra loro.
La geografia si caratterizza dunque per analizzare i fenomeni da un determinato punto di vista. che
è quello spaziale, avvicinandosi in tal senso alla storia, che privilegia il punto di vista temporale.
Secondo Hartshorne (“Perspective on the Nature of Geography”, 1959), la geografia è quindi la
scienza della differenziazione spaziale: essa non ha un ambito proprio, ma solo un metodo
originale, cioè il punto di vista spaziale.
Claval (1972) osserva che il geografo non deve perdersi in inutili discussioni sulla delimitazione
dell’ambito di ricerca. Non vi sono elementi specificatamente geografici, ma c’è un solo “modo
geografico” di affrontarli.
Il ruolo del geografo è dunque quello di collegare e considerare dal punto di vista spaziale problemi
che altri trattano isolatamente.
La concezione di Hartshorne (la geografia non studia oggetti in sé ma li colloca in una certa
prospettiva) finisce per recuperare formule care alla geografia tradizionalista, come quella per cui la
geografia è una scienza di sintesi, e privilegia l’analisi di casi specifici, di singole regioni, evitando
con cura di formulare delle generalizzazioni.
Hartshorne sostiene inoltre che la geografia è una scienza idiografica (cioè che descrive l’unico)
piuttosto che nomotetica (Cioè che tende ad individuare leggi generali).
8. La “rivoluzione quantitativa” e la “nuova geografia”
La geografia tradizionale con approccio regionale rimane in auge fino agli anni ’50. Dopo maturano
ricerche per una “rivoluzione concettuale” nell’ambito della disciplina.
Lo studio dell’”unico” lasciava ancorati alla realtà dell’esistente o alla riflessione sul passato, e
testimoniava l’incapacità della geografia tradizionale a fornire gli strumenti per pianificare e
trasformare il territorio.
Dunque, si deve abbandonare l’esame dei casi particolari e cercare di individuare delle regolarità
nelle configurazioni spaziali, per la qual cosa sono particolarmente indicate ricerche di geografia
urbana ed economica.
A questo scopo si sono sviluppati modelli normativi, di tipo deduttivo, ed empirico-analitici
induttivi: entrambi organizzano al geografia in schemi concettuali generali che contribuiscono a
formare una teoria scientifica.
La nuova geografia, dunque, adotta i metodi delle scienze della natura e cerca di formulare i
modelli di interrelazioni dello spazio terrestre in grado di spiegare la realtà.
Si colloca così nel filone di pensiero neopositivistico e si limita a individuare relazioni di tipo
probabilistico.
Tra gli esempi di modelli deduttivi c’è quello sull’uso del suolo urbano di geografi economisti di
Chicago, quello delle località centrali di W. Christaller e la teoria dei giochi, mentre fra quelli
induttivi c’è la legge di Reilly sulla gravitazione del commercio al dettaglio, la matrice delle
correlazioni, le distribuzioni standardizzate, l’analisi delle componenti principali e i modelli di
diffusione.
Nel modello sull’uso del suolo urbano, Robert Park, Ernest Burgess e Roderick McKenzie (The
City, 1925) si ispirano al modello di Von Thunen sull’uso del suolo agricolo del 1875 in cui si
dimostra che la differenziazione del paesaggio agrario può essere prodotta non da influenze
naturali, ma dal comportamento razionale dei produttori in un’economia di mercato.
Le città nordamericane industriali degli anni ’20 sono caratterizzate da una configurazione
concentrica delle attività e dei gruppi sociali.
Nel modello delle località centrali di Christaller (1893-1969, “Le località centrali della Germania
meridionale”) si dimostra che la distribuzione delle città sul territorio non è casuale, ma esiste un
rapporto costante fra le città di un dato ordine gerarchico e quelle di grado via via inferiore, e che
l’area di attrazione delle località centrali assume una forma esagonale.
Peter Gould (Man against His Environment, 1963) utilizza infine la teoria dei giochi, che permette
di confrontare in una matrice diverse strategie (per es: individuare le coltivazioni più adatte alla
fascia centrale del Ghana).
La ricerca sui processi di diffusione è coltivata da Torsten Hagerstrand (1916-2004), il quale
afferma che la probabilità che due persone entrino in contatto tra loro sia inversamente
proporzionale alla distanza che le separa; le probabilità di contatto dipendono anche dal numero di
persone che possono essere incontrate, e dalla presenza di barriere naturali.
Sulla frizione della distanza si basa anche il modello gravitazionale di Walter Reilly, che afferma
che la forza di attrazione esercitata da due città su un centro secondario situato ad una certa distanza
da esse è direttamente proporzionale alla loro “massa” e inversamente proporzionale al quadrato
della distanza.
Qualora si vogliano mettere a confronto due o più elementi in base a indicatori molto eterogenei, si
ricorre alla trasformazione delle distribuzioni grezze in distribuzioni standardizzate, cioè si
riducono tutti i valori alla stessa scala.
Applicando quindi il coefficiente di correlazione lineare di volta in volta a coppie di variabili, è
possibile o meno un legame causale tra le variazioni di due fenomeni e quindi una loro
interdipendenza (Precipitazioni/temperature andamento turismo).
Questa metodologia è stata applicata da Werner Batzing (2003) per individuare una tipologia dei
comuni alpini in base all’andamento della popolazione dal 1870 al 2000.
Tra i geografi di spicco nelle ricerche di geografia quantitativa e teoretica, ricordiamo William
Bunge che sviluppa ricerche sulle località centrali e sui trasporti, Walter Isard, che fonda a
Filadelfia una scuola di scienze regionali, campo di ricerca nell’ambito della geografia urbana ed
economica; e ancora Richard Chorley, William Garrison, iniziatore della “rivoluzione quantitativa”
in geografia, Peter Haggett e Brian Berry che con Garrison introduce nella teoria delle località
centrali la nozione di domanda lineare lungo i grandi assi stradali.
9. L’approccio sistemico
Alla nuova geografia si può ricondurre a buon diritto anche l’analisi dei sistemi, che deriva dal
quadro concettuale della teoria generale dei sistemi elaborata da Ludwig Von Bertalanffy (1901-
1972), e tenta di individuare una logica generale nell’andamento di determinati fatti.
Il sistema è un insieme di elementi collegati tra loro in modo da condizionarsi reciprocamente (una
variazione iniziale di x provoca una variazione di y che a sua volta fa variare z, cha a sua volta
agisce su x).
Ogni variabile è causa ed effetto di una variazione, poiché attraverso la catena di variazioni
retroagisce sulla variazione iniziale.
Applicazioni concrete della teoria dei sistemi sono state fatte nello studio della dinamica degli
ecosistemi e in una ricerca sui limiti dello sviluppo a cura di un gruppo di studiosi del
Massachussetts Institute of Tecnology (1972). Gli autori, prendendo in considerazione una serie di
variabili (aumento della popolazione, sviluppo industriale, inquinamento, etc.) sono pervenuti a
conclusioni precise sull’esaurimento delle risorse e sui limiti dello sviluppo che in realtà non si
sono poi avverate.
Tra i rarissimi esempi di geografi che hanno utilizzato l’analisi dei sistemi come modello per
analizzare matematicamente problemi relativi all’ambiente e a rapporti socioeconomici, ricordiamo
Robert Bennett e Richard Chorley (1978). In questa visione della realtà geografica in chiave
sistemica si è poi innestata la teoria della complessità applicata alla geografia umana (Turco, 1988)
che porta a considerare il territorio come un insieme di sistemi complessi, rivalutando impostazioni
soggettivistiche ma anche l’oggettività della rappresentazione territoriale.
10. Le geografie sociali e “radicali”
La geografia sociale si occupa dei riflessi geografici connessi ai modi in cui la società si organizza
sul territorio e alle sue condizioni di vita.
Per Pierre George la geografia sociale consiste nello studio della diversità dei rapporti
socioeconomici e di produzione in ogni ambiente geografico, tanto che in nessun momento è
possibile separare il “sociale” dall’”economico”.
La geografia sociale comporta una progressiva presa di distanza dai risvolti naturalistici e
paesaggistici della geografia, nonch&eacut