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Estratto del documento

La popolazione urbana delle Alpi nel 1990 era di 8,4 milioni di abitanti, pari al 62% dell’intera popolazione alpina, pur

estendendosi su una superficie che è poco più di ¼ del totale. I settori alpini maggiormente urbanizzati, a parte il Liechtenstein,

sono la Germania, la Slovenia e la Francia, mentre le Alpi italiane sono le uniche a mantenersi sotto la soglia del 50%.

La fase di massimo sviluppo si è avuta in genere negli anni ’60, mentre a partire dagli anni ’70 i tassi di incremento sono

progressivamente decrescenti; a livello di singoli paesi, tuttavia, si distingue fra il forte incremento registrato dalle città alpine

francesi e quello alquanto attenuato delle città italiane ed austriache.

Si distinguono infine 4 tipi di grandi aree urbane: Regione metropolitana di importanza europea (Metropolregion, UT1), in cui

la città centrale è una metropoli di almeno un milione di abitanti; Agglomerazione di importanza nazionale (Agglomeration,

UT2), la cui città centrale è capoluogo regionale con almeno 90000 abitanti; Regione urbana di importanza regionale

(Stadtregion, UT3), alla quale appartengono varie zone di urbanizzazione limitrofe prive di un centro dominante, con una

popolazione complessiva di almeno 100000 abitanti; Zona di urbanizzazione singola (Singolare Urbanisationszone, UT4),

caratterizzata dal fatto di non confinare direttamente con altre zone di urbanizzazione.

Un’area urbana vasta (quella di Grenoble), supera la soglia del mezzo milione di abitanti, quella di Salisburgo le si avvicina

alquanto ed altre tre superano quella dei 300000 (Annecy-Chambery; Klagenfurt-Villach e Vorarlberg-Rheintal).

Tra le aree urbane minori, una (quella di Kempten) supera i 100000 abitanti ed altre sei (fra cui Sion, Bassano del Grappa,

Biella e Schio) contano una popolazione superiore a quella delle regioni urbane di Kufstein e della Val d’Arve.

L’andamento demografico delle aree urbane alpine vede emergere gli agglomerati francesi, mentre la stagnazione dell’area di

Bolzano-Merano è dovuta alla flessione del capoluogo e alla stasi di Merano. I tassi crescenti di Kaufbeuren, invece, dipendono

dalla crescente influenza di Monaco.

Una rapida scorsa ai dati sull’occupazione non agricola dei comuni propriamente alpini e della porzione extra-alpina delle “zone

di urbanizzazione” che interessano in parte le Alpi, mostra un discreto incremento dell’occupazione ovunque, ma in particolar

modo nei comuni alpini. L’andamento degli addetti alle varie branche di attività è sostanzialmente simile nei due

raggruppamenti di comuni; fanno eccezione le costruzioni e l’industria manifatturiera (a favore della zona extra-alpina), mentre

l’attività estrattiva registra ovunque un crollo. Sul fronte opposto, fortissimo è ovunque l’incremento degli addetti ai servizi alle

imprese.

L’industria manifatturiera, principale settore di attività in entrambi gli ambiti territoriali, ha ormai la stessa incidenza nei comuni

alpini e periurbani. Nei comuni extra-alpini, soprattutto, il commercio all’ingrosso e i servizi alle imprese hanno un’incidenza

decisamente superiore, e questo è il maggiore sintomo di debolezza delle città alpine nei confronti delle aree urbane esterne alle

Alpi.

Nelle zone urbane delle Alpi vi è inoltre una maggiore incidenza dei servizi turistici, delle costruzioni, pure in relazione col

turismo, e dell’amministrazione, dovuta anche alla presenza di regioni e province autonome.

3. La rete urbana delle Alpi italiane / 3.1. Criteri operativi per l’individuazione delle città

La soluzione che Bartaletti propone per risolvere il problema della soglia urbana parte dal presupposto che la città sia in primo

luogo un centro di offerta commerciale e di servizi, in special modo alle imprese.

Si è partiti dal presupposto che una popolazione di 5000 abitanti sia oggi potenzialmente sufficiente non a costituire una soglia

urbana, ma ad attirare la localizzazione di attività commerciali, bancarie e di servizi alle imprese.

Pertanto Bartaletti ha calcolato il rapporto fra la somma degli addetti al commercio, alle banche e ai servizi alle imprese e il

totale della popolazione italiana alla stessa data, moltiplicando quindi tale relazione per 500. Il valore così ottenuto – 448 addetti

alle “funzioni centrali” nel 1991, per un ipotetico comune di 5000 abitanti – è stato utilizzato come soglia urbana assoluta.

Partendo dal presupposto che la città è anche sinonimo di addensamento di popolazione, non sembra il caso di considerare

urbani, al di là del numero di addetti alle funzioni centrali, comuni nei quali la popolazione non raggiunge la soglia di 2000

abitanti agglomerati. 3.2. Andamento demografico e struttura economica delle città delle Alpi italiane

In una prima ricerca (1998), Bartaletti ha individuato nelle Alpi italiane 116 città, con una popolazione di 1.834.000 abitanti,

mentre in una successiva ricerca (2001) l’abolizione della soglia minima di addetti a tutte le attività ha portato a 119 il numero

di città alpine, con una popolazione di 1.866.000 abitanti. Infine, il perfezionamento della delimitazione delle Alpi ha

portato il numero delle città a 129, con una popolazione di 1.970.000 abitanti nel 2001, che equivale ad un tasso di popolazione

urbana del 47%.

Tra le città alpine, quelle con 10000-25000 abitanti si impongono per il maggior peso demografico, e i comuni con meno di

10000 abitanti per la consistenza numerica. Nel 1901 nessuna città alpina raggiungeva la soglia dei 50000 abitanti e solo 23

superavano quella dei 10000. Fino al 1971, non esistevano grandi città con più di 100000 abitanti.

Se poi si considera che delle 18 città che oggi contano più di 25000 abitanti, la metà si posiziona lungo il margine alpino, si ha

una ulteriore conferma del fatto che il reticolo urbano delle Alpi italiane è costituito essenzialmente da piccole e piccolissime

città.

L’andamento della popolazione delle città alpine mostra che il maggior incremento in termini di punti percentuali medi annui si

è verificato nel primo ventennio del dopoguerra, seguito dal primo cinquantennio del secolo.

Si è provato ad individuare degli agglomerati, o unità urbane, utilizzando criteri diversi da quelli di Perlik, come l’incremento

demografico in una decade intercensuaria (almeno il 20%), la continuità edilizia, la densità di popolazione (almeno 500 abitanti

per kmq) etc.

Per quanto riguarda gli agglomerati costituiti da singoli comuni non classificati urbani, si riconoscono solo quelli in cui almeno

due comuni limitrofi caratterizzati da continuità edilizia raggiungono insieme la soglia minima di addetti alle attività centrali.

L’applicazione dei criteri sopra esposti ha portato ad individuare nella zona entro-alpina 13 agglomerati urbani (fra cui Trento,

Bolzano, Merano e Aosta) e una città isolata (Belluno) con oltre 20000 abitanti.

Più complessa è la delimitazione degli agglomerati imperniati su città al margine alpino. Si possono individuare nelle Alpi

occidentali gli agglomerati di Biella (20 comuni, 113000 abitanti), Cuneo (5, 72000), Sanremo (7, 73000) e Ventimiglia-

Bordighera (4, 47000) e in quelle orientali gli agglomerati di Bassano del Grappa (8, 106000), e Schio (3, 46000).

L’applicazione ai dati grezzi del quoziente di localizzazione, mostra che una marcata presenza dell’industria si ha solo nelle

città al margine alpino, e in particolare in quelle incluse in aree metropolitane con fulcro al di fuori delle Alpi, mentre le città

entro-alpine sono caratterizzate soprattutto dalla funzione turistica, dall’amministrazione e dalla produzione di energia.

Nelle città entro-alpine, l’occupazione complessiva aumenta di circa il 10%, grazie al cospicuo incremento del terziario che

compensa abbondantemente la flessione dell’industria.

A partire dal livello funzionale minimo individuato per le città italiane (448 addetti alle attività centrali), corrispondente alla

“soglia urbana”, sono state ricavate per l’Italia, procedendo in scala logaritmica, 10 classi di centri di ordine progressivamente

superiore. Nelle Alpi italiane, in particolare, sono rappresentate le classi dalla 1 (“centri urbani locali”) alla 6 (“città regionali di

livello superiore”).

Alla classe 6 appartengono nell’ordine Bolzano, Trento, Como e Varese, alla classe 5 solo Cuneo e Lecco, alla 4 Sanremo,

Bassano del Grappa, Aosta, Merano, Belluno, Rovereto, Pinerolo e Sondrio.

8. Il quadro economico attuale delle Alpi / 1. Caratteri generali

L’avvento della Rivoluzione industriale ha rapidamente sgretolato la società alpina tradizionale, e il rapporto Alpi-pianura si è

andato generalmente evolvendo in un senso sfavorevole per la montagna. Maggiormente colpite sono state le aree ad economia

rurale, soprattutto se caratterizzate dalla forte acclività dei pendii, dal grande frazionamento dei campi, dalla lontananza da

centri urbani entro-alpini, da vie di comunicazioni difficili ed insicure: queste località sono state interessate da un massiccio

spopolamento.

Nel dopoguerra, questo processo è proseguito in molti casi con accentuata intensità, poiché in mancanza di interventi a sostegno

di queste economie marginali, è stato avvertito in modo ancora più netto, dai giovani, il divario con la società di pianura, anche

per quanto concerne servizi elementari di svago e cultura, per non parlare dell’assistenza sanitaria.

A partire dagli anni ’70, ripercussioni negative hanno avuto anche quei centri di fondovalle che erano stati interessati nella

prima metà del secolo dalla realizzazione di grandi impianti metallurgici e chimici legati alla grande disponibilità di energia

elettrica, i quali sono stati smantellati o ridimensionati in seguito al netto miglioramento della tecnica del trasporto di energia

che ha reso inutile l’ubicazione degli impianti vicino alla fonte.

Bolzano ha saputo superare la crisi specializzandosi in attività industriali di nicchia e nel terziario avanzato. Una cospicua

riduzione degli occupati ha interessato anche negli ultimi 20 anni gli addetti alle numerose centrali idroelettriche in Piemonte.

Viceversa, hanno ricevuto impulsi positivi, dal punto di vista agricolo, le comunità che hanno saputo specializzarsi

nell’allevamento bovino da latte (Svizzera, Austria, Sudtirolo e Valle d’Aosta), o in coltivazioni legnose intensive (vite,

albicocche, pere e mele) come alcuni ampi fondovalle soleggiati e asciutti, dal Vallese alla Valtellina e Val d’Adige-Val di Non.

Per quanto riguarda l’industria, sono state foriere di benessere ed occupazione alcune attività specializzate e di nicchia (es:

occhialeria nel Cadore) e nel terziario, attività avanzate, servizi alle imprese e sc

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
35 pagine
9 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-GGR/01 Geografia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Gerson Maceri di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Geografia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Genova o del prof Bartaletti Fabrizio.