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Toschi (1952) il paesaggio è un complesso di masse – statiche e in movimento – in evoluzione e rapporto, di cui fanno parte anche

colori, odori e rumori; legata allo studio di quest’elemento è la geografia culturale, ramo della geografia umana la cui terminologia

deriva da Ratzel, sviluppata concettualmente da Otto Schluter (filo-nazista), alunno di Kirchhoff e Richthofen, e Carl Otwin Sauer,

americano che considera la disciplina l’insieme dei fenomeni antropologici relativi ai comportamenti umani in un ambiente.

In questo contesto, in Germania, nacque il paesaggio culturale (Kulturlandschaft), plasmato dagli interventi dell’uomo a causa del

suo bagaglio di conoscenze e del contesto etnico-culturale di cui fa parte; il termine fu introdotto da Schluter (che definisce il

paesaggio “espressione geografica di una cultura”, non negando ma riequilibrando l’influenza della natura, che in precedenza aveva

enfatizzato) e Otto Maull, secondo cui indicava lo spazio di vita dell’uomo, prodotto dall’azione delle forze culturali sulla natura.

Importanti ricerche su regione e paesaggio le fece anche Hermann Lautensach, che contribuì anche sul versante epistemologico:

coniò il concetto di Formenwandel, cioè i mutamenti di suolo, clima e vegetazione in rapporto a latitudine, distanza dal mare e

altitudine. Lucio Gambi, però, criticò il fatto che alcuni geografi tedeschi avessero cercato di gerarchizzare gli elementi che concorrono

all’individuazione del paesaggio, ripartendo poi questi ultimi in classi. Nel quadro del progetto europeo Coordination of Information

on the Environment il paesaggio è inteso come mosaico di unità territoriali, ciascuna caratterizzata da una certa copertura del suolo;

in base alla Convenzione Europea del Paesaggio (2000), si intende invece una determinata parte di territorio, così come è percepita

dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e umani e dalle loro relazioni, contribuendo a formare e

conservare l’identità culturale.

 Sistemazione concettuale della geografia classica

Dal XX secolo la riflessione metodologica e sull’oggetto della geografia ha come riferimento Aldred Hettner (1859-1941), che effettuò

viaggi in tutto il mondo e fondò la Geographisce Zeitschrift, dove si chiese cosa fosse la geografia e quali fossero le sue possibilità. La

sua concezione della disciplina non deriva da una specifica filosofia, ma si sviluppa empiricamente dallo studio della storia del

pensiero geografico (Humboldt, Ritter) allo scopo di delineare un metodo e dare corretta definizione epistemologica. Pur affermando

di non rifarsi a Kant o Comte, Hettner utilizza uno schema delle suddivisione della scienza fortemente kantiano, riprendendo le

definizioni di scienze nomotetiche e idiografiche. Egli osserva che i fraintendimenti sull’essenza della geografia derivano dalla

scorretta identificazione del suo oggetto di studio: la materia non consiste nella conoscenza generale della Terra, bensì nello studio

della superficie terrestre e delle sue differenziazioni regionali. L’approccio è quindi cronologico, e prevede di descrivere e interpretare

il carattere multiforme della superficie terrestre, dovuto a molteplici elementi che variano da luogo a luogo e tra loro interconnessi.

Da qui, la negazione della natura dualistica della disciplina: in ogni singola area i caratteri antropici e naturali sono legati tanto

strettamente da essere inscindibili; dunque, la geografia non deve dividersi fra scienze naturali e sociali, poiché studia una realtà

diversificata. Lo studio della superficie terrestre può quindi essere regionale (complesso dei caratteri delle singole aree o generale

(sistematico, che confronta le regioni in base a particolari caratteristiche). Queste concezioni furono riprese da André Cholley (1886-

1968), secondo cui l’oggetto della geografia è la conoscenza della Terra nel suo carattere complessivo, non in termini di categorie di

fenomeni ma in qualità di combinazioni di questi. La sua originalità nasce da quella dei fatti che studia, non isolati ma interconnessi;

allo stesso modo Preston James, che parla di associazioni di fenomeni e somiglianze e differenze fra i luoghi stessi. Alla fine degli anni

’50 le idee di Hettner – circoscritte al mondo germanico a causa della lingua – vengono riprese da Richard Hartshorne (1899-1922),

ricordato per aver dato sistemazione epistemologica alla geografia classica. Egli osserva che il concetto di geografia come scienza

degli spazi terrestri corrisponde a una sintesi delle concezioni di Humboldt e Ritter ma che, tuttavia – riprendendo Cholley – oggetti

della materia non sono i singoli fenomeni ma le loro associazioni, che danno carattere ai luoghi. La materia si caratterizza per

analizzare i fenomeni da un determinato punto di vista (spaziale), e in tal senso si avvicina alla storia, che privilegia però il punto di

vista temporale; poiché i fatti osservati, poi, non sono immobili ma inanimati, biologici e sociali la geografia può essere definita

scienza di sintesi. In quanto scienza della differenziazione spaziale privilegia l’analisi di singole regioni, senza formulare

generalizzazioni e – riprendendo Windelband – la geografia è idiografica (perché studia l’unico) e non nomotetica (che mira a

individuare leggi generali). Per quanto riguarda i riferimenti temporali, Hartshorne riporta quanto affermato dalla letteratura

esistente, e cioè che lo scopo della geografia è considerare il mondo così com’è; ciò non significa che essa non debba considerare

una certa estensione temporale (necessaria a volte per capire indagare gli sviluppi nel tempo di un dato fenomeno), ma certo si tratta

di una problematica che va affrontata da altre discipline. I geografi studiano quindi il passato non solo in quanto chiave esplicativa

del presente, ma anche nei termini del suo stesso contenuto geografico (la geomorfologia, per esempio, ha rilevanza geografica se

usata per comprendere il carattere attuale di ciascuna regione della Terra). Per quando riguarda la geografia storica, invece, se

l’intento è determinare modi e processi dei mutamenti, la ricerca è sostanzialmente storica; se, invece, l’accento è posto sulle

caratteristiche paesistiche del mutamento e sui caratteri di connessione dello spazio è evidente il carattere geografico. In sintesi, le

escursioni nel passato della geografia non hanno l’obiettivo di studiare le origini, bensì comprendere meglio il presente.

 New geography e rivoluzione quantitativa

La geografia regionale rimase in auge fino agli anni ’50 ma, nel primo dopoguerra, a opera di geografi anglo-americani e scandinavi,

maturarono ricerche per una rivoluzione concettuale; tale processo si sviluppò come reazione al fatto che lo studio dell’unico

testimoniava l’incapacità della geografia tradizionale di pianificare e trasformare il territorio. Per fare questo era però necessario

conoscere le leggi regolatrici dei fenomeni e, quindi, abbandonare l’esame del particolare e cercare le regolarità nelle configurazioni

spaziali: fondamentali, quindi, geografia urbana ed economica. Si svilupparono così modelli normativi, di tipo deduttivo (studio

dell’uso del suolo urbano dei sociologi urbani di Chicago) o induttivo (legge di Reilly sulla gravitazione del commercio al dettaglio):

entrambi con lo scopo di organizzare la geografia in proposizioni coerenti, che contribuiscono a fondare teorie scientifiche; mentre

per i primi, però, la realtà esiste se le premesse sono vere, per i secondi la realtà è quella conoscibile con l’osservazione. La nuova

geografia adotta quindi i metodi delle scienze naturalistiche e formula modelli di interrelazioni che cerchino di spiegare la realtà; si

colloca così nel filone neopositivistico, distinto dal vecchio positivismo perché si limita a spiegazioni possibilistiche e non

meccanicistiche o deterministiche, formulando tesi vere per classi di eventi ampie.

Nel modello sull’uso del suolo urbano i sociologi Park, Burgess e McKenzie – ispirati al modello di Joahnn Von Thünen sull’uso del

suolo agricolo (1875) – dimostrano che le città industriali nordamericane degli anni ’20 sono caratterizzate dalla configurazione

concentrica di attività e gruppi sociali. Il modello delle località centrali del geografo Walter Christaller è fonte di ispirazione per gli

esponenti della new geography: esso, infatti, dimostra che la distribuzione delle città sul territorio è data da un rapporto costante fra

le città di una certa gerarchia e quelle di grado inferiore, e che l’area di attrazione centrale assume una forma esagonale. Esponenti

di spicco di questa geografia quantitativa sono William Garrison (iniziatore, fece ricerche sulle reti dei trasporti e la teoria delle località

centrali), Fred Schaefer (che ripudiò la teoria di Harthshorne e propose un approccio scientifico basato sulla ricerca di leggi

geografiche), Richard Chorley e Peter Haggett (il primo applicò modelli quantitativo e approccio sistemico a climatologia e

geomorfologia, il secondo contribuì con teorie e modelli anche alla teoria dei sistemi). Ancora: William Bunge e Waldo Tobler (il

primo, prima di dedicarsi alla geografia radicale, scrisse un volume su teorie e modelli per l’analisi spaziale, mentre il secondo è noto

per aver formulato la prima legge della geografia, in base alla quale ogni oggetto è correlato ad altri, in maniera più intensa in funzione

della vicinanza), Torsten Hagerstrand (studiò la diffusione delle innovazioni utilizzando la tecnica della simulazione Monte Carlo,

partendo dall’assunto che la probabilità di contatto fra due persone sia inversamente proporzionale alla distanza e dimostrando che

la diffusione avviene non casualmente attraverso modelli di prossimità, per l’interazione diretta di elementi vicini), Brian Berry

(rilanciò la teoria delle località centrali e fece ricerche sulla localizzazione di attività e servizi), Peter Gould (applicò modelli e metodi

quantitativi, come la teoria dei giochi, a ricerche operative su paesi africani, ripercorrendo con humor le problematiche della

geografia) e Jean Racine, pioniere nel mondo francofono. Sulla frizione della distanza si basa anche il modello gravitazionale di William

Reilly, che in analogia con la legge di Newton afferma che la forza di attrazione esercitata da due città su un centro secondario (sito

a una certa distanza) è inversamente proporzionale al quadrato della distanza.

La geografia sociale (1908) si occupa dei riflessi geografici connessi ai modi in cui la società si organizza sul territorio e alle sue

condizioni di vita (similmente alla geografia culturale e a quella umana). La prima cattedra fu istituita nel 1948 a Londra, e fu ricoperta

da Laurence Dudley Sta

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
10 pagine
5 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-GGR/01 Geografia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher VeronicaSecci di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Geografia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Cagliari o del prof Incani Carta Clara.