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Definire la salute mentale infantile:
una prospettiva evolutiva e relazionale sulla valutazione e la diagnosi
I trattamenti dei disturbi mentali infantili sono diversi così come molto diverse sono le popolazioni a cui esse
fanno riferimento. In questo capitolo ci occuperemo dell’aspetto della valutazione e della diagnosi. La
diagnosi oggi si basa sule categorie diagnostiche individuano una possibilità di preciso inquadramento della
situazione del bambino. Allo stesso tempo si sottolinea la necessità di integrare un approccio evolutivo e
relazionale nell’ambito della valutazione così per come essa è nata. Inoltre, le nuove conoscenze sulle
caratteristiche e i contesti di insorgenza delle patologie permettono di creare un nuovo approccio dedicato allo
studio dei pattern di incidenza del disturbo, approccio denominato “epidemiologia evolutiva”.
Epidemiologia evolutiva e disturbi della salute mentale infantile
L’epidemiologia è l’area di studio che si occupa dell’incidenza delle malattie della popolazione: ricercando i
pattern di distribuzione delle malattie nelle popolazioni, gli epidemiologi identificano gli individui e i gruppi
vulnerabili tentato di comprendere il perché di tale vulnerabilità allo scopo di creare interventi preventivi per
la riduzione o eliminazione del rischio. Dal nuovo focus sull’età infantile nasce l’”epidemiologia evolutiva”
che si occupa non solo di rilevare la vulnerabilità ma di comprendere anche come mai tale vulnerabilità
cambia lungo il percorso di sviluppo del soggetto. Per esempio, le conseguenze di rotture di relazioni di
attaccamento nei primi due anni hanno conseguenze molto diverse rispetto alle stesse esperienze vissute in
adolescenza.
In ambito clinico di solito il focus è diverso poiché si guarda alle caratteristiche del singolo individuo e alla
creazione di un intervento mirato. Qui si sottolinea invece, l’utilità d integrare la conoscenza epidemiologica
nella pratica clinica ma anche nella costruzione dei sistemi di classificazione diagnostica: è necessario
comprendere un disturbo, conoscerne l’evoluzione, i fattori che la provocano e come essi cambiano nelle
diverse età per poter individuare correttamente la sintomatologia del soggetto e selezionare il giusto intervento
in base al diverso stadio evolutivo individuato del soggetto.
Allo stesso tempo, si sottolinea come gli studi epidemiologici si basano oggi su dati limitati: le ricerche sono
condotte su popolazioni geografiche ristrette, oppure direttamente su una popolazione a rischio o un gruppo
che mostra già alcuni sintomi della patologia target. In questo modo, per esempio, noi possiamo indagare se la
popolazione dei bambini con colite sviluppi successivamente problemi di autoregolazione, ma appartengono
già da un campione problematico non potremo mai verificare se altri bambini, che no presentano la colite,
sembrano sviluppare la stessa patologia o magari in dose maggiore.
Mancano, inoltre, studi longitudinali basati sulla comunità più allargata.
Concettualizzazione del disturbo: problemi nella classificazione del disturbo mentale
infantile
Il problema centrale di ogni sistema tassonomico( o classificazione diagnostica) è l’individuazione
dell’oggetto del processo diagnostico: i disturbi infantili sono disturbi psichiatrici in sé o solo fattori di
rischio?, il problema è solo nel bambino o quest'ultimo riflette una condizione problematica le genitore, ecc.
Importante è poi stabilire se i disturbi relazionali di caregiving siano caratteristiche associate al disturbo del
bambino o parte integrante della salute mentale del bambino.
I due principali modelli a riguardo sono:
- Modello della malattia: colloca il disturbo all’interno della persona, a prescindere che essa sia il bambino
o il genitore.
- Modello relazionale: non colloca il disturbo nell’individuo ma ella relazione tra i due soggetti
I sistemi di classificazione diagnostica psichiatrici sono rimasti più legati al modello medico tradizionale:
diagnosi categoriale che colloca l’individuo all’interno di uno specifico disturbo in base al rilevamento di
determinati sintomi che rispondono ai criteri diagnostici del disturbo. Il principio diagnostico di base è quello
economico e quella massima chiarezza in cui si cerca di attribuire un unico disturbo, quello che sembra più 10
appropriato per l’individuo. Le recenti ricerche hanno però dimostrato come la comorbilità è molto più diffusa
di ciò che si pensa, soprattutto in ambiento infantile, sia per i disturbi internalizzanti (ansia, depressione) sia
quelli esternalizzanti( condotta).
Il modello relazionale, invece, si basa sulla centralità della relazione intesa come mutua influenza, e diagnosi
all’interno di quello che è il modello transazionale. Anche in questo approccio è possibile individuare
patologie proprie e specifiche solo del bambino o solo del caregiver, ma essere vengono prese in
considerazione anche in base all’influenza che producono sull’altro individuo e sulla qualità generale della
relazione.
Negli anni ’90 si è sviluppato n nuovo sistema tassonomico che unisce gli aspetti evolutivi con quelli
relazionali del disturbo infantile, creando l’approccio innovativo chiamato “sistema diagnostico e di
classificazione Zero to Three.
Un approccio standard: il DSM-IV-TR
Il sistema diagnostico più usato negli USA è il DSM-IV-TR. Ha una struttura multiassiale che individua
nell’asse I le diagnosi primarie, nell’asse II i disturbi di personalità e i disturbi dello sviluppo, in asse III i
problemi fisici o medici, in asse IV specifici rischi psicosociali. Il soggetto può ottenere una diagnosi in uno o
più assi ma la valutazione globale del suo funzionamento venne fatta in base alla Scala di funzionamento
globale GAF in asse V. all’asse I al V la diagnosi è individuale e riguarda o il bambino o il caregiver. In una
sezione a parte, chiamata “altre condizioni” troviamo anche il Codice V che valuta i problemi relazionali di
genitore e bambino. La sua collocazione in una sezione aggiuntiva, però, indica come la componente
relazionale viene intesa come caratteristica associata piuttosto che integrante del disturbo stesso.
Le diagnosi rilevanti per l’infanzia sono quelle che si trovano nella sezione “Disturbi solitamente diagnosticati
per la prima volta nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza” (Asse I?) che riguardano in generale i
disturbi dell’alimentazioni, delle capacità motorie, disturbi pervasivi dello sviluppo, della comunicazione, di
ansia da separazione e disturbo reattivo dell’attaccamento. È possibile utilizzare altre diagnosi sebbene esse
non siano state tarate in base a criteri diagnostici appositamente creati per l’infanzia.
I tre limiti dell’utilizzo del DSM in diagnosi infantile riguardano infatti la struttura stessa dello strumento e la
modalità della diagnosi:
- Le diagnosi infantili sono di numero limitato
- Il disturbo è riferito esclusivamente al singolo
- L’aspetto relazionale è sono un elemento supplementare
- I criteri della classificazione del DSM non si basano su norme definite in una prospettiva evolutiva, quindi
bambini di meno di 3 anni o di più di 3 anni vengono valutati allo stesso modo. Allo stesso tempo, è
possibile fare diagnosi di una patologia non presente nella categoria rivolta all’infanzia, quindi verranno
utilizzati gli stessi criteri presi in considerazione per gli adulti, senza riflettere che i bambini non hanno la
reale possibilità di rispondere ad alcuni di essi (mantenere un impiego fisso, criteri relativi alla durata
minima di un sintomo, ecc.).
Per come si presenta oggi, possiamo affermare che il DSM-IV-TR non è sufficientemente discriminante e non
coglie in maniera adeguata la centralità della relazione per il buon funzionamento della salute mentale
infantile.
L’approccio “Zero to Three”
Il sistema DC:0-3 è stato sviluppato da specialisti dello sviluppo nell’infanzia e nei primi anni di sviluppo con
l’obiettivo di creare uno strumento integrativo che permettesse di superare i limiti del DSM. Anche il sistema
DC:0-3 è multiassiale le informazioni di tutti gli assi sono ugualmente importanti. Lo strumento offre una più
vasta gamma di diagnosi rilevanti per ogni fascia di età e offre un primo passo per l’integrazione di una
prospettiva relazionale nella concettualizzazione diagnostica. 11
L’asse I individua le diagnosi primarie per il bambino. Troviamo anche qui disturbi come quelli
dell’alimentazione, della comunicazione, della relazione, dell’adattamento, ecc. come il DSM ma è prevista
una più ampia gamma di possibilità diagnostiche.
L’asse II individua una dimensione più relazionale e individua i diversi tipi di diversi tipi di disturbi
relazionali nelle categorie di ipercoinvolto, ipocoinvolto, ansioso/teso, arrabbiato/ostile, misto. La diagnosi è
rivolta alla relazione piuttosto che al singolo. Le categorie sono escludentesi quindi si individua un solo stile
relazionale. Nel caso in cui la comorbilità è evidente si usa la categoria mista, anche se è poco indicativa da un
punto di vista dell’individuazione delle caratteristiche e quindi meno utile dal punto di vista della
progettazione dell’intervento. L’asse III individua i problemi fisici relativi a diversi stati di sviluppo emotivi,
l’asse IV gli agenti di stress psicosociale e l’asse V il livello di sviluppo del funzionamento emotivo del
bambino.
Quando bisogna utilizzare il DC:0-3 ai clinici è chiesto di valutare la qualità della relazione genitore-bambino
attraverso la scala di valutazione globale della relazione genitore figlio PIR-GAS. I punteggi vanno da
0(altamente problematica) a 100(molto ben adattato) e collocano i problemi lungo un continuum rappresentato
dalle tre dimensioni di perturbazione, disturbo e patologia. Anders individua delle differenze tra queste
dimensioni a livello di intensità durata e frequenza del problema flessibilità della relazione, ecc.
Quando si parla di relazione perturbata si individua una rottura transitoria nella contesto di riferimento del
bambino, come per esempio a causa di una malattia fisica minore. Questi eventi negativi e i relativi disturbi
vengono intesi come esperienze normative dell’infanzia che vengono superate con il tempo. La perturbazione
può influenzare i sentimenti del genitore, per esempio rendendoli più frustrati o ansiosi,ma non cambia il loro
comportamenti di caregiving grazie alle risorse di sostegno familiare e sociale che mantengono la qualità della
relazione.
Si parla di relazione disturba