DIAGNOSI CATEGORIALE DIMENSIONALE
: 0-3 sono diversi ma condividono 2 principi del modello della malattia:
DSM E DC
Si presume che i disturbi siano di natura categoriale (il disturbo è presente o no a seconda
- se l’individuo soddisfa o no i criteri);
I disturbi sono organizzati gerarchicamente ( l’obiettivo è quindi assegnare una diagnosi
- primaria)
Non sempre però i disturbi sono di tipo categoriale (disturbo/non disturbo), spesso essi
possono essere collocati lungo un continuum di gravità e le manifestazioni subcliniche sono
altrettanto importanti perché possono essere predittive di problemi successivi. Inoltre i sintomi
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possono riguardare vari ambiti e la diagnosi primaria può non coglierli tutti, può trascurare
problemi che in realtà giocano un ruolo importante. In generale l’approccio categoriale non
permette una valutazione che rifletta pienamente il funzionamento individuale e relazionale.
Per ovviare a questi limiti è stata proposto un approccio dimensionale alla diagnosi che
permette di stimare la presenza del problema in vari contesti e di valutarne la frequenza o
l’intensità. Questo approccio ha vari vantaggi:
Permette di tracciare un profilo individuale
- Permette di confrontare i risultati di un soggetto con quello di altri soggetti della stessa
- età/sesso
Vengono individuati anche problemi collocati al di sotto della soglia di problematicità.
-
S ’ :
TRUMENTI BASATI SULL APPROCCIO DIMENSIONALE
• CBCL e C-TFR – Fanno parte del sistema ASEBA, sono strumenti report form compilati da
genitori o insegnanti che valutano il comportamento del bambino in età prescolare e
scolare in ambiti diversi soffermandosi sul comportamento problematico, consentono di
ottenere punteggi su scale dei problemi internalizzanti o esternalizzanti.
• ITSEA (Infant-Toddler Social and Emotional Assessment) – Strumento report form
compilato da genitori o caregiver che valuta il comportamento di neonati e bambini che
iniziano a camminare in vari ambiti di competenza. Si focalizza sia sui punti di forza che
sulle fonti di rischio.
R APPRESENTAZIONI DELLE RELAZIONI
Un altro limite dei sistemi categoriali è che manca l’enfasi sul significato personale che la
relazione assume per l’individuo, cioè sulle rappresentazioni. Tale significato è una parte
importante nella valutazione della relazione stessa. Il Dc: 0-3 pone tra i criteri dell’asse II
quelli relativi alle rappresentazioni della relazione ma non fornisce le linee guida per la
valutazione di questi aspetti. Le procedure di valutazione basate sull’attaccamento possono
fornire informazioni importanti a questo proposito. La procedura più utilizzata per valutare le
rappresentazioni dei genitori sul loro bambino è la Working Model Child Interwiev (WMCI),
un’intervista a domande aperte su come il genitore percepisce la personalità del bambino e la
sua relazione con lui. Le risposte vengono analizzate sia per il contenuto che per la forma. Le
rappresentazioni possono collocarsi in una delle 3 categorie:
Equilibrate: caratterizzate da una accettazione del bambino, coinvolgimento nella relazione,
- sensibilità ai bisogni fisici ed emotivi del bambino e tolleranza delle emozioni
positive/negative;
Disimpegnate: riflettono una strategia di disattivazione emotiva e sono caratterizzate dalla
- tendenza a porre una distanza emotiva tra sé e il bambino.
Distorte: riflettono una strategia che intensifica le emozioni, il genitore appare confuso,
- ipercoinvolto o sopraffatto.
D ISTURBI DELLA SALUTE MENTALE INFANTILE
La gamma di problemi che vengono riferiti dai genitori ai servizi per la tutela della salute
mentale infantile è piuttosto ampia. Studi effettuati in vari paesi hanno messo in evidenza che i
problemi che più frequentemente causano l’invio del bambino nei primi 3 anni di vita sono
quelli relativi all’alimentazione, al sonno, all’ansia, all’irritabilità, all’aggressività, i disturbi
pervasivi dello sviluppo, la depressione materna e una relazione madre-bambino negativa. I
sistemi di classificazione diagnostica attualmente utilizzati risultano però spesso inappropriati
per la valutazione di tali disturbi.
Disturbi del sonno
Sia il DSM che il DC: 0-3 si presentano inappropriati per la valutazione di tali disturbi per una
serie di motivi.
Il DSM distingue tra disonnie (insonnia, ipersonnia, narcolessia) e parasonnie (terrore
notturno, incubi), la diagnosi viene fatta in asse I ma non nella categoria per l’infanzia e
l’adolescenza quindi i criteri utilizzati sono quelli relativi all’età adulta. Nel DC: 0-3 abbiamo
una sola categoria per i disturbi del sonno e quindi nessuna distinzione tra i diversi tipi di
disturbo. Entrambi i sistemi diagnostici inoltre identificano il problema nel bambino nonostante
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le ricerche abbiano messo in evidenza che tali disturbi sono strettamente legati alla relazione
di caregiving. Infine è stato rilevato che i disturbi del sonno sono associati a disturbi nelle
rappresentazioni della relazione e tali sistemi diagnostici non considerano il versante
relazionale.
Disturbi dell’alimentazione
Il DSM elenca tra i disturbi dell’alimentazione la pica (ingestione di sostanze non commestibili),
il disturbo della ruminazione (rigurgito e masticazione del cibo), il disturbo generale
dell’alimentazione (disturbo non specificato che interferisce con la crescita) e il disturbo di
accrescimento. Il DC: 0-3 fornisce una sola categoria per tali disturbi e non dovrebbe essere
usata come diagnosi primaria se si presenta associata ad altri disturbi. Il fenomeno del nutrire
è strettamente legato alla relazione tuttavia molti dei criteri diagnostici per questi disturbi si
focalizzano solo sul bambino e non sulla sua relazione con la madre e questo impedisce di
comprendere a fondo questi problemi.
4 – ’ :
CAPITOLO GUIDA ALL INTERAZIONE PROMUOVERE E SOSTENERE LA RELAZIONE DI CAREGIVING
La Guida all’interazione è un modello di trattamento terapeutico che integra i principi della
teoria sistemico-relazionale in un intervento preventivo di tipo transazionale e
intergenerazionale. Il trattamento è focalizzato sulla relazione bambino-caregiver piuttosto che
sul bambino o sul caregiver presi singolarmente e le interazioni sono la via di ingresso
principale perché considerate il riflesso sia della struttura familiare, sia del caregiving positivo,
sia del mondo rappresentazionale di bambino e caregiver.
Parte integrante del trattamento è l’uso della videoregistrazione: grazie ad essa i genitori
vengono attivamente coinvolti nell’osservazione dei comportamenti dei loro figli e del loro stile
di gioco e interazione. Questo permette sia di comprendere la crescita e lo sviluppo del
bambino, sia di acquisire consapevolezza di quelli che sono i loro comportamenti positivi (che
vanno rinforzati) sia di quelli inappropriati (che devono essere corretti o eliminati).
Questo tipo di trattamento è stato messo a punto per famiglie con problemi di povertà, bassa
scolarizzazione, malattie mentali e famiglie monogenitoriale o con scarso sostegno sociale.
Gli interventi sono costituiti sia da elementi strutturali (procedure specifiche dell’intervento) sia
da elementi processuali (il modo in cui il clinico offre l’assistenza terapeutica, cioè come
esegue le procedure).
POSIZIONE TERAPEUTICA
Il terapeuta dovrebbe:
• Chiedere alla famiglia se pensa che lui possa essere utile e in che modo. Questo tipo di
atteggiamento trasmette il messaggio che sarà la famiglia a prendere la decisione finale
sul fatto di partecipare al trattamento e rinforza il ruolo dei genitori come responsabili del
benessere del loro bambino. In questo modo aumenta la probabilità che l’aiuto venga
accettato.
• Assumere un approccio non giudicante, sensibile culturalmente, nel conoscere ogni
famiglia. Ascoltare la storia della famiglia permette di scoprire i pattern di comunicazione e
interazione, il modo in cui affronta e si adatta ai momenti di transizione del ciclo di vita
familiare.
• Assumere una posizione cooperativa, egualitaria nel momento in cui si identificano i
problemi e si generano possibili soluzioni relative al trattamento: attivare una
conversazione alla pari con la famiglia.
• Enfatizzare i punti di forza della famiglia pur riconoscendone le vulnerabilità: comunicare la
convinzione che i genitori possano acquisire nuovi modi di pensare, di affrontare le
situazioni, di comportarsi e di sentire permette di costruire nuovi punti di forza e infondere
fiducia e autostima per stimolare e mantenere i cambiamenti.
PRATICA TERAPEUTICA
il terapeuta dovrebbe:
• Lavorare duramente e velocemente per stabilire un’alleanza positiva: il terapeuta dovrebbe
comunicare che sta chiedendo alla famiglia di unirsi a loro invece di dare per scontato che
la famiglia lo accetterà. Per facilitare questa alleanza dovrebbe comunicare che si
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impegnerà duramente per ottenere dei risultati e dovrebbe offrire fin dal primo incontro
un’assistenza concreta in grado di produrre risultati.
• Affrontare ciò che i genitori credono sia il problema anche se in realtà non si tratta di una
cosa preoccupante: spesso i genitori vogliono solo essere ascoltati.
• Prendere nota degli atteggiamenti e del comportamento genitoriale che vuole modificare
ma affrontare solo quegli aspetti che ritiene di importanza critica, gli altri possono essere
affrontati più in là, dopo che si è stabilita una solida alleanza.
• Rispondere in modo diretto alle domande che la famiglia pone e fornire le informazioni
necessarie: spesso le famiglie hanno bisogno che le cose vengano ripetute più volte e in
modi diversi prima di essere comprese.
LE FASI DEL TRATTAMENTO
1. Visite domiciliari: valutazione della situazione e del contesto. Il processo terapeutico inizia
con un incontro con la famiglia presso la struttura inviante (ospedale, servizi sociali, casa
della famiglia) per valutare il contesto, comprendere la situazione e il modo in cui viene
percepita della famiglia. Si descrive inoltre il programma della GI. A questo incontro viene
richiesta la presenza di tutti coloro che hanno un ruolo nella cura del bambino tuttavia vi
sono casi (esempio bambino fragile) in cui è preferibile lavorare inizialmente solo con
bambino/caregiver e inserire gli altri gradualmente.
2. Sedute di trattamento di video replay. Le famiglie vengono viste settimanalmente per
sedute di un’ora che si tengono in una stanza appositamente progettata, attrezzata con
giochi, divano, tappeto, sedie, area cambio pannolino e una videocamera. La famiglia viene
accolta nella stanza, si può avere uno scambio di informazioni, si pu&ogr
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