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IL PASSAGGIO DAL LATINO ALLE LINGUE ROMANZE
Il latino è una lingua sintetica a differenza delle lingue romanze, che sono
lingue analitiche. E’ una lingua sintetica perché il sistema sintattico è affidato al
sistema dei casi. Nelle lingue romanze, però, avviene che la quarta declinazione
viene assorbita dalla seconda (soprattutto i nomi maschili) e la quinta declinazione,
poiché ha pochissimi nomi (per lo più femminili), confluisce nella prima o nella terza
declinazione. I generi in latino erano tre: maschile, femminile e neutro. Il neutro è un
genere ambiguo e proprio la difficoltà di riconoscere il neutro fa sì che esso tenda a
scomparire (lasciando traccia solamente nel rumeno). Col passare del tempo,
inoltre, i parlanti fanno sempre più uso delle preposizioni per sopperire ai casi. La
conseguenza è che il sistema del latino estende l’uso delle preposizioni, usandole
per porre rimedio ai problemi interni del sistema. Si estende, inoltre, l’accusativo per
designare altre funzioni, come ad esempio quelle dell’ablativo. I nomi delle lingue
romanze derivano dall’accusativo (e, in parte, dal nominativo). Tra le lingue
romanze, il francese arriva a formare una lingua della letteratura molto prima delle
altre lingue romanze, e presenta una –s che distingue il caso soggetto dal caso
oggetto (il nominativo dall’accusativo); al plurale, invece, avviene il contrario: la –s è
presente all’accusativo plurale, non al nominativo. La Romània è divisa in due per
quanto riguarda la formazione del plurale: l’area occidentale forma il plurale con una
–s (plurale sigmatico); l’area orientale invece ha il plurale vocalico. L’alternanza
vocalica italiana deriva dai nominativi plurali della prima e della seconda
declinazione. A volte, però, può capitare che la –s finale dell’accusativo plurale può
vocalizzarsi e cadere (vulpes > volpi; mas > mai; post > poi). Col passare del tempo,
nella morfologia del latino volgare vengono usate le perifrasi, più diffuse perché
fanno uso delle parti più note della lingua. L'articolo non era presente in latino. Il
problema della traduzione dei testi biblici greci, che presentano l’articolo, pone la
necessità di introdurre gli articoli anche in latino. Gli articoli definiti si formano dagli
aggettivi dimostrativi: ciò si vede nei testi tardi del V sec. Gli articoli indefiniti,
invece, derivano dal numerale latino “unus”. Per quanto riguarda i verbi latini, tutti i
verbi deponenti vengono regolarizzati e portati alla forma attiva. L’esigenza di
regolarizzare i verbi avviene soprattutto nei verbi più diffusi (si pensi al caso degli
infiniti irregolari “esse, posse, velle”). Queste forme vengono regolarizzare per
analogia con il verbo “habere”. Un’altra tendenza diffusissima di regolarizzazione è
quella della perifrasi: si pensi alla sostituzione del perfetto con il passato prossimo. Il
latino aveva un passivo organico che viene sostituito da una forma perifrastica,
costituita dal verbo essere + participio passato. Così i passivi cambiano significato:
amatus sum non significa più “fui amato”, bensì “sono amato”. Il sistema del futuro
latino non era coerente perché si confondeva con altri modi e tempi, per questo
viene rimodellato sulla forma infinito + presente di habeo (che in latino già esisteva
con senso di necessità). Lo stesso vale per il condizionale che, tuttavia, non
esisteva in latino ma veniva espresso con il congiuntivo. Il condizionale romanzo si
forma dall’infinito del verbo + perfetto di habeo (in francese, infinito del verbo +
imperfetto di habeo). Si assiste poi a fenomeni di cancellazione, come avviene con
il futuro anteriore latino. Fenomeni di trasformazione avvengono pure le coniugazioni
latine, che erano quattro. In italiano avviene il metaplasmo di coniugazione: ad
esempio, “admonere” diventa “ammonire”, “sapere” passa dalla seconda
coniugazione latina alla terza. Per quanto riguarda la sintassi, in latino l’ordine delle
parole era libero ed il verbo era posto alla fine della frase. Già nelle fonti tarde del
latino, il verbo comincia ad apparire a metà della frase. Infatti, quando i casi
collassano, l’ordine delle parole si irrigidisce perché non ci sono più casi a designare
la posizione e la funzione delle parole. Per questo motivo, l’ordine della frase latina
SOV diventa, in italiano, SVO. Inoltre, in volgare la subordinazione viene ridotta
notevolmente a favore della paratassi. Caratteristico è l’uso del verbo avere come
ausiliare. Dal punto di vista lessicale, vi è una forte tendenza alla semplificazione
dei nessi sinonimici, scegliendo parole che si avvicinano il più possibile
all’esperienza quotidiana (ad esempio, “focus” prevale su “ignis”, “caballus” su
“equus”, etc.). Ci sono poi parole che hanno un esito dotto e uno popolare (si pensi a
“vitium” che ha come esito sia “vizio” che “vezzo”). Un’altra tendenza del latino
volgare è la prevalenza di termini con connotati di concretezza e espressività: il
verbo italiano “piangere” deriva dal latino “plangere” (“battersi il petto”) piuttosto che
da “plorare” (“piangere”).
Il lessico è il vero specchio delle trasformazioni socio-linguistiche che
avvengono nel corso del tempo. Bisogna distinguere tra forme ereditarie e forme
dotte, cioè tutte quelle parole attinte per via colta, come parole della scienza,
latinismi usati dai poeti (come Dante e Leopardi), calchi dal greco e dal latino. Molte
parole hanno quindi un doppio esito, dotto e popolare. Gran parte del lessico delle
lingue romanze è anche formato da prestiti, che avvengono per ragioni o di natura
storico-sociale o di prestigio socio-linguistico. Ad esempio, “guerra” deriva dal
germanico “werra” e non dal latino “bellum” perché, dopo le invasioni barbariche,
cambia anche il modo di fare la guerra. Il lessico, quindi, cambia perché cambiano le
condizioni di vita. Bisogna anche riconoscere alcune tendenze proprie del
cambiamento del lessico del latino volgare: c’è una forte tendenza a privilegiare le
forme concrete su quelle astratte (perché parte integrande della vita concreta dei
singoli). Ad esempio, “focus” (focolare) prevale su “ignis” (fuoco); “caballus” (ronzino)
su “equus” (cavallo). Prevalgono, inoltre, termini più espressivi ed efficaci:
“manducare” (masticare rumorosamente) su “edere” (mangiare); “plangere” su
“plorare”. Questa concretezza invade anche la sfera fisica (come le parti del corpo) e
riguarda quei termini che per varie ragioni sono più esigui o, per collisioni
omofoniche, tendono a scomparire: “os” (bocca) vs “os” (osso). Molte parole si sono
formate da diminutivi e vezzeggiativi (per la sfera corporea: cervello, spalla,
unghia, occhio, etc.; uccello, fratello, etc.), che servono per rendere più corposa la
sostanza della materia. Inoltre, parole come “testa” ci dicono come il linguaggio
potesse essere spiritoso, ironico (“testam” > coccio, vaso). Il lessico del
cristianesimo è importantissimo poiché passa attraverso il linguaggio religioso:
“parlare” deriva da “parabolare” (e cioè, portare una parola piena di significati
profondi). Vi sono, infatti, molte parole che con il linguaggio cattolico ed evangelico
slittano di significato: “fides”, ad esempio, che significava “fedeltà” diviene “fede”;
“pietas” assume una valenza di misericordia che il termine latino non aveva; “virtus”
designava dapprima il valore guerresco, col cristianesimo diventa “virtù morale”;
“captivus” significava “prigioniero”, con il cristianesimo muta in “prigioniero del
diavolo”; “talentus” in latino indicava una moneta, attraverso il vangelo indica le
qualità proprie di un individuo.
LE PRIME FONTI ROMANZE: I GIURAMENTI DI STRASBURGO
Certamente esiste un momento a partire dal quale vengono riconosciute le
differenze tra latino e le lingue romanze e la distanza assoluta che intercorre fra
esse. Questo processo può considerarsi concluso nel IX secolo, quando i testi
possono essere riconosciuti in base all’area volgare di provenienza. I primi testi
romanzi sono quelli a carattere testimoniale, prescrittivo, religioso e didattico. I
testi a carattere testimoniale registrano fedelmente la lingua parlata. I testi religiosi,
per via della spinta alla predicazione e alla narrazione, hanno un lingua che può
arrivare a tutti. Soprattutto per i primi documenti in francese, il tentativo di trovare
un’identità linguistica nasce dal confronto non solo con il latino, ma anche con
l’antico tedesco; ciò fa sì che l’area francese trovi una lingua che si differenzi dalle
altre. I Giuramenti di Strasburgo sono dell’843 e sono il primo documento ufficiale
in lingua romanza. La sua importanza è legata al fatto che chi la compose aveva la
netta coscienza di contrapporre due sistemi linguistici diversi. Prima di allora non
abbiamo attestazioni in lingua romanza. La lingua ufficiale usata nell’842 per gli
scritti era il latino. Carlo Magno creò un impero molto vasto al cui interno si usava un
latino particolarmente rigido e standardizzato, un latino ecclesiastico. La spartizione
territoriale fra i figli di Ludovico il Pio, ebbe dei rilevanti effetti pure sul piano
linguistico. Lo storico Nitardo, nonché cugino dei tre sovrani, trascrisse i giuramenti
di aiuto e soccorso reciproco che fecero tra loro i fratelli. Egli scrisse una “Storia dei
figli di Ludovico il Pio”, in cui narra gli avvenimenti tra l’841 e l’843, opera scritta in
latino. Tuttavia i giuramenti scambiati tra i fratelli furono trascritti non in latino, bensì
nelle lingue rispettive dei sovrani. La lingua usata è un francese arcaizzante. Ciò ci
fa capire che il latino non era più utile per la comprensione e la comunicazione.
Carlo di lingua francese giura in tedesco per farsi comprendere dall’esercito di
Ludovico, e viceversa. Per cui la “Storia” di Nitardo è scritta in tre lingue. Essa è
conservata da un solo manoscritto, custodito alla Biblioteca nazionale di Francia a
Parigi (Lat. 9768).
I Giuramenti di Strasburgo, quindi, sono importanti perché sono scritti
interamente e volutamente in volgare e perc