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Ulteriori fonti sono i trattati scientifici e tecnici (medicina, architettura, ingegneria,

veterinaria, etc.) che, considerati minori e, per questo, non adatti al linguaggio della

retorica e grammatica, utilizzano una lingua dimessa, popolare, meno normata. I più

interessanti sono i trattati di agricoltura (Catone, Varrone, Columella), di veterinaria e di

culinaria (Apicio). Il maggior numero di fonti costituiscono le opere letterarie. Le

commedie di Plauto e Terenzio, ad esempio, fanno uso di un linguaggio meno elaborato e

più vicino al parlato, che mira più all'efficacia espressiva piuttosto che all'accuratezza

formale. Anche le epistole di Cicerone, indirizzate a familiari ed amici, presentano un

linguaggio colorito, familiare, idiomatico, secondo il principio retorico dell'aptum, cioè

l'utilizzo di un determinato stile in relazione al genere letterario trattato. Interessante è il

Satyricon di Petronio, che mette in rilievo gli aspetti più caricaturali e grotteschi della

società romana, non privi di oscenità, come il linguaggio dei liberti arricchiti, all'interno

dell'episodio della cena di Trimalchione, pieno di strafalcioni ed errori. Infine si possono

citare i testi cristiani che, sin dalla loro nascita, hanno uno stile umile e popolare. Tra

questi, abbiamo la Bibbia di San Girolamo e le Confessioni di Sant'Agostino. Durante tutto

il Medioevo si è scritto in latino. Nel IX secolo c'è un miglioramento del latino grazie alle

riforme carolingie, che riguarda la cultura e l'istruzione. Solamente durante l'Umanesimo si

avrà la ripresa dello splendore del latino classico. I testi latini medievali mettono in rilievo

la nascente lingua romanza, contenuta all'interno della norma latina. Il passaggio dal latino

tardo a quello medievale si riscontra in numerosi testi, come i documenti di carattere

giuridico e pratico, scritti in merovingico (VI e VIII sec.), leonese (X e XI sec.) e longobardo

(VII e VIII sec.), spesso scorretti e lontani dalla norma classica; le opere storiografiche

come la Historia Francorum del vescovo Gregorio di Tours; le regole degli ordini

monastici; le glosse, cioè delle spiegazioni, parafrasi o traduzioni di parti di testo: una

parte di testo latino viene semplificata e spiegata con un latino più semplice o, addirittura,

con la forma romanza. Tra le glosse più significative abbiamo: le Glosse di Reichenau

(VIII-IX sec.), che contengono delle traduzioni di parole della Bibbia diventate "difficili":

pulchra è spiegata con bella, concidit con taliavit, etc.; le Glosse di Kassel (IX sec.),

manualetto romanzo-tedesco ad uso dei bavaresi diretti in Francia; le Glosse emilianensi e

le Glosse silensi (X-XI sec.) di zona iberica, che sono belle brevi traduzioni di parole che

sembravano difficili; il Glossario di Monza (X sec.), dove delle parole latino-romanze sono

spiegate in greco volgare. Gli errori che emergono in tutte le fonti del latino volgare e

medievale, mettono in rilievo la volontà dello scrivente ad utilizzare una lingua in disuso, di

cui non si conoscono più bene le leggi fonetiche e morfologiche: tutti gli errori, infatti, sono

dovuti ad ipercorrettismo, che è il tentativo di avvicinarsi alla forma scritta giusta quando

questa non è più vitale. Inoltre, la fonologia, morfologia e sintassi delle lingue romanze si è

molto diversificata rispetto al latino. Una caratteristica fondamentale del latino era una

grande libertà nell'ordine delle parole in una frase: ciò era possibile grazie alla presenza

dei casi, che facilitavano la comprensione. Ma quando, nel passaggio dal latino alle lingue

romanze, i casi si sono ridotti e sono scomparsi, tale libertà è venuta meno e la posizione

delle parole ha assunto un ordine fisso. In latino, solitamente, il verbo era posto alla fine

della frase, seguendo il soggetto e complemento oggetto. In tutte le lingue romanze,

invece, il verbo segue il soggetto ma precede l'oggetto: se in latino, infatti, parliamo di

ordine SOV, la struttura della frase romanza è SVO. La stessa struttura vale anche per i

nomi composti: portabandiera vs vexillifer. Si può dire che le lingue romanze hanno una

struttura speculare rispetto al latino, sia per quanto riguarda il verbo, l'aggettivo e

l'avverbio. Tale cambiamento è dovuto soprattutto alla scomparsa dei casi, che ha favorito

un gran uso delle proposizioni. In tutte le lingue romanze appare il condizionale, il cui

significato, in latino, veniva espresso con un congiuntivo. Il condizionale è perifrastico ed è

ottenuto dalla giustapposizione dell'infinito e dell'ausiliare HABERE. Analogo è il caso del

futuro, che predilige la forma perifrastica, abbandonando quella tradizionale. Il latino,

inoltre, aveva una sola serie di pronomi personali; le lingue romanze, invece, ne

presentano due: una tonica (o libera) e una atona (o clitica). Clitico vuol dire "appoggiato

al verbo". I pronomi liberi si servono spesso di preposizioni; quelli clitici, invece, hanno

conservato i casi, come in latino. I pronomi clitici, nel Medioevo, avevano una posizione

diversa rispetto all'età moderna, derivante da due concetti: 1) atonicità costante; 2)

posizione fissa. Il carattere proprio del clitico è la sua adiacenza al verbo, che può essere

di due tipi: proclisi, quando il clitico si trova prima del verbo; enclisi, quando il clitico si

trova dopo il verbo. Quasi tutti i testi antichi, presentano un maggior sviluppo dell'enclisi.

Tuttavia vi è una regolarità nell'alternare queste due forme, data dalla legge Tobler-

Mussafia, che stabilisce: 1) si ha enclisi quando il verbo è in posizione iniziale di frase ed

è preceduto da e, ma, o; 2) si ha proclisi quando il verbo non è in posizione iniziale e dopo

che. Il latino aveva cinque declinazioni nominali. Questa grande varietà subisce notevoli

riduzioni già in latino volgare: le declinazioni che hanno meno nomi tendono a dileguarsi.

Ecco che la IV e la V declinazioni scompaiono, assorbite rispettivamente dalla III e dalla I.

Si passa così a tre declinazioni: 1) maschile in -u (-o); 2) femminile in -a; 3) maschile e

femminile in -e. Anche le quattro coniugazioni verbali si riducono a tre (la seconda assorbe

la terza), con frequenti passaggi di coniugazione (metaplasmi): ad esempio, ammonire <

ADMONERE, capire < CAPERE, sapere < SAPERE. Altri verbi sono soggetti, invece, alla

regolarizzazione per analogia, come posse e velle passano a potere e volere, e transferre

diventa transferire. Per il passivo, il latino usava forme sintetiche e analitiche; nel

momento in cui le forme sintetiche cadono in disuso, le forme analitiche del tipo "amatus

sum", dal significato "sono stato amato" passano ad avere "sono amato". Così per dire

"sono stato amato", incomincia ad usarsi la forma "amatus fui". Inoltre, scompaiono pure i

verbi deponenti. Nelle lingue romanze, con il collasso dei casi, si inizia ad usare le

preposizioni; ciò ha determinato la scomparsa delle consonanti finali, soprattutto della -m

(dileguatasi prima delle altre). La preposizione diventa, quindi, un elemento necessario,

invece il caso diventa un elemento ridondante, accessorio. Proprio questa evoluzione

determina degli "errori" nella scelta dei casi, sempre per ipercorrettismo. Oggi tutte le

lingue romanze, a parte il romeno, sono sprovviste di caso. Si è stabilito, inoltre, che i

nomi e gli aggettivi romanzi derivano dall'accusativo latino e, più raramente, dal

nominativo. Il latino non aveva gli articoli definito e indefinito, che invece sono presenti in

tutte le lingue romanze. Proprio per questo motivo, l'articolo è un elemento panromanzo.

L'articolo definito deriva dal latino ille, che già tra il IX e X sec. ha assunto una fisionomia

molto vicina a quella delle lingue romanze odierne. L'articolo indefinito, invece, deriva da

unus, che ha sostituito quidam e che ha un significato più generico rispetto a quest'ultimo.

Una delle innovazioni più significative delle lingue romanze rispetto al latino è

l'introduzione di forme perifrastiche, come la forma: ausiliare avere + participio passato.

Il latino aveva consonanti e vocali sia brevi che lunghe. Già nelle iscrizioni pompeiane (I

sec. d.C.) emerge come l'opposizione tra vocali brevi e lunghe non era più distintiva, ma

predicibile dal contesto sillabico. La perdita del carattere distintivo della lunghezza vocalica

ha determinato notevoli cambiamenti della posizione dell'accento, che si è fonologizzato.

In posizione tonica il latino aveva dieci vocali, lunghe e brevi. Tuttavia, con la perdita della

lunghezza vocalica, la quantità è diventata qualità e da un sistema decavocalico si è

passati, in italiano, ad un sistema eptavocalico, in cui le vocali lunghe sono diventate

chiuse e quelle brevi sono diventate aperte. In posizione atona, invece, in italiano

distinguiamo cinque vocali, in virtù del fatto che l'apertura e la chiusura si neutralizzano.

Le vocali aperte, in sillaba aperta, hanno dato come esito i dittonghi je e uo (e pure i

dittonghi latini AE e OE, tranne AU che si è monottongato in o). In contesto atono, i

fenomeni più diffusi sono la sincope di vocali postoniche in parole sdrucciole (soldus per

solidus) e l'eliminazione degli iati (cioè l'incontro di due vocali appartenenti a due sillabe

contigue) che ha trasformato le vocali in semivocali, favorendo la pronuncia. In ambito

consonantico, le semivocali j e w, per dissimilazione e rafforzamento, passano a

consonanti vere e proprie: la w diventa v in gran parte delle lingue romanze (in latino

veniva usato l'unico segno V per indicare sia v che u); la j, indicata in latino con la i, in

latino volgare si rafforza passando a consonante, divenendo g (dg) e z (dz). In un primo

tempo, la consonante che veniva prima della j si è allungata. Successivamente, per

assimilazione, la j si è fusa con la consonante precedente dando luogo ad un suono

palatale. Così t + j diventa ts e k + j diventa ts. Allo stesso modo d + j diventa dg e poi dz,

la l + j diventa gl, la n + j diventa gn. Già a partire dal I sec. d.C. si verifica la

spirantizzazione di b intervocalica in v. Inoltre avviene anche la caduta della consonante

aspirata iniziale h-. I primi esempi si hanno già in età repubblicana e nelle iscrizioni

pompeiane. Ma il fenomeno più diffuso è sicuramente la caduta della -m finale, già

debolmente articolata nel latino classico in prosodia. Diversamente da -s, -m è stata

eliminata in tutto il dominio romanzo.

Capitolo 8 – I caratteri delle lingue romanze

Le lingue romanze presentano numerose affinità soprattutto a livello del lessico. Per

lessico ereditario si int

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Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/09 Filologia e linguistica romanza

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovyviv94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fondamenti di filologia e linguistica romanza e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Punzi Arianna.
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