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SCHEMA SULLE FOTOCOPIE DEL PROFESSORE RIGUARDO LE EVOLUZIONI.
Cap. 22 “I primi testi romanzi”
Nell’alto medioevo la lingua scritta era il latina, anche se può capitare che
questo latino tradisca fenomeni romanzi. È sostenuta la tesi secondo cui il
latino scritto venisse letto come una varietà romanza. Chi leggeva il latino
infatti inseriva particolarità regionali, ma sembra impossibile che la grafia
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latina ricoprisse una morfologia che era cambiata di molto. Capita però spesso
che i nomi di luogo o di oggetti conservino le desinenze latine e qualche
aggiustamento grafico ma siano di fatto romanzi. Queste tracce non
costituiscono testi romanzi. Il primo caso in cui si capisce che chi scrive ha
piena coscienza dei due sistemi linguistici è quello dei Giuramenti di
Strasburgo. La storico carolingio Notario, quando scrive la vita dei due figli di
Ludovico il Pio, fa riferimento anche ai due giuramenti e di come entrambi si
siano espressi, per farsi capire meglio, nella lingua prevalente dell’esercito
dell’altro. Non c’è da pensare che Ludovico e i suoi sudditi si esprimessero in
maniera estemporanea, ma un atto politico di così tanta importanza
sicuramente era già preparato ed esistevano forme fisse, già in latino a partire
dal’842. L’importante è che fosse chiaro che il francese ed il tedesco era
diverso dal latino. Nel periodo successivo compaiono diverse opere in versi, di
provenienza clericale e di argomento religioso: la Cantilena di S. Eulalia e la
Passione di Cristo e la Vita di S. Leodegario. In Italia si tralascia l’indovinello
veronese dell’800 ca. in quanto non si è sicuri della natura linguistica. Il primo
caso in cui si è certi che si scriva in volgare opposto al latino è la testimonianza
capuana del marzo 960; quando il giudice Arechisi trascrive nel suo testo latino
una testimonianza. Il giudice è consapevole che il testimone parla una lingua
differenza da quella che lui usa abitualmente; anche questa volta però si tratta
di formule fisse. Dal 960 alla fine del 1100 si hanno pochi testi e quasi tutti
provengono dalle località del nord e del centro. In Sardegna il testo originale
più antico è la carta campi danese in caratteri greci del 1089, un testo di 33
righe che conteneva la conferma di una donazione. Non molto posteriori sono
la più antica carta Arborea, del 1102; la più antica carta logudorese, del 1120
ca.; la più antica carta gallurese, del 1173. Segue anche un buon numero di
testi giuridici scritti in volgare. Nella pensola iberica il primo testo in volgare
compare verso il 980 ed era una lista di formaggi annottata da Frate Semeno
per ricordarsi dei dono fatti. Nel secolo successivo compaiono le Glosse
emlianensi che contengono frasi intere in romanzo. Accanto alle Glosse è
importante anche la documentazione delle Kharhat mozarabiche, ovvero strofe
finali inserite in testi arabi e ebraici. La più antica documentazione occitana è
fornita da carte di archivio e sono ben anteriori ai primi manoscritti dei trovatori
provenzali. La più antica carta con parti occitane risale al 1034; nelle varie parti
della Francia compaiono diverse prime carte in diversi periodi. C’è voluto quasi
un secolo perché si documentassero le differenti varietà di occitano.
Abbastanza antica è anche la documentazione reto-romanza: la traduzione
interlineare di una parte di sermone latino, attribuita senza motivo a
S.Agostino, della fine dell’XI secolo. In Catalogna i primi documenti d’archivio
compaiono già nell’XI secolo, un giuramento tra il 1035 e il 1055, ma anche
una carta anteriore al 1100. Nel XII secolo abbiamo i resti di due versioni del
Liber Iudiciorum, il codice legislativo visigotico. Dopo il 1200 le scrittura in
prosa diventano molto comuni. La più antica carta portoghese è la Notica de
Tortom della fine del XII secolo o inizio del secolo successivo. Poco più tarda è
la prima documentazione del franco-provenzale, una lista di vassalli del 1250 e
poi un’altra del 1265. Il primo documento dalmatico è del 1325, una lettera di
Zara. Riguardo al romeno, la prima documentazione risale al 1521, una lettera
di un giudice della Transilvania che dava informazioni sulle imprese dei Turchi.
Alessia Roggi 33
Cap. 23 “Le traduzioni scrittorie (letterarie e non)”
Nessun testo scritto si sottrae alle convenzione e alle abitudini di una
tradizione. Chi scrive deve aver appreso delle capacità di tracciare segni,
ricavato norme nel tracciare segni che corrispondano a determinati suoni. Il
primo aspetto del problema ci riporta alla paleografia (scienza che studia le
scritture) in quanto non è possibile studiare dei testi senza conoscenze
paleografiche. La paleografia è in grado di individuare, con una certa
approssimazione, il tempo e l’ambiente in cui il testo è stato prodotto. È molto
più facile quando si tratta del medioevo in quanto le persone che scrivevano e i
luoghi in cui si scriveva erano molto pochi. Vi erano i cosiddetti scriptora, i
professionisti della scrittura. Quando si individua una certa tradizione, bisogna
cercare dei testi che avvalorano la tesi, bisogna essere sicuri della datazione e
del luogo, per collocare nel tempo e nello spazio l’intera tradizione. A differenza
dei paleografi, i linguisti hanno sempre cercato nei testi le tracce linguistiche
della loro origine nel tempo e nello spazio; si partiva pensando che chi scriveva
utilizzava la propria varietà locale. Questa ipotesi è stata messa in crisi dal
fatto che era molto difficile indicare con certezza nello spazio i testi antichi.
Prendiamo come esempio i Giuramenti di Strasburgo: si conosce esattamente
la data, ma il luogo e gli enunciatori rimangono non localizzabili in quanto
presentano tratti contraddittori. Si è dovuto ammettere che chi scrive non usa il
proprio idioletto o dialetto, ma si inserisce in una tradizione più ampia. Si è
giunti alla nozione di scripta come di una tradizione linguistica scritta
caratteristica di una determinata area. In fondo, la scripta corrisponde alla
nozione paleografica di tradizione scrittoria. Nel XIII secolo si iniziano ad avere
le prima attestazioni delle differenze all’interno dell’area romanza e si osserva
che il gallo-romanzo è articolato in franciano, normanno, piccardo e
borgognone. Il panorama linguistico francese è forse uno dei più semplici
perché ad un certo livello di coscienza forse neanche il guascone si differenzia
così tanto da quello che era chiamato limosino. Prima di Dante, con il “De
Vulgari Eloquentia in cui ha fatto una rassegna dei dialetti italiani, veniva
avvertita nella penisola una doppia identità linguistica: quella apula e quella
lombarda. Il toscano poi si staccherà nell’ultima parte del Duecento per poi
affermarsi nei secoli successivi. Nella penisola iberica le identità catalana,
castigliana e portoghese sono affermate da secoli. Agli intellettuali medievali
veniva naturale la distinzione tra sostanza e accidente. Il latino e il volgare
erano considerati diversi nella sostanza e così il francese rispetto all’italiano
etc. Le diverse tradizioni linguistiche francese, ad esempio, erano considerati
accidenti di una stessa sostanza. I copisti dei testi medievali si limitavano a
trascrivere senza cercare di sostituire le forme dei propri dialetti a quelle
originali. Questa pratica ci permette di capire quali tradizioni linguistiche
venivano considerate accidenti e quali sostanza. Nello spazio sentito come
francese, in un primo momento il normanno sembra dominare; in una seconda
fase invece domina il piccardo fino a che non viene sostituito con la scripta di
Parigi. La scripta vallone resisterà a lungo, ma solo come parlata locale.
Quando si parla di scripta ci si riferisce non solo alla lingua della letteratura, ma
anche a quella degli scritti privati e pubblici. Riguardo quest’ultima hanno
molta importanza gli scripta adottata in cancelleria. L’esempio più evidente è
Alessia Roggi 34
quello del catalano che si è normalizzato in tutte le sue forme scritte in
riferimento alle scelte della cancelleria barcellonese dei re d’Aragona. Si sono
così costituite delle solide e durevoli tradizioni di scrittura. L’analisi linguistica
ogni volta deve tener presente del filtro rappresentato dalla scripta. Ciò non
significa che non si può sapere niente del parlato, ma solo che le testimonianze
devono essere analizzate in linea generale, con la massima cautela.
Cap. 27 “il rapporto continuo con il latino”
Per la storia delle lingue romanze il rapporto con le altre lingue è assai
importante. Il rapporto con il latino non è solo di filiazione, ma anche di
influenza, ininterrotta nei secoli, del latino alle sua lingue figlie, da cui hanno
sempre potuto attingere in quanto il latino è rimasto la lingua della Chiesa,
della cultura e della scuola. Il romeno invece rimane al margine in quanto la
lingua della Chiesa era il greco e lo slavo ecclesiastico. In Transilvania
l’influenza latina comincia solo nel Settecento; ancora più tardi in Valacchia e
Moldavia. Lo status del latino è cambiato nel corso del tempo: alla fine del
mondo antico era considerata la varietà alta contro il volgare che era la varietà
bassa. Con il passare del tempo il latino è passato allo status di lingua
straniera, conservando però il prestigio culturale e religioso. L’effetto più
evidente di questo continuo rapporto con il latino è la presenza di prestiti
lessicali nelle lingue romanze. Esistono parole che discendono direttamente dal
latino e prima di parlare di questo bisogna fare la distinzione tra parole
patrimoniali: continuamente presenti nella lingua parlata; prestiti: assenti dalla
lingua parlata e rientrati perchè ripresi dal latino. Di solito queste parole sono
colte o semicolte e vengono riprese perchè usate dalle persone. Di solito però
si attua una distinzione diversa, per forma: se una parola di origine latini ha
subito mutamente fonetici allora sarà patrimoniale; se no sarà un prestito colto.
Il sostantivo it. orecchio, ad esempio, proviene da auricula con una serie di
mutamenti; l’aggettivo auricolare non presenta mutamenti per cui non può
essere patrimoniale, ma è un prestito. Il quadro è molto complesso ed esistono
infinite sfumature. Il francese, ad un certo punto della sua storia, ha perso la s
quando precedeva una consonate: lat. HOSPITALE > fr. hopital. In alcuni casi il
ricordo della pronuncia latina ha impedito il dileguo della s + consonante: lat.
CASTU > fr. chaste. C’è