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IL GENERE
Nozione e Rilevanza del genere in eta antica Protagora
Il primo esplicito riferimento al genere grammaticale può essere riferito a : afferma infatti
Aristotele nella Retorica che il filosofo aveva distinto i nomi in:
Maschili
- ,
Femminili
- ,
Inanimati
- .
Aristotele
Lo stesso allude all’argomento nella Poetica, ove identifica il terzo genere non come inanimato,
ma più che altro enfatizzando la sua Medietas o Terzietà rispetto agli altri due.
Stoici
Meno agevole è la ricostruzione del pensiero degli ( appartenenti allo Stoicismo, ossia una corrente
), rivolti a considerare questa tripartizione nell’ambito
filosofica e spirituale fondata intorno al 300 a.C. ad Atene
Accidenti
degli ( lat.:accidens = "che accade" nel tempo) è un termine filosofico, coniato da Aristotele è qualcosa di
) che
"aggiunto" alla cosa, ovvero non facente parte dell'essenza di quella cosa, qualcosa che sopraggiunge, diviene
possono caratterizzare le parti del discorso.
Varrone Neutro = mancanza di segni
Rilievo determinante lo pose (sec. I a.C.), che considera il
distintivi . Ciononostante, evidenzia come il genere neutro abbia assunto un carattere convenzionale non
uguale alla sua valenza originaria, situazione che comporta per esempio, l’impiego del maschile per
delineare esemplari di vario sesso.
Quntilliano
Arriviamo dunque a che riconosce l’Incompletezza dei tre generi, aggiungendo ai tre già
esistenti (maschile, femminile, neutro):
genere Epiceno
- : ossia I termini “promiscui”, che sono utilizzati:
o indistintamente per maschile e femminile e neutro,
o femminili utilizzati per indicare maschili,
o neutri per indicare femminili. Aulo
Gellio
Lo stesso conferma tale teoria con l’es. della Leonessa, a cui ci si riferisce sempre al maschile. [
Gellio viene definito come un giurista grammatico. Gli sono attribuite profonde conoscenze nei campi della grammatica,
dialettica e letteratura. Esperto sull’origine delle parole, utilizzava nozioni grammaticali per risolvere questioni di diritto ]
Ars Grammatica di Dioniso Trace
Nei secoli successivi, nella , oltre a maschile, femminile e neutro,
vengono indicati anche quelli:
Comune
- : termini che possono assumere il genere più confacente all’uso specifico (insegnante).
Epiceno
- : termini che, fermo il genere grammaticale di appartenenza, vengono impiegati
indifferentemente per riferirsi a specie di genere naturalistico diverso (aquila).
Ars di Flavio Carisio
I grammatici latini, e più nello specifico nel sec. IV nella , arrivano a una
Dimostrativi
conclusione molto più articolata e completa; Carisio sostiene che, elencati i cinque generi, i
hic haec hoc
(maschile), (femminile) e (neutro) ci dicono a quale genere realmente appartengono.
due tipi di genere comune
Definisce poi :
1. Quello riferibile alternativamente a Maschile o Femminile.
2. Quello riferibile alternativamente a Maschile o Femminile o Neutro.
Ars Maior di Elio Donato i generi principali siano Maschile e
Nell’ , il grammatico sostiene che
Femminile Neutro e Comune derivabili da questi
, essendo . I commentatori dello stesso Donato, fra cui
Servio , confermano che i Nomi Epiceni sono utilizzati per riferirsi a generi diversi mantenendo il loro
genere grammaticale, e lo fa facendo l’esempio del Cane (hic canis et haec canis), quella dell’aquila e
quella del passero (siue masculus fuerit siue femina, hic passer dicimus). Inoltre conclude definendo la
differenza tra genere comune e genere epiceno riconoscibilità visu (e non
consistente nella
scientia) del genere naturale della specie .
Sergio
Tuttavia aggiungerà, che vi sono nomi epiceni per i quali la riconoscibilità del genere naturale è
possibile, acutamente concludendo che la vera differenza si riduce al mero ambito linguistico, fermo il
ruolo determinante degli exempla.
L’uso epiceno di TERMINI MASCHILI – Puer, filius e –abus
legge di Servio Tullio
Nella volta a comminare la sacertà ( chi, avendo commesso un delitto contro la religione,
) ai figli che oltraggiassero i genitori, possiamo
veniva consacrato alla vendetta degli dèi ed espulso dalla società
si parentem puer verbit, ast olle plorassit parens, puer divis parentum sacer estod
leggere “ ”. In
Puer
questo estratto il termine è utilizzato in modo epiceno ed assume il valore di filius/filia. Sarà proprio
Carisio
Flavio a riferirci che il termine in questione veniva usato anche per riferirsi alle fanciulle, come
riscontrabile anche nell’Odissea di Livio.
Varrone
Solo sosteneva che al femminile dovesse utilizzarsi puera, il cui autentico corrispondente era
puerus. Tuttavia questo pensiero era un pensiero di minoritario, visto che il pensiero di Carisio era il più
Svetonio
appoggiato. , dimostra di ben conoscere i termini puer/puera, e dei corrispondenti diminutivi, in
de vita Caesarum
un passo del “ ”, laddove si sofferma sulla dedica a Agrippina nuova madre presso
Coblenza (GER), come indicato da Plinio il Vecchio. Dal passo, Plinio il Vecchio sostiene che il figlio nato fu
proprio Caligola, ma in realtà non è detto che “puerperium” fosse da riferire invece alla nascita di una delle
figlie di Agrippina. Filius
Oltre a puer, le fonti letterarie restituiscono anche qualche riflessione sul termine “ ”, e nello
Quintiliano
specifico, fornisce due esempi nei quali un solo predicato svolge la sua funzione rispetto a
tutte le sequenze, sia che esso sia posto all’inizio sia che esso sia posto alla fine: l’unico predicato può
anche essere collocato in mezzo alla serie, ugualmente fungendo da verbo per tutte le altre. Ciò premesso,
un fenomeno analogo si verifica quando i discendenti diretti di taluno (di sessi diversi) vengono
fili
collettivamente chiamati .
Dobbiamo notare inoltre, che il termine puer assume il valore di filius, cui a sua volta, in testi
giurisprudenziali, viene attribuito il valore di filia. Se tutta questa distinzione non rileva nel piano
quotidiano, dove la distinzione può desumersi tranquillamente dal contesto senza troppi problemi, sul
Lasciti Testamentari
piano giuridico la distinzione pesa un po’ di più, soprattutto se si parla di : se il de
cuius lasciasse scritto, secondo la formula per trasferire i legati, “dimitto hoc filiis meis”, sarebbe incerto se
le figlie femmine debbano ricomprendersi nel legato oppure il riferimento colpisca i soli maschi. Così nasce
–abus
la necessità di ammettere al dativo e all’ablativo la desinenza , per delineare la filia (stessa regole
viene applicata per i seguenti termini (equa, mula, dea). Nomi di Animali
Nella legies regiae sono utilizzati termini maschili come epiceni anche per i : tuttavia,
Agnus
l’ che indicava l’agnello, e veniva seguito da “femina” qualora si riferisse a una femmina, viene
Lupus
espressamente ricondotto al genere comune. Stessa cosa veniva fatta per il lupo, .
Rilevanza del genere nell’attivita ermeneutica dei giuristi
.
Ermeneutica = interpretativa Servio
Un’importante interpretazione è un’interpretatio Serviana. Qui è chiamato a pronunciarsi su due
Testamenti che recitano:
mulos duos, qui mei erunt cum moriar, heres dato
D.32.62 (pag. 44): “ ”.
Filio filiisque meis hosce tutores do
D.50.16.122 (pag. 49): “ ”.
Caso 1 – Legato di quadrupedi indicati con il solo termine maschile
Il testatore, proprietario di due muli, ne fa oggetto di lascito con la dicitura di cui sopra. All’apertura del
devono ritenersi ricomprese le mule
testamento si scopre che sono due mule. Secondo Servio , perché
nel significato del termine maschile, come presumibilmente inteso dal testatore, vanno ricompresi anche i
capi femminili. Tale modo di vedere le cose era destinato a durare nel tempo.
Caso 2 – figli genericamente intesi, ai quali viene affidato un tutore
Il testatore, con la dicitura di cui sopra, lascia un tutore ai figli. Servio sostiene che la volontà del testatore
fosse quella di riferirsi solo ai figli maschi, e lo fa non dando più peso alla grammatica, ma dando peso al
fatto che la ripetizione del sostantivo filiis (al maschile) lo induce ad escludere che il testatore si volesse
riferire anche alle figlie. Pomponio
In questo secondo caso, (vedi anche sotto) manifesta il suo evidente dissenso, affermando di
non potersi escludere che il testatore, pur disponendo espressamente una Datio Tutoris per il figlio (che si
presume già nato), volesse disporla anche per i futuri nascituri! Altrettanto interessante è notare come
Pomponio rilevi che la questione è “facti non iuris”, ossia non è una questione di diritto, perché mira al
mero accertamento della volontà pregressa del testatore. In poche parole, interpretazione dei verba per
giungere alla mens. La teoria di Pomponio sembra migliore, che ritiene non decisiva l’argomentazione
grammaticale ai fini di accertare la volontà del testatore.
Alfeno Varo Puer
ritorna sul termine , sostenendo che il termine in questione ha tre significati nel
linguaggio giuridico: Servus
1. Sinonimo di ,
Puella
2. Oppositivo di ,
età infantile
3. Referente dell’ .
Alla luce di questo, si può concludere che il termine “puer” può essere utilizzato come:
Coerentemente al suo genere grammaticale
- , in opposizione a puella.
Epiceno
- : e in questo caso può riferirsi anche agli schiavi.
Sabino definiva inoltre puer come epiceno (quindi necessariamente comprensivo anche delle fanciulle), in
base alla sua derivazione etimologica: deriva da puerpera, madre. [analisi etimologica]; inoltre in
corrispondenza con il termine greco παιδίον (bambino): anch’esso epiceno. [comparazione].
Labeone
Sempre in tema di disposizioni testamentarie, dovette considerare il D.50.16.116 in cui si
Quisquis mihi alius filii filiusve heres sit
disponeva “ ”, e ritenne che la designazione fosse rivolta solo ai
Proculo
figli maschi e non alle figlie. Contrario fu , che “critica” Labeone perché si è affidato a una
senza analizzare la voluntas del testatore
interpretazione letterale dell’espressione, . Nessun dubbio sul
fatto che filius potesse utilizzarsi anche per indicare le figlie, e quindi per il giurista è da escludersi che il
solo un uso isolato del vocabolo avrebbe permesso
testatore si sia voluto riferire anche alle figlie
tale configurazione Giavoleno
. Anche dissente dalla teoria di Labeone: per lui è un indirizzo ermeneutico
Mens
troppo legato alla lettera,