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PLURALE DISTINGUINTE

Ci aiuta a comprendere questo fenomeno i Testi 35, 36, 37. Testo 36 tratto dai Posteriora di Labeone. Giavoleno riferisce un caso già affrontato in precedenza, un testatore aveva disposto nel testamento che 2 schiavi, se fossero stati di sua proprietà quando fosse venuto a mancare, avrebbero acquistato la libertà e avrebbero ricevuto un fondo. È un caso tipico di conferimento della libertà a degli schiavi con manomissione testamentaria e anche di conferimento di un lascito da parte del testatore. Si tratta dell'unico caso in cui la prima clausola del testamento non è la clausola di istituzione dierede ma la clausola di manomissione testamentaria, in modo che gli schiavi cosi manomessi possano acquistare la libertà e capacità di agire quindi ricevere anche il lascito testamentario. È una ipotesi di scuola in cui si immagina che il proprietario avesse alienato o manomesso uno dei 2 schiavi dopo la confezione del testamento.

E' rilevante il fatto, dal punto di vista interpretativo, che nella clausola testamentaria il testatore avesse usato il plurale <strong>sunto</strong> condizionando la disposizione testamentaria in base al fatto che entrambi gli schiavi fossero stati ancora in prorpeità del testatore al momento della morte. Se fosse stato alienato o manomesso 1 la condizione non si verifica, secondo Labeone. Tuberone da una interpretazione più flessibile: il plurale deve essere inteso come la somma di 2 singolare come se il testatore avesse disposto diversamente per l'uno e per l'altro schiavo, quindi per lo schiavo che era rimasto in proprietà del testatore, la disposizione testamentaria poteva avere effetto, lo schiavo era libero e poteva beneficiare del lascito del testatore, acquistare il fondo. Giavoleno dichiara di essere favorevole alla soluzione di Tuberone e non a quella più rigida. L'interpretazione sostenuta da Tuberone permette di interpretare quel plurale come disgiuntivo.Due situazioni analoghe sono descritte anche nei testi 35 e 37. Testo 35 dalle Istituzioni di Marciano, qui si tratta di un legato il cui oggetto sono gli schiavi che devono comunque essere in proprietà del testatore quando muore. Il testatore aliena uno dei due schiavi e quando muore è proprietario di uno solo. Il quesito: può essere rivendicato dal legatario? Abbiamo un legato per vindicationem come attesta la formula "dolego", attribuiva direttamente la proprietà della cosa al legatario, per questo se l'erede non consegna la cosa il legatario ha un'azione di rivendica. C'è la spiegazione esplicita del plurale disgiuntivo. Allo stesso principio si ispira la soluzione del problema del caso affrontato nel Testo 37 dalle Epistule di Pomponio. Qui il caso è un po' diverso ma il problema dal punto di vista grammaticale è sempre quello. Abbiamo il legato di un fondo a condizione che i legatari provvedessero a pagare il funerale.del testatore e il trasporto della salma al di fuori della regione in cui il testatore voleva essere sepolto. Si pone il problema della verifica della condizione e del suo adempimento, qualora uno dei due legatari non vuole contribuire per la propria parte a pagare le spese. Dopo una iniziale incertezza nella quale si pone il problema e si afferma che a stretto rigore l'uso del plurale imporrebbe di non considerare verificata la condizione qualora fosse stato adempiente solo uno dei due legatari, si afferma invece la soluzione fondata sul riconoscimento anche in tal caso di un plurale disgiuntivo. Se anche uno solo dei due legatari provvede per la sua parte, allora si riconosce che egli possa acquistare la sua parte di legato. Qui il giurista affronta il problema dal punto di vista strettamente teorico, non ci si domanda come fosse possibile contribuire alle spese del funerale. Dal punto di vista pratico, la soluzione infatti andrebbe approfondita. Parlando sempre di numero grammaticale.forma di res quae ponderenumero mensura, troviamo la sigla RQPM. Questo indica che l'espressione era di uso comune e ben nota agli studiosi dell'epoca. La questione del numero grammaticale delle cose fungibili è interessante perché nel diritto romano si faceva una distinzione tra res singulares e res universales. Le res singulares erano oggetti individuali, mentre le res universales erano oggetti che potevano essere considerati come una massa indistinta. Le cose fungibili rientravano nella categoria delle res universales, in quanto potevano essere sostituite da altre cose della stessa specie e qualità. Nella pratica giuridica romana, le cose fungibili venivano definite in base al loro peso, numero o misura. Ad esempio, se si trattava di merci vendute al peso, si utilizzava il termine "ponderis"; se si trattava di merci vendute al numero, si utilizzava il termine "numeri"; se si trattava di merci vendute alla misura, si utilizzava il termine "mensurae". La riflessione sulla denominazione delle cose fungibili coinvolge anche il concetto di numero. Infatti, il termine "res" è al plurale, mentre i termini "ponderis", "numeri" e "mensurae" sono al singolare. Questo indica che, nonostante si trattasse di oggetti che potevano essere considerati come una massa indistinta, nel diritto romano si faceva comunque una distinzione tra le diverse modalità di misurazione delle cose fungibili. In conclusione, nell'esperienza giuridica romana le cose fungibili venivano definite in base al loro peso, numero o misura. Nonostante il termine "fungibili" non fosse direttamente impiegato nelle fonti romane, l'espressione "res quae ponderenumero mensura" era di uso comune e ben nota agli studiosi dell'epoca. La riflessione sulla denominazione delle cose fungibili coinvolgeva anche il concetto di numero, evidenziando la distinzione tra le diverse modalità di misurazione delle cose fungibili.

Il nome di Valerio Probo, gli studiosi gli hanno ricondotto elenchi di sigle che non sono state pervenute direttamente da lui ma riconoscibili per analogia come sua opera. Testo 48 la sigla è QPN (integrata perché omessa nei codici) C. = Tutto ciò che consiste viene considerato a peso, numero, misura. Visto che l'espressione era già ridotta in sigle nel 1 secolo a.C ci rende certi che essa fosse molto più antica. Due termini di questa triade sono menzionati già da Varrone nel 1 secolo a.C. La sigla ci riconduce a fare 2 riflessioni di tipo diverso. La prima riguarda l'origine della sigla stessa che è stata molto acutamente ricondotta alla storia della mancipatio come metodo di trasferimento della proprietà. Ricorderemo, abbiamo accennato che la mancipatio era un rito che si celebrava davanti a due soggetti, uno che intendeva trasferire la proprietà della cosa, l'altro che intendeva riceverla in presenza di un portatore.

di bilancia e 5 testimone, l'acquirente toccava con un pezzo di bronzo la bilancia. Il significato dell'abilancia: rappresenta il retaggio di un'epoca più antica in cui si praticava la mancipatio rispetto a quella delle fonti che ce la descrivono, serviva effettivamente a pesare delle quantità di bronzo che costituivano il corrispettivo di questo trasferimento della proprietà della cosa, es. compravendita di un bue. L'acquirente pesava con la bilancia pezzi di bronzo che corrispondevano al corrispettivo della compravendita, l'acquirente ritirava il corrispettivo e la cosa si riteneva trasferita da uno all'altro. La bilancia non era quella che utilizziamo noi a simboleggiare la giustizia, era una stadera formata da una asticella orizzontale, ad una estremità vi era un piatto, all'altra estremità c'era un peso scorrevole e tenendo l'asta in mano e facendo scorrere il peso lungo l'asta, si controbilanciava il piatto.

Così in un primo tempo si regolava il corrispettivo di questo trasferimento di proprietà chiamato mancipatio, bronzo da pesare aes rude = nome del corrispettivo.

Successivamente cominciarono ad essere prodotti pezzi di bronzo con lo stesso peso e allora questi venivano contati e il rito della bilancia diventava simbolico, si toccava la bilancia con un pezzo di bronzo ma il corrispettivo veniva effettuato attraverso una conta dei pezzi di bronzo che avevano un peso corrispondente al contrassegno aes signatum perché il signum era l'indicazione del peso, questo è l'antenato della moneta, che sono pezzi di metallo con un determinato cogno che indicava anche altre caratteristiche e rappresentazioni oltre al peso.

"Pondere numero" = prima si pesava il metallo poi si cominciò a contarlo.

"Mensura" = riferimento alla cosa oggetto di compravendita di terreno, la mensura definisce l'area di quel terreno e quindi la consistenza.

"Pondere numero mensura" = cose fungibili. Espressione che ha le sue origini storiche nella mancipatio. L'altro aspetto che può essere utile approfondire a proposito di questa espressione riguarda la sua capacità di resistere in tutti gli impieghi, anche nel caso in cui venga utilizzata in modo sbagliato. Questo utilizzo sbagliato viene individuato nell'opera di un grammatico della tarda latinità di cui abbiamo fatto cenno quando abbiamo parlato del genere grammaticale, Flavio Carisio (grammatico 4 secolo) da non confondere con Arcadio Carisio (giurista). Flavio Carisio si occupa del numero del sostantivo, ci sono sostantivi che non ammettono il plurale e fra questi indica i nomi dei metalli a meno che non si tratti di cose formate con quel metallo ma il nome del metallo in sé è insuscettibile di utilizzo plurale. I cereali, usati solo al singolare e oltre a questi anche dei liquidi come l'olio e il vino. Per il vino si ammette il plurale se si

vogliono indicare vini provenienti da regioni geografiche diverse. Flaviocarisio individua correttamente l'uso del plurale di determinati sostantivi e il fatto che altri sostantivi invece siano usati esclusivamente al singolare. In un passo della sua opera Testo 56 fa una considerazione preliminare: il plurale dei sostantivi della terza coniugazione latina in cui a volte la desinenza è U a volte IUM. In tal caso la versione che trova accoglimento è quella di panum da parte di Verio Flacco. Aggiunge: è singolare quanto afferma il giurista, va bene che siano suscettibili di uso solo singolare i nomi delle cose che si indicano a peso, come gli stessi metalli (es. oro, bronzo metallo è solo al singolare, gioielli d'oro, statua di bronzo) va bene anche per la misura, e cereali che nel mondo antico erano commerciati con misure di capacità ma quello che è sorprendente: le cose che vengono in rilievo per il numero sono insuscettibili di essere usate.

al plurale. Questo è il contrario del giusto, è un errore che Carisio fa due volte, poi ci sono passi della sua opera in cui l'errore non c'è. La spiegazione: che sia stato Carisio a scrivere o un intervento di altra mano, c'è la forte attrattività che il linguaggio giuridico esercitava sul linguaggio comune, l'espressione era così irrigidita nell'uso e così diffusa che ha superato la barriera attenzionale dell'autore e Carisio o chi per lui ha utilizzato la triade intera per attrazione espressiva senza rendersi conto che con riguardo al numero l'espressione era assolutamente sbagliata. È un esempio di come il linguaggio giuridico potesse sovrapporsi al linguaggio comune.

Un ultimo argomento che riguarda il numero grammaticale concerne un tema al quale abbiamo accennato rapidamente, il duale. Quel numero della lingua greca a cui corrispondevano delle coniugazioni verbali quando i soggetti non erano né uno, né molti, ma due.

L'uso
Dettagli
A.A. 2021-2022
109 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Laleggeasugliappunti di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fondamenti del diritto europeo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Genova o del prof Pavese Marco.