vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Horkheimer. Della “ratio”strumentale
E’ stata un figura centrale per l’Istituto; nell’opera “Crepuscolo” ( pubblicata con lo pseudonimo di
Heinrich Regius), l’autore esprime tutto il suo scetticismo riguardo la “coscienza di classe”, troppo
influenzabile dal movimento storico economico e storico del tempo. Urge allora una vera e propria
teoria critica, i cui metodi d’espressione e di attuazione sono raccontati nel saggio “Teoria
tradizionale e teoria critica” (1937), Horkheimer si augura che una nuova teoria debba avere come
unico obiettivo l’emancipazione degli individui nella loro società. Ciò perché la teoria meramente
scientifica si è allontanata troppo dall’uomo, riducendo ogni cosa al vaglio di un’oggettività’ ad
sottolinea l’autore, la teorie critica si fonda sull’autoconsapevolezza che la società
ogni cosa. Come
ha un carattere fortemente contraddittorio. Inoltre, mette in guardia la società dal rischio di scivolare
in una deriva nichilista della classe rivoluzionaria, accecata da troppo ottimismo. La sua
dissertazione filosofica è centrata su una riflessione accurata intorno al pragmatismo e
all’empirismo, partendo dal presupposto che non si possono sempre definire i mezzi razionali che
aiutano a raggiungere uno scopo, prima che questo percorso di conoscenza inizi. La ragione
soggettiva diventa strumentale quando non è più in grado di agire con oggettività. Tuttavia è forte la
sottomissione all’autorità che si rafforza del fatto che il divenire storico viene escluso dal processo
di analisi dello stesso. Il pensiero di Horkheimer si basa sul rapporto tra scienza e fede che sono
complementari perché agli antipodi, intendendo l’importanza del sistema del dominio della dottrina
della doppia verità, cioè entrambi gli approcci aspirano alla verità e ciò è del tutto possibile
all’interno del proprio ambito. Marcuse, anni prima, aveva messo in guardia circa il rovesciamento
dell’anti-autoritarismo in forme ancora più rigide. Tale idea è presente nell’opera di Horkheimer:
dell’uomo viene schematizzata, il sapere settorializzato. Nel saggio “Storia e
ogni esperienza
psicologia”, l’autore parla dell’importanza della storia empirica che non deve limitarsi ad una
classificazione dei fatti, ma deve essere supportata dalla Filosofia della Storia. Il rapporto tra
conoscenza storica e filosofia della storia diventa “fantasia” e speranza: speranza in un futuro
migliore, per realizzare quella verità che si è sempre cercata e rincorsa dal “padre”. Questi è
di questa. Però l’autore non vuole condannare la civiltà,
simbolo di verità ma anche primo traditore
ma più che altro vuole porre l’accento sulla tendenza di questa a nascondere le sue contraddizioni
Nell’ultimo capitolo di “Eclisse della ragione”,
costitutive. parla della funzione della filosofia
critica che prevede il corso della storia, del progresso e ne anticipa la reazione. Ogni tentativo di
rendere la teoria prassi, degrada la filosofia a semplice propaganda. Questo però non deve portare
ad evitare la prassi, ma come la presa di coscienza dei limiti della prassi e del suo fallimento di
fronte ai criteri della teoria. La filosofia, in questo contesto, rappresenta una critica alla ragione
oggettiva e all’intronizzazione della ragione soggettiva, per evitare le bugie della prima e la deriva
della seconda. La tendenza al dominio è propria dello sviluppo dell’uomo, rafforza il
nichilista
rapporto con la ragione quando questa si muove sul solco del progresso. Solo se il linguaggio si fa
custode dell’oggetto, non diventa strumentalità e mezzo di dominio. L’autore muove anche una
forte invettiva all’arte, utilizzata dal dominio per assopire l’anima dell’uomo che va al cinema per
cercare lo svago per trovarsi alla fine invischiato nella sua enorme catena di montaggio. La critica
horkheimeriana riguarda la relazione tra il pensiero e il linguaggio senza dimenticare il contesto
storico al quale si rivolte. Il linguaggio, come si è visto, non è solo uno strumento di comunicazione
ma diventa espressione di un contenuto al quale si dà forma. Questo contenuto ha carattere
esperienziale. Obiettivo della filosofia diventa l’auto-comprensione storica e non l’adattarsi al
linguaggio quotidiano, che unisce l’uomo semplice e quello dotto. Il pensiero del filosofo non si
limita a considerare la distanza tra Dio e gli uomini, ma tende a dare indicazioni per una morale; è
impensabile pensare ad una morale senza teologia, intesa però non come “scienza del divino”,
perché non si può stabilire l’esistenza di Dio partendo dalla finitudine umana. Teologia è
nostalgia, nostalgia come “paura che Dio non ci sia”. Quindi questa nostalgia
espressione di una
non è altro che espressione di un’insicurezza propria dell’uomo.
Marcuse. L’eros come gioco
Il suo pensiero stabilisce un legame tra teoria e prassi che in Horkheimer e in Adorno, è altamente
criticato. La relazione di ogni filosofo con la Scuola, è di identità e di differenza , ma anche di
convergenza e divergenza rispetto ad una visione della Filosofia della Storia di cui, proprio
“Eros e civiltà” (1955)è un saggio pieno di
MARCUSE,individuò le caratteristiche principali.
ottimismo, in cui si attacca a la logica del dominio responsabile di essere un ostacolo alla
liberazione. In questo saggio, l’autore arriva ad una nuova definizione del concetto di lavoro, che
diventa un “fare”che precede qualsiasi prassi. Il lavoro è un “far accadere”qualcosa
contrapponendosi al “lasciar accadere” tipico di una mente non razionale,quindi emerge una nuova
visione dell’uomo che è fondamento di se stesso. Durata, permanenza e peso sono caratteristiche del
nuovo concetto di lavoro e tramite questi concetti, MARCUSE evidenzia l’intrascendibilità del
lavoro per gli uomini a tal punto da definire l’intera esistenza come lavoro, come subordinazione
dell’esistenza umana ad una legge estranea. Ma perché si parla di gioco? Il gioco è da intendersi
come la negazione di un concetto simile di lavoro, un’idea di società della libertà che si è
emancipata dalla logica del bisogno, questa però non è altro che una finzione. Il lavoro si
caratterizza per trasformare il passato e come protezione del futuro, in quanto ciò di cui si occupa il
lavoro sono oggetti storici che appartengono alle classi dominanti. La libertà è autentica solo se
“libera” dal bisogno, solo se si esprime nella prassi fine a se stessa. Ciò è possibile solo attraverso
un processo economico e politico: solo la prassi politica libera dal bisogno, mira ad un auto-
potenziamento(cioè responsabilità degli individui) e ad un cambiamento tra soggetto ed oggetto, tra
spirito e natura. Questo cambiamento può essere provocato dalla liberazione degli uomini, dalla
ricerca continua di soddisfacimento dei bisogni. Quindi, il “regno della libertà”, di cui parla
MARCUSE, è la ferma negazione di ciò che è necessario cosi come lo è stato precedentemente. Il
suo lavoro parte dalle speculazioni di Freud per andare a riadattarle alla realtà e al contesto. Ciò che
si deve fare è superare le grandi pulsioni di cui parla lo psicanalista, per creare una civiltà nella
quale sia è possibile la vita e lo sviluppo della comunità. Ad esempio, la pulsione di morte diventa
energia utile, dominio verso l’esterno, dominio sulla natura. La civiltà può esistere solo se il
principio di piacere può essere limitato; MARCUSE vuole ricordare il lettore che per la psicanalisi,
la psiche è un’eredità di tutto ciò che è arcaico e primordiale della civiltà stessa: quindi nell’uomo
convivono due dominii, uno razionale ed uno irrazionale. L’elemento arcaico è incarnato dalla
figura del pare che con i suoi divieti rappresenta la prima imposizione di un modello di civiltà; il
dominio paterno suscita sentimenti contrastanti di amore ed odio e nella società, è proprio
quest’ultimo a prevalere. Tutti gli istinti negativi,tutte le pulsioni che comunque condizionano il
contesto sociale, sono subordinati alla strutturazione della vita secondo unità. Una pulsione positiva
è senza dubbio “eros”che si trasforma e permette il cambiamento di prospettiva, da una logica di
dominio ad un’altra. MARCUSE auspica un dominio che plasmi la società su un principio di
prestazione più che di autorità, questo passaggio porta al progresso e ad un graduale miglioramento
della vita degli individui. Ma per evitare di diventare schiavi della logica del progresso, occorre
L’autore si pone a metà strada tra l’idea di fantasia
ricercare sostegno in fantasia ed immaginazione.
come facoltà che combatte ciò che è negativo nella coscienza di ognuno e tra la facoltà che porta ad
Il progresso tende ad un’alienazione del lavoro e quindi ad un’automatizzazione
una realizzazione.
generale, ma tende anche alla riconciliazione degli archetipi che fondano la civiltà. Questa
prospettiva cambia. Anche l’opera “L’uomo a una dimensione” del 1964, vuole essere
un’interpretazione di un presente storico nel quale c’è una contrapposizione tra “blocchi”diversi.
Tuttavia questo è un saggio politico, si invita alla rivoluzione e alla democrazia di massa: ciò che
lascia le cose nell’immobilità, non porta a nessun beneficio per l’uomo e per il progresso. Le libertà
“democratiche” ( in seguito al suo soggiorno in America, cambiò radicalmente il suo modo di
pensare) sono solo un’illusione, perché la loro costituzione è imposta da sistema che ha come scopo
l’auto- perpetuazione, cioè la propria conservazione. Paradossalmente, la libertà diventa, in questo
caso, una forma di dominio. Ogni opinione viene rispettata certo, ma semplicemente un quanto tale,
le libertà diventano uno strumento per contrastare quelle cattive (bisogno, economia, politica).
Libertà come specchietto dell’allodole quindi, che illudono l’uomo di avere il controllo quando poi
egli stessi sono manipolati dal sistema. Il piacere e il soddisfacimento di bisogni farlocchi, rende
l’uomo debole e non in grado di salvaguardarsi. Quindi, emerge in questo saggio, un uomo che è i