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La "REPUBBLICA" di Platone
La "REPUBBLICA" è l'opera in cui affiorano maggiormente tutti i temi di Platone: è un libro composto a sua volta da 10 dialoghi dove in particolare emerge il pensiero politico platoniano. Come abbiamo già detto Platone era rimasto molto deluso dalla politica della sua città che aveva condannato il suo uomo più giusto e per lui lo stato ideale è quello in cui l'uomo giusto può trovare il suo collocamento senza essere tormentato. Molto deluso era anche rimasto dall'incontro con il tiranno di Siracusa e si accorge quindi che il suo concetto di stato è inattuabile, puramente ideale: come ogni altra idea, anche quella di stato va imitata, sebbene sia impossibile riuscirvi totalmente. Si dice spesso che lo stato platoniano sia una utopia, vale a dire un qualcosa che non sta da nessuna parte. Libro I. discussione intorno alla definizione di giustizia. Attraverso gli interlocutori viene messa a fuoco la situazione politico-culturale.
Gli Interlocutori sono tre: Cefalo, rappresentante del pensiero tradizionale della vecchia classe aristocratico borghese di Atene, conservatrice di antichi valori, simpatizzante per la democrazia e ormai vuota di significato; Trasimaco, rappresentante della nuova mentalità sofistica che vuole rompere con la tradizione, simpatizzante per la tirannide; ed infine Socrate, l'uomo "giusto" la cui filosofia è ricerca etica personale. Trasimaco interviene chiedendo soldi per la propria opinione e acquisisce un immagine ridicola. Porta la questione della giustizia sul piano collettivo, del potere politico. Per lui la giustizia è il diritto del più forte; egli sostiene, come molti altri sofisti, che gli uomini per natura nascono diversi, chi più forte e chi più debole, ed è solo la legge che li fa uguali: per lui la legge non è nient'altro che un'ingiustizia dei più deboli nei confronti dei più forti, che dovrebbero.dominare per natura. Per il sofista il modello d'uomo ideale è il tiranno, colui che ha fatto valere la sua superiorità sui più deboli: il tiranno è l'uomo più felice e potente. Il primo libro termina con la confutazione di Socrate delle tesi del sofista: per lui ci deve essere per forza una giustizia, in quanto l'ingiustizia che predicava il sofista non può esserci, perché tende ad eliminarsi da sé: Socrate porta l'esempio dei briganti, ingiusti per eccellenza; anche dopo che hanno commesso ingiustizie rubando, per dividersi il bottino dovranno pur applicare qualche norma. La giustizia è ciò che comanda la legge, è l'utile del più forte. Idee ispirate a Callicle, sofista protagonista del dialogo platonico "gorgia". A partire dal 2° libro. Mentre Socrate mira al recupero dell'etica, ma è ancora fermo alla sfera dell'individuo, Platone ritiene la politica fatto
collettivo e sposta la discussione sul piano collettivo. Platone fa così dei propri fratelli, Glaucone e Adimanto, rappresentanti della nuova classe aristocratica, i diretti destinatari dell'opera; infatti egli auspica che possano svecchiare la politica ateniese. Egli infatti vorrebbe elaborare un modello sociale razionale e praticamente realizzabile. Il Libro II e III trattano la genesi della città ingiusta ed il metodo educativo per ricondurla alla condizione di giustizia. Genesi della polis. Nel pensiero greco antico la giustizia corrisponde all'ordine. La caratteristica della grecità è l'idea che essere giusti significhi essere virtuosi, ovvero essere felici. All'inizio Glaucone sembra appoggiare la posizione di Trasimaco poi chiede a Socrate cosa intenda per giustizia e in che modo la intenda come bene distinguendo 3 categorie di beni: 1- beni desiderabili per se indipendentemente dai vantaggi conseguiti; 2- beni desiderabili per sé ePer il vantaggio; 3 – beni faticosi e sgradevoli, ma desiderabili per il vantaggio. Per Trasimaco la giustizia è un bene che rientra nella 3 categoria; non è un valore in sé, ma uno strumento nelle mani del legislatore, egli scardina la realtà, smaschera le convinzioni del potere. Glaucone inizialmente lo appoggia.
Nel libro II Socrate non risponde alla domanda cos'è la giustizia, ma apre una disquisizione. Per Socrate è il 2 tipo di bene; non è imposto dagli altri, come sosteneva invece Trasimaco. Platone, rispetto a Socrate sposta l'attenzione alla dimensione universalistica e non individualistica.
Mentre Adimanto riprende la posizione di Cefalo: gli educatori educano ad essere giusti non come bene in sé, ma per convenienza e perché fa apparire in buona luce di fronte agli dei. Platone vorrebbe escludere tutti i poeti che hanno descritto la giustizia come convenienza (Omero, Esiodo..). Glaucone espone la propria teoria.
Di tipo conflittuale, similmente ad Hobbes: nello stato di natura gli uomini sono apolitici e tendono alla sopraffazione; vivono nella paura di morire. Arrivano ad un patto sociale reciproco di non commettere ingiustizie per convenienza. È l'esigenza di giustizia, la convenienza che porta gli uomini a stipulare un patto, a creare un ordine politico imposto dalle leggi: legittimo e giusto. La giustizia è un calcolo utilitaristico. Distinzione tra foro interno ed esterno, sopraffazione e moderazione. L'ingiustizia è prevaricazione, per evitare di subirla si reputa vantaggioso pattuire. La giustizia è una via di mezzo tra il potere sconfinato e il subire ogni cosa. Il modello a cui si rifà Glaucone per la sua teoria antropologica conflittuale è di tipo pleonektico, ovvero fondato sull'istinto originario alla sopraffazione. Socrate aveva spiegato che l'uomo sceglie sempre di fare il bene e se fa il male è solo per via di un errore."
intellettuale " , ossia compie il male convinto di fare il bene ; la giustizia infatti dà un senso di felicità e di benessere a chi la compie, secondo Socrate. Ma Glaucone è di ben altro parere e con il mito di Gige vuole proprio dimostrare l' opposto di quanto intendeva Socrate: si è giusti solo per timore di essere scoperti, spiega Glaucone ; non solo, ma chi è ingiusto conduce una vita molto più felice rispetto al giusto.“Gige era un pastore alle dipendenze del re di Lidia e per via di un nubifragio e una scossa tellurica la terra si squarciò producendo una voragine dove lui pascolava l' armento. A quella vista, pieno di stupore, Gige discese nella voragine e tra le tante meraviglie si imbatté in un cavallo bronzeo, cavo e provvisto di aperture. Vi si affacciò e vide giacervi dentro un cadavere di proporzioni sovrumane, senza nulla addosso, se non un anello d' oro alla mano. Gige glielo
sottolineare che il testo fornito contiene caratteri speciali come "ò" e "è", che rappresentano rispettivamente le lettere "ò" e "è" con l'accento grave. Per visualizzare correttamente questi caratteri, è necessario utilizzare gli appositi codici HTML. Ecco il testo formattato con i tag HTML:Concludendo, quale è il significato di questo mito? È importante per
comprendere quantosia essenziale la segretezza come elemento di potere. Supponiamo che ci siano due di questianelli portentosi e che uno finisca in mano ad un giusto e l' altro ad un ingiusto : in questocaso il giusto e l' ingiusto si comporterebbero allo stesso modo : nessuno sarebbe infatti cosìstolto da non toccare la roba d' altri con l' ausilio dell' anello , e tanto il giusto quanto l'ingiusto ruberebbero , ucciderebbero e si unirebbero con le donne altrui . Ma perchè ?Perchè in fondo nessuno in cuor suo considera un bene la giustizia , ma anzi ciascuno , dovecrede di poterlo fare , commette ingiustizia . Tutti quanti preferiamo l' ingiustizia allagiustizia , spiega Glaucone , e il mito di Gige ne é l' esempio lampante ; se c'é gente che noncommette ingiustizia non lo fa perchè ama la giustizia , ma perchè ha paura di esserescoperto ! Non solo , ma se avendo a disposizione l'
Anello di Gige uno non toccasse la roba altrui e perseguisse la giustizia passerebbe per idiota presso tutti quanti venissero a saperlo. Chi non è preso dal desiderio di sopraffazione non è normale. Tutti vorremmo essere onnipotenti.
Socrate, tuttavia, replicherà servendosi della maieutica e della suprema idea del Bene; tracciando poi la vita dell'uomo giusto e di quello ingiusto, pare evidente che è l'uomo giusto a vivere serenamente, appagato dalla giustizia stessa e dal fatto di avere l'animo in pace, mentre invece l'ingiusto prova un senso interiore che lo tormenta e non lo lascia vivere in pace, quasi come se sentisse la mancanza di giustizia.
Socrate imposta il suo discorso cambiando prospettiva, sostenendo che il modo migliore per esaminare l'uomo giusto sia vedere le cose più in grande: lo stato; Socrate mirerà a dimostrare l'opposto del sofista: per lui l'uomo ingiusto non è il più felice.
Socrate aveva già più volte affermato che la giustizia rende automaticamente felici: nel libro 10? della Repubblica Platone ci spiega attraverso un mito escatologico che la giustizia conduce alla felicità anche nel mondo ultraterreno. La giustizia va ricercata prima nel grande e poi nel piccolo. Socrate imposta così il suo discorso politico tratteggiando lo stato ideale, partendo da zero: uno stato nasce secondo lui da esigenze materiali e per soddisfare dei bisogni; gli uomini per natura sono portati alla convivenza, alla collaborazione, perché sono insufficienti a loro stessi per la soddisfazione dei molteplici bisogni; ciascuno di noi non è "autarchico". Ovunque ci sia l'uomo, si va costruendo una città SANA: naturale, immediata, innocente, priva di conflitti, intesa come dimensione pre-politica. Il passaggio dalla città SANA a MALATA, conflittuale, nonché del lusso avviene a causa del superamento del limite dei.Bisogni indispensabili. Attraverso il tentativo da parte degli uomini di soddisfare beni non necessari, così nasce la guerra. Ma questo non è il peggiore dei mali;