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CAP. 3 ATTI DI MEMORIA: TOPOLITICA E TELETECNOLOGIA
Derrida afferma che l'attuale questione della democrazia non è più legata al concetto di
cittadinanza, quindi di essere cittadino, dal momento che siamo dominati da tecnologie che
dislocano i luoghi: non esistono più frontiere, per cui il legame tra il politico e il locale (ciò che
Derrida chiama topolitico) è anch'esso in un certo senso dislocato. Il destinatario delle attuali
tecnologie dovrebbe essere, in teoria, qualcuno che abbia competenza dello strumento e che
ne assuma il controllo; in realtà, però, la maggior parte delle tecnologie è utilizzata da gente che
non è competente infatti, la maggior parte delle persone che guidano l'automobile, che usano il
telefono o che guardano la televisione, non sanno come funzionano. Per Derrida bisogna quindi
favorire e sviluppare non la mera interattività ma la capacità dei destinatari di trasformare a loro
volta il messaggio che ricevano, di capire com'è fatto, com'è prodotto. Deve pertanto esserci un
processo di riappropriazione da parte del destinatario di quello che gli giunge.
Secondo Derrida, inoltre, ci troviamo in uno stato di quasi analfabetismo rispetto all'immagine:
infatti, così come l'alfabetizzazione e la padronanza della lingua, sia scritta che parlata, non
sono mai state condivise universalmente (dal momento che c'è sempre stata gente che sapeva
leggere e gente che non sapeva leggere e tra quelli che sapevano leggere una grande diversità
di competenze, poteri ecc.), allo stesso modo oggi, in rapporto a quello che accade con
l'immagine, si può dire che i consumatori siano in uno stato analogo a queste diverse modalità
di analfabetismo. Nell'immagine, infatti, c'è sempre un montaggio di elementi discreti, cioè
distinguibili, anche quando si ha l'impressione che essa sia globale e indissociabile; tutte le
immagini, quindi, possono essere ricostruite, smontate e rimontate.
Derrida fa poi riferimento a un altro concetto, la politica della memoria, e a tal proposito fa ancora
una volta appello alla necessità di costruire degli archivi, a cui abbiano accesso tutti o almeno il
maggior numero possibile di persone. La politica della memoria, però, proprio perché politica,
implica l'intervento di uno Stato che deve legiferare e agire nei confronti della massa infinita di
materiali da archiviare. Dal momento che però non si può conservare tutto, si impongono
inevitabilmente delle scelte, quindi delle interpretazioni. In tal senso, la politica della memoria
sarebbe in definitiva un'istanza statale che, rappresentando maggiormente questa quella forza
della società civile, finirà col decidere ciò che lo Stato dovrà conservare, cioè finirà col
privilegiare materiali nazionali e pubblici. Queste scelte determinano però tutto una serie di
domande sul perché si è conservato quel materiale di una nazione piuttosto di un altro
proveniente da un paese o che cosa si conserverà della storia nazionale. Alla luce di questo,
secondo Derrida, è necessario che accanto a una politica della memoria ci sia una critica della
memoria da parte di chi si trova e ha la possibilità di accedere a questo passato o di utilizzare
l'archivio. Più in generale, bisogna risvegliare chiunque alla vigilanza rispetto alla politica della
memoria e sviluppare in ognuno una coscienza della selettività. C'è bisogno quindi di una cultura
e di un pensiero critico, di una politicizzazione che faccia emergere ciò che è depoliticizzato,
cioè nascosto rispetto al politico. Questa necessità di pensare il politico al di là del politico, il
democratico al di là della democrazia, ci viene peraltro imposta tutti giorni dalla tecnica, ad
esempio tutte le volte che accendiamo il televisore o utilizziamo il telefono. Quello che fa il mezzo
televisivo, infatti, è creare interferenze nella topolitica che sono molto pericolose e che l'ideologia
tenta di depotenziare. 4
La deterritorializzazione determina inoltre il passaggio dal concetto di "comunità politica" a quello
di "rete politica". La rete è un concetto differente da quello di comunità: basti pensare ad Internet,
dove si crea aggregazione libera formata da persone che non hanno niente in comune, che non
appartengono a una comunità, ma che fanno rete.
–
CAP. 4 DELLE EREDITA' E DEL RITMO
Per quanto riguarda la questione dell'eredità, Derrida afferma che ereditare non consiste nel
ricevere un bene o un capitale che è già e per sempre localizzato in un luogo, in una banca, in
una banca dati, d'immagini o di qualsiasi altra cosa. L'eredità, invece, implica la decisione, la
responsabilità e quindi la selezione critica, cioè la scelta. Il fatto di essere eredi, inoltre, non
significa essere passivi rispetto al passato: nel caso dell'eredità, c'è chiaramente un'ingiunzione
che viene dal passato ma questa ingiunzione passata ingiunge di rispondere, di scegliere nel
presente.
L'altra questione presa in esame da Derrida è quella del ritmo: a questo proposito egli fa
riferimento alla particolare esperienza di dover parlare davanti alle telecamere che produce nel
parlante una modificazione allo stesso tempo psicologica e affettiva. Infatti, non appena si dà il
via alla registrazione, viene messo in moto un processo che non ha più lo stesso ritmo, non si
svolge più nello stesso modo di quando si è soli o in altre situazioni. Per via della telecamera e
di qualsiasi altro artificio tecnico, quindi, cambia il rapporto con il ritmo, perciò non si parla o
pensa più nello stesso modo. Questa esperienza, in particolare, è soprattutto tipica dei cosiddetti
intellettuali, cioè di coloro che, per professione, scrivono, insegnano ecc.: solitamente, infatti,
quando queste persone si trovano davanti alle telecamere o a dei microfoni sono in un certo
senso inibite, bloccate nei loro pensieri, poiché non riescono a dimenticare l'artificio dello
scenario, soprattutto se non hanno né esperienza, né abitudine ad essere intervistate davanti
delle telecamere e a trovarsi quindi in situazioni, per così dire, innaturali. 5
CAP. 5 - L'"ECCEZIONE CULTURALE": GLI STATI DELLO STATO, L'EVENTO
Per quanto riguarda il concetto di "eccezione culturale", Derrida si dichiara aperto a due possibili
logiche in tal senso: da una parte la logica di coloro che auspicano la resistenza all'egemonia
industriale ad esempio di un certo cinema che impone dei modelli poveri, livellanti; dall'altra la
logica di quelli che si propongono di lottare, alleandosi con coloro che condividono queste idee
in altri paesi. Tra queste due logiche, però, va collocata secondo Derrida una questione
fondamentale: la negoziazione. È necessario cioè negoziare e a tal proposito Derrida cita come
esempio l'istituzione del Gatt che si pone lungo un lunghissimo processo internazionale. Ad
essere considerato un processo, per Derrida, è lo stesso Stato, in quanto forma d'autorità
incondizionata o di sovranità assoluta. Oggi, però, nella forma che lo lega alla nazione, lo Stato-
nazione rappresenta piuttosto degli interessi particolari che possono limitare o frenare un diritto
internazionale che a sua volta attraversa attualmente anche un profondo processo di
trasformazione. In tal senso questo diritto internazionale dovrà riconsiderare i concetti su cui
oggi è fondato, a cominciare da quello della sovranità dello Stato-nazione. Questa sovranità è
peraltro responsabile, a detta di Derrida, del fatto che molte istituzioni internazionali come l'Onu
siano oggi impotenti, incapaci di imporre il diritto; di conseguenza il diritto internazionale, in
realtà, non esiste o perlomeno non esiste effettivamente nella misura in cui dovrebbe esistere.
Per quanto riguarda invece lo sviluppo accelerato delle tecnologie, quindi del processo tecnico,
Derrida sottolinea che non si deve in ogni caso cancellare l'evento che di fatto rischia di essere
annullato dalla televisione, dai simulacri d'immagine, e dalla manipolazione dell'informazione.
Allo stesso tempo, è necessario preservare anche la singolarità dal rischio di dislocazione,
deterritorializzazione ed espropriazione che impone la tecnica. Il rischio, in tal senso, è peraltro
quello di una decomposizione o di una squalifica dello Stato, come sovranità legata al dominio
di un territorio. Anche se quest'esportazione può produrre effetto inverso (cioè l'illusione della
prossimità e dell'immediatezza), l'effetto dominante delle tecnologie è, al contrario, la negazione
del radicamento. Di fronte a questa espropriazione e delocalizzazione, così come alla
dissociazione del politico e del locale, la reazione diventa oggi quella di volersi isolare e chiudere
nel privato. In tal senso, la televisione ha ad esempio come effetto quello di introdurre nel privato,
a ogni istante, l'altrove, il mondiale; di conseguenza, la persona è sempre più isolata ma vi è
però l'intrusione dell'altro, dello straniero, del lontano. Quello che conta comunque, in definitiva,
per Derrida, è l'accelerazione del processo tecnologico a scapito della singolarità nazionale. Tra
questi due poli si deve trovare, attraverso la negoziazione, il modo di non frenare o limitare il
sapere, la tecnica, la scienza, cioè un modo per rendere possibile un'altra esperienza della
singolarità, quindi anche della lingua, che non si leghi al nazionalismo o al rapporto nazionalista
con la lingua. Derrida lega in tal senso questa esperienza della singolarità al discorso sulla
transazione, che consiste nel partire dalla propria eredità culturale e negoziarla con altre eredità
culturali. Quando si parla di eredità culturale, infatti, non si deve necessariamente pensare a
una chiusura, ma al contrario a un profondo essere invischiato della singolarità al concetto di
eredità. 6
–
CAP. 6 IL MERCATO DELL'ARCHIVIO: LA VERITA', LA TESTIMONIANZA, LA PROVA
L'eredità non è una condizione che consiste semplicemente nell'entrare in possesso di un bene
comune o di un potere tecnico. L'eredità passa sempre da una singolarità a un'altra, per cui
essa istituisce la nostra singolarità a partire da un altro che ci precede, e il cui passato resta
irriducibile. L'eredità inoltre non è solo un ordine che ricevo ma anche una ingiunzione di
responsabilità. In tal senso la questione dell'eredità culturale si lega