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LE VENTICINQUE PREMESSE:
“Le premesse delle quali c'è bisogno per stabilire l'esistenza di Dio e per dimostrare che Egli non è un corpo né
una potenza corporea, e che Egli è uno solo, sono venticinque, tutte dimostrate, e non c'è dubbio su alcuna di esse
(…) Un'ulteriore premessa gliela concediamo accettandola senza dimostrazione, perché con essa si possono
dimostrare le questioni che cerchiamo di risolvere (...) e questa premessa è l'eternità del mondo”.
Il filosofo parte dall'affermazione che è impossibile che vi sia una grandezza infinita, ossia che non esiste e non
può esistere in natura nessun corpo privo di un limite (proposizione n. 1): affermazione che trae naturalmente
spunto dal ragionamento svolto da Aristotele nel capitolo quarto del libro primo della Fisica, dove si sostiene
l'impossibilità logica dell'infinito in natura. Se dunque l'infinito non esiste a livello spaziale, non può esistere
neppure un numero infinito di grandezze (proposizione n. 2): esse infatti dovrebbero coesistere nello stesso tempo
e nello stesso spazio, occupando quindi uno spazio infinito, che secondo la dottrina aristotelica non esiste. Ma se,
in natura, non esiste non solo una grandezza infinita, ma anche un numero infinito di grandezze, è evidentemente
impossibile che possa esistere una catena infinita di cause, ossia un numero infinito di realtà concrete ciascuna
delle quali deve la propria esistenza a un'altra che l'ha causata (proposizione n. 3). Queste tre premesse pongono le
basi dell'impossibilità dell'infinito, mentre nelle successive sei si parla della natura del movimento fisico
(Categorie, Aristotele).
Un corpo naturale muta la sua sostanza quando nasce e quando muore (ossia, secondo la fisica aristotelica, quando
la
subisce la generazione e la corruzione); muta la sua quantità quando cresce e quando decresce; muta sua qualità
quando si altera, ossia subisce delle modifiche nella sua forma; infine, muta la sua posizione nello spazio quando
il
si muove (proposizione n. un movimento comporta un mutamento, con passaggio dallo stato di potenza allo
4);
stato di atto (proposizione n. I movimenti si dividono in quattro specie: sostanziali, accidentali, violenti e
5).
parziali. Il primo caso si ha quando un corpo muta radicalmente (e quindi sostanzialmente) la sua posizione,
spostandosi da un luogo a un altro; il secondo caso si ha quando a cambiare (ossia, a "muoversi") non è il corpo,
ma una delle sue caratteristiche (per esempio, il colore); il terzo caso si ha quando un oggetto, che di per sé
tenderebbe a procedere in una certa direzione, viene spinto nella direzione opposta, com'è nel caso di una pietra
lanciata per aria; il quarto caso si ha quando una totalità, muovendosi secondo un movimento sostanziale, muove
con sé anche tutte le sue parti (proposizione n. Mutamento, movimento e· divisibilità in parti sono dunque
6).
inevitabilmente connessi alla corporeità, e una cosa incorporea è al contrario sicuramente immutabile, immobile e
indivisibile (proposizione n. Se il movimento di un corpo naturale è un fatto puramente accidentale, ossia non è
7).
sempre presente in quel corpo, esso, come ha avuto un inizio, dovrà avere anche una fine (proposizione n. 8).
Inoltre il movimento si trasmette per natura da un corpo mosso a un altro corpo, procedendo "a catena"
(proposizione n. 9).
Le tre premesse successive precisano la natura del corpo materiale: ciò che sta in un corpo non possa che essere
divisibile: infatti, esso è una caratteristica del corpo, che si può ovviamente separare e distinguere, oppure una
forma del corpo stesso (proposizione n. 10) Maimonide nota comunque che, mentre alcune caratteristiche del
.
corpo si dividono quando il corpo stesso si divide, altre non subiscono questa divisione. In questo secondo gruppo,
il filosofo fa naturalmente rientrare l'anima e l'intelletto umano, della quale implicitamente afferma qui la
il il
sostanziale unicità, in linea con suo sforzo di mettere d'accordo pensiero aristotelico e la propria posizione
religiosa (proposizione n. . Comunque giacché il corpo è di per sé finito, qualunque potenza che lo pervade
11)
dç:ve essere anch'essa finita (proposizione n. 12).
Le proposizioni successive, dalla tredicesima alla diciassettesima, tornano ad affrontare la questione della natura
del movimento fisico riguardo l'anima umana.
è
Solo il movimento circolare dei cieli continuo (proposizione n. il movimento che comporta uno spostamento
13);
il
del corpo è primo dei movimenti (proposizione n. e l'esistenza stessa del tempo dipende da esso
14)
(proposizione n. inoltre se una cosa non ha una realtà fisica (ossia, un corpo), non può essere molteplice
15);
(proposizione n. Per concludere afferma che tutto ciò che si muove deve avere un motore, ossia qualcosa che
16).
lo muove ( come aveva affermato nella proposizione n. anche il corpo umano, muovendosi, deve avere un
9),
motore: l'anima (proposizione n. 17).
Le ultime premesse sono le premesse della necessarietà: tutto ciò che passa dalla potenza all'atto deve
avere qualcosa che lo porta a questo (proposizione n. tutto ciò che esiste perché ha una causa
necessariamente 18);
ha un'esistenza non giacché dipende da quella causa (proposizione n. al contrario, ciò che
possibile, necessaria, 19);
ha un'esistenza necessaria,giacché deve esistere, non ha alcun bisogno di avere una causa (proposizione n. 20).
Ora, un corpo composto deve avere una causa, che gli è necessaria per esistere, perché esso stesso non può
è
esistere di per sé (proposizione n. gli semmai necessario avere degli accidenti, ossia delle caratteristiche
21);
distintive particolari e non assolute (proposizione n. Tutto ciò che è stato in potenza può, di per sé, tornare a
22).
esserlo, cessando di esistere in atto, ossia in realtà (proposizione n. e questa sua possibilità di tornare in
23);
potenza è legata al fatto che esso è una realtà materiale (proposizione n. 24) Infatti, come scrive Maimonide nella
.
proposizione venticinquesima, che conclude la serie:
I princìpi della sostanza composta individuale sono la materia e la forma, e inevitabilmente c'è un agente, vale a dire un
il il
motore, che muove sostrato affinché sia predisposto a ricevere la forma: è motore prossimo, che predispone la materia di
un qualche individuo. Bisogna che da qui parta lo studio del movimento, del motore e della cosa mossa.
Ciò che bisogna spiegare a proposito di tutta questa questione è [quindi] ormai chiaro, e [d'altronde] Aristotele dice
testualmente: «La materia non muove sé stessa». Questa è la premessa più importante e che spinge a studiare l'esistenza del
Primo Motore.
I ragionamenti di base per arrivare a questa conclusione sono quattro: la
è
tutto ciò che si trova nel mondo di quaggiù oggetto di movimento, e catena di motori e cose mosse termina
1. il il
con cielo, che si muove di un movimento perpetuo e perfetto; ma ciò che muove cielo non può essere né un
corpo esterno ad esso, né qualcosa di interno al cielo stesso; deve quindi essere un ente esterno e incorporeo, che
Maimonide identifica con Dio;
2. la catena di cause ed effetti propria del movimento delle realtà naturali, secondo Aristotele, non potendo
procedere all'infinito, deve concludersi in un motore immobile, che sarebbe per l'appunto Dio;
3. il mondo ha un'esistenza solo possibile, perché può esistere, ma può anche non esistere; pertanto, esso deve
avere alla sua origine qualcosa che lo ha fatto esistere, e la cui esistenza è assolutamente necessaria; e questa
esistenza necessaria deve essere unica;
4. ogni cosa esistente, per poter esistere, è dovuta passare dalla potenza all'atto, e tale passaggio è avvenuto sulla
base della spinta datale da un'altra realtà che è già in atto e questo agente non può che essere Dio.
Il ruolo svolto dal cielo è quello di intermediario tra Dio e le sostanze del mondo di quaggiù, è quindi
fondamentale la sua conoscenza dal punto di vista fisico, prima di procedere all'esame della questione metafisica
sull'origine del mondo.
Giunge alla conclusione che l'esistenza stessa del cielo, sia che esso sia generabile e corruttibile, sia che esso sia
eterno (come sembrerebbe sostenere Aristotele), è una prova dell'esistenza di Dio, e che lo studio della natura e
della struttura del cielo così come sono intese dai filosofi, e in particolare da Aristotele e dai suoi seguaci, prova
senz'altro la sostanziale concordanza tra le dottrine di questi ultimi e quelle esposte nei libri della Bibbia.
Ai nove intelletti celesti l'aristotelismo medievale aggiungerebbe, secondo Maimonide, un decimo intelletto
sempre immateriale, l'intelletto agente, che dà la forma alle cose del mondo di quaggiù; e questi dieci intelletti
celesti, "separati" dalla materia, fungerebbero da intermediari tra Dio e il mondo: è dunque attraverso di essi, e
non direttamente, che, secondo il filosofo, Dio esercita la sua azione su quest'ultimo. La differenza sta nel fatto
che Aristotele li chiama intelletti separati e la Bibbia “angeli”.
La maggior difficoltà affrontata da Maimonide nel suo sforzo di conciliare la filosofia aristotelica e la religione
ebraica riguarda naturalmente la questione in cui esse più decisamente si scontrano: le origini del mondo. L'abilità
di Maimonide si rivela nel suo tentativo, svolto nei capp. 13-30 della parte seconda della Guida dei perplessi, di
dimostrare come esista una soluzione sostanzialmente intermedia tra le differenti interpretazioni offerte al
riguardo dall'una e dall'altra: grazie all'aiuto del neoplatonismo.
Aggiungo alle premesse elencate prima una premessa che comporta l'eternità del mondo, e che Aristotele pretende che sia corretta e
degna di essere creduta: noi gliela concediamo a mo' di supposizione, così da poter spiegare ciò che intendiamo spiegare.
Questa premessa, che è la ventiseiesima, dice che il tempo e il movimento sono eterni, permanenti, ed esistono sempre in atto; e per
questo consegue necessariamente a questa premessa, secondo Aristotele, che vi sia un corpo mosso di un :movimento eterno, che
il
esiste sempre in atto, la quintessenza. Per questo si dice che cielo non si genera e non si corrompe: perché il movimento, secondo
Aristotele, non si genera e non si corrompe. Infatti