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Posso far meglio? Interrogativi di un'etica quotidiana

1. Cosa voglio davvero?

Punto di partenza: l'utilità e l'inutilità non possono né crescere, né diminuire il valore di una scelta morale. L'utilità farà da incastonatura per renderne più agevole l'uso nelle faccende quotidiane, ma non per accrescerne il valore. Come dire che un'azione può conseguire una sua utilità per chi la compie, ma certamente questo profilo nulla ha a che vedere con il suo valore morale: l'azione morale non deve essere necessariamente inutile, ma certamente il suo valore è estraneo a ogni valutazione di utilità.

Kant descrive un processo mentale pressoché quotidiano: in questa idea del valore assoluto della volontà si annida il complesso rapporto tra quella che può essere definita una "volontà egoistica" e la scelta.

Partiamo dall'assunto iniziale e la scelta morale viene

compiuta per dovere. Cosa accade in realtà quando noi decidiamo di compiere un atto morale? In genere, noi pensiamo che quando compriamo un'azione per dovere, non la vogliamo: si fa perdovere, ciò che liberamente non si vorrebbe. Si stabilisce una sorta di opposizione tra volontà edoverosità. C'è dell'incoerenza in questa opinione: l'uomo in realtà, compie sempre e solo ciò che vuole, altrimenti sarebbe mosso ad agire da una forza esterna come un essere inanimato. Molti possono essere i motivi che operano sul formarsi della volontà, ma l'atto di volontà, e solo se stesso e quindi libero. Qui si realizza la congiunzione tra libertà e volontà. La volontà contiene due aspetti, i quali il primo è quello di autodeterminarsi (io voglio perché voglio), il secondo è quello di determinare il suo oggetto esterno (io voglio questa cosa). Kant dice: una volta stabilito cheesattamente cosa sto sottraendo ad un altro? La ragione sembra giocare un ruolo fondamentale nelladeterminazione della volontà. La ragione ci permette di valutare le conseguenze delle nostre azioni e dicapire se ciò che vogliamo è veramente ciò di cui abbiamo bisogno. La ragione ci aiuta a prendere decisioniconsapevoli e a evitare di agire impulsivamente. Tuttavia, la volontà non è completamente determinata daragione. Ci sono situazioni in cui la volontà può essere influenzata da emozioni, desideri irrazionali o fattoripersonali. La volontà è un processo complesso che coinvolge sia la ragione che altri fattori. In conclusione,la relazione tra ragione e volontà è complessa e varia da persona a persona.cosa posso rappresentare per i tanti e diversi altri? Da seguire il proprio soddisfacimento ad esclusione di altri apre la questione etica del valore "universale" della decisione. Se l'elemento di universalizzazione fosse nel semplice affermare "voglio A, perché lo voglio", ciò che sarebbe universalizzabile è la pura possibilità del volere. Questa però è un'ipotesi razionale logicamente contraddittoria, poiché se ognuno di noi si dicesse "voglio A" (condizione di universalizzazione), si rovescerebbe nella contestuale impossibilità di qualcun altro di non poterlo affermare! Quindi il processo di universalizzazione non può prescindere da una dimensione relazionale, che ha una origine cognitiva e non volontaristica. Ciò che è in questione non è l'"oggetto" (pezzo di materia), ma è la qualificazione proveniente dal sistema di relazioni che i soggetti chesono attorno a "quel" determinato pezzo di materia, e dal grado di conoscenza di ogni soggetto che possiede. In altre parole, quando io affermo: "voglio A", sono determinato a farlo perché influenzato da un "qualcosa", che io parlo solo come immediatamente conveniente, "oppure" la mia ragione ha già fatto un'operazione diversa, che potremmo definire di purificazione critica. Ha operato una sorta di presa di distanza dall'utilità esclusivamente personale per giungere ad una diversa valutazione, nella quale gli elementi "egoistici" si confrontano con i valori "relazionali", provenienti dal sistema nel quale io e qualcosa siamo razionalmente immersi. Nessuno di noi compie ciò che non vuole; la libertà coincide con la agire come si vuole. E la sua formazione sul versante cognitivo che può orientarla in modo diverso, senza mai tuttavia, limitarla strutturalmente. In altre parole, ogni il punto è: in base a quali operazioni mentali fa ciò che vuole. Kant dice con grande chiarezza della ragione non è capace, quanto l'istinto, nell'opera di guida della volontà; come dire che per "guidare" la volontà, basta l'istinto, che appartiene ad ogni animale. La funzione umana della ragione, come facoltà pratica, non si limita a pensare, ma pensa per agire, senza tuttavia essere "guida" diretta della volontà. Occorre chiarire l'equivoco nell'alternativa libertà assoluta/libertà relativa. Quell'alternativa nasceva così:
  1. esiste, come dato originario, la volontà in sé e per sé;
  2. l'uomo si apre alla conoscenza del mondo;
  3. 1 "vuole" senza tenere conto = volontà assolutamente libera;
  4. 2 "vuole" facendo le proprie pretese, in quanto tiene conto anche degli altri e delle

Il punto è il seguente: conoscere e volere non sono sullo stesso piano, è vero, ed è altrettanto vero che sono attività umane originarie, non derivate l’una dall'altra; la conoscenza non ha per suo presupposto la volontà, né la volontà deriva dalla conoscenza. Tuttavia, queste due attività sono tra loro collegate dalla "critica". Se immaginiamo l'attività cognitiva e quella volontaristica come due piloni, lo spazio che li separa è coperto dal "ponte" della critica. Il concetto di "volontà", che include quello di libertà, ha di fronte a sé il binomio necessario/possibile. La volontà opera esclusivamente nell'ambito logico del possibile: ciò che accade necessariamente non può essere, logicamente voluto. Ogni atto di volontà include necessariamente ed implicitamente delle

esclusioni; ogni atto di volontà si forma attraverso operazioni a carattere selettivo motivante dalla conoscenza dei contenuti del possibile. Non è la volontà a non essere piena; è l'io che non è infinito ed assoluto; l'uomo nasce totalmente libero, ma finito. La libertà dell'uomo è totale, ma finita: essa nasce, pur nella sua pienezza e totalità, con il peso del mondo.

Torniamo al "ponte" tra ragione e volontà. La vera destinazione della ragione sta nella dimensione "cognitiva" che è sottesa al formarsi della volontà. La ragione pura pensa il "bene", e questo pensiero vale "praticamente come "volontà buona". L'azione è sempre liberamente voluta, ma non sempre è "buona": è la volontà di dover essere "buona".

Il conflitto tra libertà e dovere: apparentemente l'uomo può

sacrificare la sua volontà è un dovere che la ragione suggerisce o prospetta; ma non è così. All'interno del ragionamento kantiano infatti, non vi è alcuna opposizione da agire per dovere e atto libero di volontà, poiché l'atto dovuto è sempre un atto liberamente voluto. Il bere, quando viene compiuto, il contenuto della volontà. La volontà, nella sua libertà, vuole il dovere. Anche l'osservanza della norma giuridica è un atto liberamente voluto dal soggetto: solo se voglio, osservo la norma; se non voglio, la violo. L'arrivo di un specifico contenuto predeterminato, il dovere ha una connotazione solo formale e come tale è universalizzabile. 2. Soggettività e processo di universalizzazione. Il rapporto tra libertà e dovere è il punto nel quale assume misura umana il processo di universalizzazione dell'azione: il rapporto tra l'io, che decide di agire.

in un dato modo, e il significato (oltre che le conseguenze) della mia azione per gli altri nel mondo. "Massima è il principio soggettivo del volere, il principio oggettivo e la legge pratica". La "massima soggettiva, e è l'interesse del soggetto a compiere una determinata azione, dopo aver operato quell'operazione di selezione." I principi pratici sono proposizioni che contengono una determinazione universale della volontà.

Tuttavia il testo tedesco (in questo passaggio della critica della ragion pura) è più omogeneo al contenuto semantico della relativa traduzione italiana: principi (fa riferimento alla dimensione temporale, ciò che sta all'inizio di ogni tempo e ogni percorso, ciò che essendo prima è al di fuori di ogni confine spazio-temporale; è universale); "Grundsätze" è una fusione tra "Satz" (proposizione) e "Grund" (poggiare su qualcosa).

. Dunque la traduzione letterale potrebbe essere la seguente: "Le proposizioni fondamentali sono proposizioni che contengono..."; la conseguenza nasce dalla differenza tra "proposizione fondamentale" e "principio". Il "principio" apre una prospettiva immediatamente ontologica, che si riempie di contenuti verbali empirici. Senonché la terminologia kantiana ruota attorno al termine "Satz" (proposizione) che indica la dimensione empirica dell'espressività umana. Kant rimane ben consapevole che il processo di universalizzazione aviene attraverso strumenti umani. La conclusione è che il metafisico non può esistere per l'uomo che attraverso le proposizioni che ne parlano e quindi esso non può concedere mai con i contenuti empirici che quelle proposizioni veicolano. Se il metafisico, infatti, si manifesta all'uomo attraverso un sistema di "proposizioni generali",.lloranessun contenuto può essere definitivo. Kant è il filosofo delle domande e non delle risposte! La definizione prosegue così: essi (i principi) sono soggettivi, ossia massime, se la
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A.A. 2012-2013
23 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Catania o del prof Montanari Bruno.