Filosofia del diritto - la governace
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"GOVERNANCE" di A. ANDRONICO
1) UNA PAROLA SENZA SENSO
"Governance" è una parola senza senso, o meglio, è un concetto il cui senso risiede proprio
nel non averne uno, come nell'oggetto di cui parla Kafka nel suo "Il cruccio del padre di
famiglia". Egli afferma che tale oggetto si può trovare nei solai, nelle scale o nei corridoi, è
fatto di legno, è capace di ridere, parlare e rispondere, emette dei suoni simili a quelli
prodotti dalla caduta delle foglie, si chiama Odradek, non ha fissa dimora, non ha meta, non
nuoce, non svolge alcuna attività e ruzzola per le scale e continuerà a farlo anche quando il
padre di famiglia non ci sarà più, tra i piedi dei suoi figli ed i figli dei suoi figli. Insomma:
l'Odradek c'è, questo è tutto ciò che si può dire; non vi è un concetto valido ad esprimerlo,
ma l'oggetto in questione esiste.
La "governance" è così: c'è, se ne parla, ma non si sa bene cos'è; da quasi fastidio, un
fastidio che, come nel caso dell'Odradek, continuerà a ruzzolare tra i piedi dei nostri figli e
dei figli dei nostri figli.
2) PER UNA PEDAGOGIA DEL CONCETTO
I problemi filosofici derivano spesso da problemi di linguaggio e ciò dipende dai nostri
concetti: questi ci servono per ordinare il mondo, per capire ciò che ci circonda, come se
fossero dei cassetti di cui il pensiero si serve per mettere le cose al loro posto, infatti,
etimologicamente parlando, il termine deriva da "cum capere" che significa "prendere
insieme", "afferrare", "raccogliere". Ciò da spazio ad una riflessione critica, ma questi
cassetti hanno una vita, nascono e muoiono, e, quindi, a volte, si trasformano. Un esempuio
può essere l'uso della parola democrazia: quando si parla di democrazia greca o moderna,
sempre di democrazia si tratta, la parola è sempre la stessa, ma di due differenti tipi di
democrazia perchè il concetto cambia, in conseguenza del mutare del contesto, dell'ordine e
del problema.
Deleuze e Guattari, analizzando la questione, sostennere che ogni concetto rinvia ad altri
concetti che si riferiscono ad un dato problema e che quindi hanno una propria storia.
Quindi:
- non esistono concetti semplici, in quanto ogni concetto è composto, a sua volta, da altri
concetti.
- ogni concetto rinvia ad un dato problema, nel senso che nasce in relazione ad un problema
da risolvere.
- ogni concetto ha, perciò, una sua storia e, quindi, un suo divenire.
Quello di "governance" rischia di divenire un concetto paradossale, cioè un concetto senza
concetto, che tende a mostrare la complessità del mondo: si cerca di capire, quindi, come sia
possibile governare la complessità. Da qui il tentativo di elaborare un nuovo stile di governo,
distinto da quello tradizionale e caratterizzato da un maggiore grado di cooperazione tra i
soggetti pubblici e quelli privati. Si tratta, perciò, non solo di un nuovo stile di governo, ma di
un vero e proprio nuovo concetto di governo.
3) PIANI DI IMMANENZA
Secondo Schmitt, per uscire definitivamente, nel XVI secolo, dalle guerre di religione, era
necessario inventare lo Stato come macchina artificiale e neutrale capace di garantire
l'ordine sociale, utilizzando anche delle dinamiche di sviluppo commerciale e dei mercati. Non
si tratta, attenzione, di un passaggio lineare da un centro di riferimento ad un altro, ma di
una coesistenza pluralistica di diversi processi che tendono ad ordinare il mondo in maniera
differente. Per usare, ancora una volta, le perole di Deleuze e Guattari, si tratta
semplicemente di diversi piani di immanenza, cioè di diverse immagini del pensiero.
Quando si pensa al nostro presente, la prima cosa che viene in mente è la predominanza del
piano economico, infatti, ormai, il vero teatro delle decisioni sono le stanze delle grandi
imprese multinazionali. La politica è divenuta, ormai, un "siparietto di quinta", che deve solo
applicare fedelmente i comandi del capitale finanziario, cercando anche di renderli
accettabili parlando di diritti e di democrazia. Quindi, come affermava Marx, i governi non
solo altro che dei comitati d'affari delle grandi potenze economiche.
La nostra realtà sociale rischia di non essere semplicemente complicata, bensì complessa,
ossia irriducibile ad un'unica narrazione; viviamo in una relatà in cui i differenti elementi,
cioè quello politico, economico o religioso, sono inseparabili ed interdipendenti sia tra loro
che rispetto al tutto.
Foucault, infatti, riteneva il potere presente dappertutto ed, allo stesso tempo, in nessun
luogo, quindi riteneva fosse un errore considerare gerarchicamente organizzati il piano
economico rispetto a quello politico, come se il primo potesse comandare il secondo.
Questi due apsetti, riprendendo la teoria di Luhmann, sono da prendere in considerazione
dal punto di vista della interpenetrazione: l'economico non è semplicemente altro dal
politoco, così come il politico non è semplicemente altro dall'economico, tra i due, cioè, è in
atto una contaminazione reciproca che fa sì che la logica dell'uno influenzi continuamente
quella dell'altro e viceversa. E' dunque vano chiedersi quale dei due sistemi comandi l'altro.
4) UNITA' E MOLTEPLICITA'
Pascal sostenva che è impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto e viceversa e
ciò è applicabile anche sul problema prima riportato. Allo stesso modo, Morin sosteneva che
le unità complesse, come l'uomo e la società, sono strutturalmente multidimensionali, infatti,
l'uomo è contemporaneamente psichico, sociale, affettivo, razionale e biologico, così come la
società comprende contemporaneamente dimensioni storiche, culturali, politiche, economiche
e religiose. Ciò è stato notevolmente agevolato dal processo di globalizzazione, un fenomeno
principalmente conomico che ha, però, poi portato all'avvio di processi tecnologici, ad
esempio, che hanno progressivamente annullato le distanze tra attori sociali o eventi e,
conseguentemente, aumentato il livello di complessità sociale. Infatti, come evidenzia Morin
stesso, "complesso" deriva da "complexus" che significa "ciò che è tessuto insieme", perciò è
un concetto che si riferisce ad un legame tra i differenti elementi della totalità, che li
rende inseparabili tra loro, e, quindi, ad un legame tra unità e molteplicità.
E' importante, quindi, capire come questi due fattori, unicità e molteplicità, appunto, siano
tenuti insieme. Come si è detto prima per il piano economico e quello politico, anche in questo
caso l'unità non è semplicemente altro rispetto alla molteplicità, così come la molteplicità
non è semplicemente altro rispetto all'unità: anche qui, i due elementi vengono
continuamente contaminati reciprocamente.
Ve ne sono tante altre dicotomie di cui si serve il nostro pensiero per ordinare la realtà:
soggetto - oggetto, sostanza - forma, identità - differenza, essenza - apparenza, validità -
effettività, legalità - legittimità, produzione - applicazione, o ancora mezzi - fini.
Quest'ultima è importante se si prende in considerazione l'età della tecnica che interessa
particolarmente il nostro presente.
5) LA TECNICA CAPOVOLTA
Viviamo, quindi, nell'età della tecnica, intendendo per quest'ultima, usando termini di
Severino, non più un insieme di strumenti che l'uomo utilizza per soddisfare i propri bisogni,
ma un vero e proprio apparato che trova in sè stesso il suo fine ed il suo destino, cioè la
conservazione e la perpetuazione indefinita del suo stesso funzionamento; i mezzi quindi
sono sempre più autonomi rispetto ai mezzi da cui prima dipendevano.
Lo aveva già intuito Hegel, affermando che l'aratro è più nobile dei godimenti che esso
procura, intendendo con ciò che lo strumento si conserva a differenza dei godimenti che si
consumano.
Come in Marx, quindi, la logica della produzione sostituisce quella della fruizione, attraverso
la sostituzione del valore di scambio con il valore d'uso; il denaro, perciò, da mezzo per
produrre beni, diventa fine in vista del quale i beni stessi vengono prodotti. Tutto ciò,
parlando dell'avvento del capitalismo in generale, si rispecchia nel fatto che lo scopo non è
più il profitto, quanto piuttosto l'innovazione tecnologica che lo rende possibile. Fino agli
anni '70 si pensava ancora che le imprese fossero una funzione della produzione, cioè che il
loro fine fosse quello di produrre e mettere sul mercato una serie determinata di beni con
l'obiettivo di massimizzare il profitto. Le imprese erano una sorta di piccoli Stati nel senso
che avevano un loro popolo, i dipendenti, un territorio, quelli recentati degli stabilimenti, ed
un sovrano, il proprietario. Le imprese stesse, però, si trovarono sempre più di fronte alla
scelta tra la produzione interna o la compera esterna, possibile appaltando ad altre imprese
singole fasi della produzione; divennero, così, unità complesse, sempre più simili alle reti,
piuttosto che alle piramidi, mutando anche il fine dell'intera produzione che diventa quello di
stipulare e garantire contratti. Così il territorio perde sempre più la sua importanza, a causa
del processo di delocalizzazione delle fasi di produzione, e si ha una sempre maggiore
dissociazione tra proprietà e management.
Williamson, per questi motivi, considerava le imprese vere e proprie strutture di governo, il
cui fine non è più da individuare nell'ottimizzazione del profitto, quanto piuttosto
nell'ottimizzazione dei costi legati alle stipule ed alla gestione dei vari contratti. Le imprese
diventano, quindi, strutture di "governance" e, ancora una volta, i mezzi diventano fini, come
conseguenza della decentralizzazione, deterritorializzazione e deverticalizzazione: il potere
non si esercita più dall'alto, dalla cabina di comando.
6) DALLA SALUTE AL FITNESS
Lenoble e de Munck, in un loro saggio dedicato alla trasformazione dell'arte del governo,
sostennero che non si doveva parlare di una crisi che aveva investito i modelli istituzionali
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Catania - Unict o del prof Montanari Bruno.
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