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CULTURA
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Una volta convertito, Vladimir placò la propria sete di conquista, e si adoperò
affinché arrivassero la scrittura ed i testi sacri dai monaci bulgari. Poiché
l’antico bulgaro è simile all’antico russo, i testi non venivano tradotti, ma
ricopiati o meglio trapiantati, ed è così dunque che si parla di prima
influenza slavo-meridionale (pervoe udzinnoslavjanskoe vlijanie). Si
parla di redazione russa perché, non essendo due lingue esattamente
corrispondenti, i copisti erano soggetti ad errori. Uno dei più frequenti era
dovuto al fatto che in russo era già in atto la metatesi delle liquide:
gard’ (antico bulgaro) veniva ricopiato come grad nel russo di Kiev. (attuale
gorod)
Lo slavo diventa anche la lingua dei testi scritti profani; lo slavo comune entra
nei testi privati e burocratici, la cosiddetta Pismenost’. La letteratura
dell’antica Rus’, intesa come Knijdzevnost’, si ferma all’ambito religioso; vi
erano solo traduttori e copisti, essere autori di opere religiose portava
facilmente all’accusa di eresia per aver stravolto i testi sacri.
Inizia a crearsi così una diglossia (contemporanea presenza di due lingue,
delle quali una è usata in ambito formale – lo staroslavo – e l’altra in ambito
informale – lo slavo comune).
Il più antico documento della Rus’ keviana è rappresentato dai Vangeli di
Ostromir (Остромирово Евангелие), risalenti al 1057. Essi sono dei passi
evangelici copiati dal diacono Grigorij per ordine del podestà di Novgorod,
Ostromir. L’elemento interessante di tale opera è che, a lato del testo ricopiato,
Grigorij prendeva appunti sulle faccende quotidiane e private in lingua slava
comune, di cui conosciamo molti elementi grazie soprattutto a queste
annotazioni laterali ad opera degli amanuensi.
Abbiamo anche il resoconto del battesimo di Olga, redatto da Costantino
Porfirogenito, imperatore di Costantinopoli dell’epoca. Costantino è famoso
soprattutto per una serie di consigli al figlio sulla corretta amministrazione
imperiale, il De Administrando Imperio.
SECONDO PERIODO DELLA RUS’ KEVIANA (1019 - 1125)
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La scelta di Vladimir di diventare ortodosso non andò giù ai cattolici (e
vicini) polacchi, ed ebbe qui origine una storica rivalità, basti pensare che i
Russi raffiguravano il Diavolo con vestiti polacchi.
Nel 1019 prese il potere il figlio di Vladimir, Jaroslav il saggio, sovrano
molto importante per l’impulso dato alla cultura ed alla religione. Iniziò a
compiere delle azioni per rivendicare Kiev indipendente religiosamente da
Bisanzio: fondò una propria scuola traduttoria, grazie a cui i Russi poterono
attingere direttamente alle fonti greche, autorizzò la costruzione della
chiesa di S. Sofia senza l’ ok bizantino e, in altrettanto modo, elesse il
metropolita Ilarion che non venne riconosciuto dalla Chiesa di
Costantinopoli in quanto tale autorità poteva essere solo greca o bulgara.
Ilarion era un monaco russo del monte Athos, che passò alla storia anche
come autore di due testi religiosi, una “confessione della fede” e
soprattutto il “discorso sulla legge e sulla grazia”, che è il discorso di
insediamento a metropolita di Kiev. Esso è diviso in 3 parti:
1) elogio della cultura
2) apologia di Vladimir (illuminato dalla grazia divina, quindi non convertito
da Bisanzio)
3) appello all’unità della Rus’.
Vi è un importante aneddoto riguardante l’insediamento al trono di Jaroslav;
all’inizio il padre Vladimir aveva ordinato che il regno, alla sua morte, fosse
diviso tra Jaroslav ed i tre fratelli, Svjatopolk, Boris e Gleb. Secondo la
tradizione, Svjatopolk non accettò la suddivisione e mandò dei sicari per
eliminare i fratelli ed unificare il regno. Boris e Gleb passarono alla storia
perché, pur sapendo che il fratello li avrebbe voluti morti, non hanno fatto
nessuna resistenza per non violare l’etica cristiana. Solo l’arrivo di Jaroslav
impedì al fratello di essere imperatore della Rus’. Furono tra i primissimi
santi russi e la loro figura è molto radicata nelle tradizioni popolari, basti
pensare che diedero origine a due filoni culturali:
1) i “sopportatori della passione”, storie di sangue familiare, come
Pietro o Stalin che si sbarazzarono dei figli.
2)gli “uroviri”, personaggi buonissimi e candidi (come “l’idiota” di
Dostoevskij).
L’inizio del decadimento kieviano coincide con il regno del nipote di Jaroslav,
Vladimir Monomac (1113 – 1125). Egli compose il Poucenie
(“Insegnamento”), che rappresenta una delle prime fonti in slavo della storia
della Rus’. E’ un trattato diviso in tre parti:
1° parte: nozioni sulle qualità del principe ideale ed invettive contro i
Bogomili e la loro visione dualistica. Vi sono tracce di stilemi bizantini,
bulgari ma anche anglosassoni (probabilmente perché la prima moglie di
Monomac aveva origini inglesi)
2° parte: autobiografia celebrativa, in cui Monomac racconta l’ uccisione di
un orso, cento tori e molti nemici. Vi è una netta contrapposizione tematica
con la prima parte, dove si pronunciava addirittura contrario alla pena di
morte.
3°parte: racconto dell’ uccisione del fratello e rapimento della nuora.
Fondazione della città di Vladimir.
Il regno di Monomac durò solo 12 anni, in cui, come detto, cominciò la
decadenza di Kiev. Tale città, considerata un vecchio centro di potere, venne
delegittimata dal nipote Andrej Bogoljubskij (detto Il pio), nel 1169, con
conseguente spostamento della capitale proprio a Vladimir. Ad Andrej,
talmente dispotico ed odiato da esser morto per congiura, si deve la nascita
della Rus’ moscovita.
I MONGOLI
I motivi della disintegrazione del principato kieviano sono
fondamentalmente due, e strettamente connessi fra loro: la forte rivalità tra
i principi, che sfociava spesso nella contesa territoriale, e l’arrivo di una
popolazione orientale che non si seppe fronteggiare: i mongoli. Essi (detti
anche tatari o tartari) provenivano dall’ Orda d’oro, un regno collocato
nella Russia asiatica, ed erano di etnia turco-mongola. Dopo un primo
tentativo di conquista andato a vuoto,nel 1240 i tatari invasero Kiev e tutte
le città russe ad eccezione di Novgorod,che accettò la sottomissione senza
combattere. La Rutenia non venne annessa direttamente all’Orda, venne
assoggettata tramite il pagamento di forti tributi e l’instaurazione di principi
fantocci, controllati dal Khan.
Nella visione popolare russa, tale popolazione era vista come un castigo di
Dio per l’incapacità dei principi della Rus’ di far fronte comune. Nascono i
racconti di guerra, come il racconto su Mercurij di Smolensk, una
leggenda secondo cui la città di Smolensk venne salvata perché tale
Mercurij continuò a combattere senza testa, spaventando i Tartari.
Secondo Puskin, in Russia non è rimasta traccia culturale della dominazione
tatara, poiché essi non avevano una scrittura e si convertirono all’ Islam. Ma
l’etimologia e la toponomastica smentiscono in parte il poeta. La bol’shaja
ordinskaja , “grande (strada) per l’ orda d’oro”, è quella che collega Mosca
con il sud della Russia, mentre un famoso quartiere moscovita è l’ Arbat,
rinomato storicamente per essere abitato da letterati e artisti, ma un tempo
importante via commerciale (arbat = carro di buoi). I vocaboli russi con
origine tatara sono in gran parte nella sfera economica; i denghi (soldi)
erano quelli che gli esattori mongoli, i Baskaki, richiedevano alla
popolazione. E’ così anche per “rublo”, derivato dal verbo rublit’, “spezzare
in due”, poiché le monete erano ottenute dividendo le barre d’argento.
Stessa radice tatara anche per sunduk (forziere) e barush (guadagno).
Altre parole appartengono al vestiario (kolbak, colbacco) ed ai collegamenti
territoriali (jam, stazione di posta).
NOVGOROD E ALEKSANDR NEVSKIJ
Mentre ad est vi era la minaccia tatara, a cui i russi si erano sottomessi, ad
ovest incombevano degli ordini monastici militari che, di ritorno dalle
crociate, si erano stabiliti sul Baltico. Come degni prosecutori della
tradizione clericale germanica, anch’essi volevano cristianizzare gli slavi per
poi soggiogarli. Il primo a provarci fu l’ordine svedese (1240), che attaccò
Novgorod; il principe della città, il leggendario Aleksandr Nevskij, riuscì a
scacciarli. Ma la troppa fama acquisita dopo tale impresa portò il principe a
dimettersi dal suo incarico; questo perché vi era il rischio che, in un eccesso
di entusiasmo, Novgorod si volesse ribellare anche ai padroni Tatari. Nevskij
sapeva benissimo che fronteggiare un tale esercito sarebbe stata una
condanna, e tramite la sua decisione acconsentì tacitamente che si
continuasse a pagare il tributo ad un padrone che lasciava spazi di
autogestione, piuttosto che farsi assoggettare ad un ordine cavalleresco o,
peggio, subire la furia mongola. Ma dopo solo due anni, 1242, a riprovarci è
il temibile ordine teutonico. La leggenda narra che, nonostante le
“dimissioni”, la popolazione di Novgorod decise di affidare la guida del
proprio esercito ancora a Nevskij, che al momento di ricevere la notizia si
trovava a pescare sul fiume Neva (da cui l’appellativo Nevskij). I Russi
accerchiarono i teutonici sul ghiacciato lago Peipus, il cui strato di ghiaccio
cedette facendo affondare gli invasori. Vennero delineati i confini orientali
della Germania, che si mantengono tutt’ora, e Nevskij venne proclamato
santo.
LA RUS’ MOSCOVITA
Mosca balza all’onore delle cronache storiche con Ivan I di Russia. Egli era un
principe che era riuscito a convincere i mongoli di essere la persona adatta alla
riscossione delle tasse in Moscovia (è detto anche Ivan Kalita, “borsellino”).
Tramite questo escamotage, riuscì ad arricchirsi illegalmente, e ad acquistare
terreni sempre più vasti. Inoltre convinse il Khan a farsi accordare il diritto alla
successione nel ruolo di principe moscovita; la combinazione di queste due
cose contribuì a fare di Ivan I il capostipite della casa regnante moscovita.
Ad inizio del 1200 l’impero tataro entrò in crisi, a causa di frammentazioni
interne, e venne diviso in 3 Khanati (Kazan, Crimea e Volga). Si rovesciò la
situazione di partenza: adesso sono i principi della Rus’, sotto il dominio ad
essere coesi contro un nemico diviso; essi