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Il confronto tra le lingue delle due opere risulta pertinente solo tra zone testuali corrispondenti,cioè
all’interno del registro epico-decorativo (oltre il prologo d cui si è sottolineata l’analogia) presente in
ambedue.
Capitolo 5-Le versioni storiche del Milione in Italia. La versione toscana
Se la diffusione del libro di Marco in Francia si concentra esclusivamente nella redazione in francese
‘corretto’,destinata alla classe nobile e corredata da un apparato di miniature,in Italia,in particolare tra
Toscana e Veneto,si ha una diffusione nel diversi volgari parlati nella penisola,orientata anche socialmente.
Il già ampio ventaglio di destinatari previsto nel proemio addirittura si allarga nella ricezione italiana,con il
passaggio dal volgare al latino. L’ordine Domenicano si affretta ad affidare ad uno dei suoi
appartenenti,frate Pipino,la traduzione in latino del Milione (da un testo veneto e non francese). La
relazione di viaggio viene rielaborata e compattata ad usum del nuovo destinatario,rappresentato dalla
società litterata del clero,delle università e del mondo scientifico. In questa forma e in questa lingua la
relazione poliana conoscerà la diffusione più ampia in assoluto.
La ricezione a Venezia dovette essere abbastanza precoce ma l’onore della stampa venne dato ad una
redazione deteriore in volgare,deturpata all’inizio da una grossolana contaminazione con un passo di
Odorico da Pordenone. Il che ci fa capire che per la redazione veneziana fu sostanziale l’opera di pulizia di
Ramusio: il Marco Polo di Venezia,bisogna riconoscere,è di fatti quello ramusiano.
Dalla regione di provenienza di Rustichello ci è giunta la ben più nota versione trecentesca toscana (datata
1309),che è senza dubbio la più rappresentativa della ricezione italiana dell’opera di Marco Polo sotto molti
aspetti. Aggiungo che a differenza della versione veneta,la versione toscana è stata data alle stampe già nel
1827. E’ su questo testo che si basa la conoscenza che gli italiani hanno avuto della relazione di viaggio di
Marco,che ha suggestionato perfino Ariosto nell’Orlando furioso o ancora Calvino ne Le città invisibili.
Alla versione toscana si deve la fissazione di quel nuovo titolo,Milione,corrente in Italia e ancora non del
tutto spiegato: se in origine Milion era un soprannome (forse derivato da una forma aferetica di Emilione)
del ramo della famiglia Polo cui apparteneva anche Marco,alla sua fortuna come titolo ha contribuito il
riverbero delle favolose ricchezze che il testo ostenta. Anche nella versione toscana si registra una notevole
riduzione del volume testuale,fenomeno di perdita che caratterizza tutta la trasmissione del testo nella
relazione poliana. Tuttavia è nella relazione toscana che il Milione si avvicina di più al genere della
mercatura,anche se ovviamente non è riconducibile solo a questo,restando sempre una descrizione del
mondo orientale. L’anonimo traduttore non ha sacrificato infatti la parte geoetnografica relativa al regno
dei Tartari; molto ridotto è il fraseggio romanzesco rustichelliano e il discorso diretto.
La responsabilità della promozione della versione toscana è da ascrivere all’Accademia della Crusca,fondata
nel 1583,che ne riconobbe l’autorità di testo di lingua,inserendola nella Tavola dei citati del Grande
Vocabolario della lingua italiana. Questa consacrazione accademica,ottenuta in prima istanza su
motivazioni puramente linguistiche,cioè per la sua colorazione dialettale fiorentina,ha tuttavia dato
prestigio ad una versione della relazione poliana che,che se non può definirsi ottima,risulta sostanziosa e
concreta. Paradossalmente proprio in Toscana,dove Rustichello era nato,vengono rimossi i drappeggi dello
stile romanzesco con cui questi aveva adornato le conoscenze di Marco. Il risultato è un testo in un certo
modo più moderno,rispondente alle esigenze di un ambiente mercantile in piena espansione.
Capitolo 6-Nuovi studi su Marco Polo e Rustichello da Pisa
Nuovi studi congeniali ad una migliore comprensione del libro di Marco e Rustichello,si sono orientati verso
l’opera autonoma di Rustichello,quella sua compilazione romanzesca arturiana in francese che precede la
sua collaborazione alla redazione poliana. Questo romanzo,chiamato tanto spesso in causa non solo per la
collaborazione del suo autore al libro di Marco,ma anche come fortunato repertorio di temi e motivi per la
più tarda produzione cavalleresca e cortese italiana,restava ancora inedito. Tale lacuna viene ad essere
colmata grazie all’edizione critica di Fabrizio Cigni,che si attiene però a testimoni tardivi i mss. 340 e 355 del
fondo francese della Biblioteca Nazionale di Francia. La redazione che questi due codici tramandano
presenta caratteri di riscrittura a volte riduttiva dei contenuti ed appiattita,quanto alla lingua e allo stile,su
un tardo standard medio-francese. Già lo stesso Loseth non aveva mancato di rilevare l’importanza del più
antico ms. 1463,portatore di una redazione più ricca e scritto in un francese per così dire
‘scorretto’,orientato in direzione italiana. A questo testimone aveva dato grande rilievo
Benedetto,considerandolo il più vicino alla scrittura del Milione,considerazione a cui si era opposto il
Bertoni perché gli era sembrata un’equiparazione troppo forte tra le due scritture. Aveva infatti
sottolineato la relativa correttezza di Rustichello quando scrive in proprio.
La verifica fatta da Cigni conferma la maggiore autorità del ms. 1463 nell’insieme della tradizione
manoscritta dell’opera, e rileva le convergenze e divergenze rispetto alla scripta delle prose francesi di
autore italiano e /o di provenienza italiana,e rispetto a quella del ms. 1116 del Milione. Ne risulta una
patina italianeggiante molto più evidente,soprattutto nella morfologia nominale e verbale,di quanto il
Bertoni credesse sulla base troppo ridotta dei passi da lui trascritti. Tuttavia il ms. fr 1116 si sottrae alla
condivisione dal punto di vista lessicale,mancando nel ms. fr. 1463 alcuni ibridismi,reperiti invece nel
primo. L’omogeneità di genere,compattamente narrativo-cavalleresca,e quindi di scripta,che caratterizza il
romanzo,trova corrispondenza solo parziale e discontinua nella relazione di viaggio.
Capitolo 7-La figura del redattore nella ricezione delle relazioni di viaggio medievali
Il ruolo del redattore è generalmente visto come quello di uno scrivano che registra sotto dettatura del
viaggiatore che deve ricodificare ciò che ha vissuto,’rifare’ il suo viaggio,in modo che la scrittura assorba e
riproduca l’evento perché esso prenda una forma. Il coinvolgimento del redattore in quest’operazione può
essere anche molto forte,fino ad entrare nella storia,anche quando è del tutto estraneo ad essa: il
fenomeno si registra chiaramente nella più antica redazione poliana a noi giunta,quella genovese.
Si deve proprio all’incontro con il romanziere pisano,la messa per iscritto dell’esperienza orientale di Marco
Polo,il quale di sua iniziativa non l’avrebbe molto probabilmente fatta uscire dall’ambito familiare; forse il
viaggiatore veneziano si compiacque di vedere il suo racconto rivestito di ‘panni nobili’,degli stilemi propri
del genere romanzesco cortese,con cui Rustichello lo stava addobbando. E’ soprattutto al prologo che è
legato il destino del redattore Rustichello,in cui si autonomina ufficialmente e formalmente in terza
persona specificando il suo ruolo. Nella redazione francese troviamo una presentazione a Charles de
Valois,da parte del nobile Thibaut de Cepoy,il quale afferma che in occasione del suo passaggio per Venezia
nel 1307,avrebbe richiesto e ottenuto da Marco in persona la prima copia della relazione fatta fare dallo
stesso autore,ben felice che essa si diffondesse nelle parti nobili della Francia. Questa presentazione si
configura come una sorta di dedica ristretta ad un solo destinatario di primo rango da parte dell’autore. Il
nome del redattore è comunque conservato,nella forma deformata Rasta Pisan. La diffusione in Italia fu
promossa dalla traduzione di fra’ Pipino,destinata ad un pubblico dotto,i clerici,e trasformata in un trattato
a cui viene dato peraltro un nuovo titolo: ‘Incipit prologus in libro domini Marci Pauli de consuetudini bus et
condicionibus orientalium regionum’. Nuovo anche il prologo,di notevole dimensione e solennità,che
Pipino sostituisce al preambolo originario. Il prologo pipiniano è fortemente personalizzato: il traduttore si
presenta con il suo nome, Franciscus Pipinus de Bononia,incaricato dai suoi superiori e confratelli del
compito di dare una traduzione fedele in latino del libro di Marco,per coloro che comprendono e si
dilettano. Continuando a parlare in prima persona,Pipino procede eliminando la dichiarazione di veridicità
(l’impegno a riferire solo le cose viste e udite) che compariva nel preambolo rustichelliano,in quanto
assume egli stesso il ruolo del garante del contenuto,dando assicurazioni sulla moralità e la devozione di
Marco,sulla coincidenza dei suoi racconti con quello del padre e dello zio.
(Per le altre redazioni e per le tesi della Wehr fai riferimento a Barbieri e al saggio Wehr).
Capitolo 8-Le relazioni di viaggio di Marco Polo e di Odorico da Pordenone: due testi a confronto
La ripresa degli studi sulla letteratura di viaggio ha coinvolto in particolare le due più fortunate relazioni di
viaggio in Estremo Oriente,quella di Marco Polo e quella di Odorico da Pordenone. Non è la prima volta che
queste due scritture di viaggio sono messe a confronto,ma ciò avviene soprattutto con riguardo quasi
esclusivo alla consistenza delle notizie nuove che ognuna di esse ha apportato e diffuso nel mondo
occidentale,valutate sulla base di quanto noi moderni pretendiamo che il viaggiatore nelle terre dell’ignoto
avrebbe dovuto riferire. Un criterio che però non tiene conto della facoltà del viaggiatore di selezionare dai
propri ricordi il materiale da mettere per iscritto. In questo senso Odorico ha potuto conquistare diversi
punti su Marco per il fatto di aver ricordato i piedi deformati delle donne cinesi,le unghie lunghe dei
mandarini,ed altri particolari assenti nel veneziano. E’ invece più rilevante prestare attenzione alle strutture
portanti del discorso narrativo che disegna la domus testuale,in cui sono collocate le cose ritenute degne di
essere rese note,sia che si tratti di novità rispetto al mondo occidentale,sia che si tratti di topoi del mirabile
e del mostruoso,che tanto scandalizzano i moderni,ma che forse rappresentano un modo per agganciare il
nuovo prodotto testuale e il suo autore a una tradizione odeporica secolare. Non si tratta di un’operazione
facile perché entrambe le scritture non si presentano come testi definiti neppure nella loro consistenza
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