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Lo stesso ragionamento,condizionato oviamente dall'origine della filologia come
filologia classica,si può applicare ai testi orali. Cominciamo con l'osservare che
non si vede ragione di escludere da un qualsivoglia esame filologico testi che
sono insieme orali ma non privi di un carattere letterario,vale a dire dei testi che
appartengono alla poesia e alla narrativa tradizionale. In realtà però,dal momento
che i garanti della conservazione e dell'integrità dei testi orali erano propriamente
i cantastorie,e dato che essi potevano manipolarlo secondo le proprie
opportunità senza dare conto di ciò a nessuno,un esame approfondito mostra
che il metodo di ricostruzione di un testo orale,può anche porsi ma in termini e
con strumenti quasi mai uguali a quelli dei testi scritti.
Uno degli aspetti più interessanti della filologia moderna è la cosiddetta critica
genetica,cioè la possibilità di studiare quella fase della storia della tradizione che
non riguarda solamente ciò che è accaduto dopo la definizione di un testo,bensì
il lavoro che sta a monte del testo definitivo. Ciò accade di frequente con i testi di
autori moderni o contemporanei di cui possediamo non solo gli autografi
(documento scritto di pugno dall'autore che è testimonianza autentica
dell'originale) ma anche tutto o parte del materiale preparatorio:
appunti,bozze,etc...
Una situazione analoga si trova anche per qualche testo di epoca medievale,e il
caso più celebre è il Canzoniere di Petrarca del quale ci è pervenuto il testo
definitivo,il codice Vaticano Latino 3195, e il codice (manoscritto che tramanda
un dato testo;sinonimo di testimone) degli abbozzi,il ms. Vaticano Latino
3196,che conserva di mano del poeta una fase di poco anteriore a quella finale.
Petrarca ha lavorato per un certo tempo sugli abbozzi,e se anche di queste fasi
non ci resta traccia autografa,abbiamo però la possibilità di individuare nella
ricchissima tradizione manoscritta del Canzoniere alcuni gruppi di codici che non
discendono dallo stadio finale,quello rappresentato dal Vaticano Latino 3195 (del
quale sarebbero descripti,cioè copie di un codice già conservato e quindi inutili ai
fini della ricostruzione del testo),ma da stadi intermedi,da archetipi (codice
perduto che si ipotizza copia diretta dell originale da cui deriverebbero tutti i
testimoni in nostro possesso) che ci conservano le varie fasi del lavoro
petrarchesco.
Precedentemente abbiamo affermato che il fine della critica testuale è il
ristabilimento del testo secondo l'ultima volonta dell'autore;tuttavia questa
formulazione non è del tutto soddisfacente. Se così fosse,ad esempio nel caso
del poema di Torquato Tasso dovremmo trascurare il testo della Gerusalemme
liberata e optare senz'altro per la conquistata,che il poeta voleva fosse
considerata la versione definitiva. Bisogna invece adottare nei confronti dei testi
da ricostruire un atteggiamento più realistico,tenendo presenti fattori troppo
spesso dimenticati,come quelli richiamati da Rico,il quale ci avverte che ogni
testo è un compromesso tra esigenze dell'autore e lettore e assume diversi
significati a seconda dei suoi destinatari.
Per poter studiare bene la storia della tradizione di un testo dunque bisogna
conoscere le modalità di trasmisssione di esso nelle fasi storiche che ha
attraversato,è necessario avere competenze codicologiche,paleografiche e delle
procedure di stampa.
I testi hanno anche elementi decorativi come le rubriche,i capo-lettera colorati e
altre fioriture marginali; queste caratteristiche a volte deifiniscono la bottega in
cui il codice è stato prodotto e sempre un certo livello di eleganza,di costo e
quindi di livello del committente del libro. Un elemento infatti che non sfuggiva di
certo all'attenzione dei paleografi era la presenza del blasone d'armi (lo scudo) di
colui che ne aveva ordinato la confezione o che lo aveva acquistato per le sue
collezioni.
La prima fase del lavoro di ricostruzione è il reperimento dei testimoni
(operazione non priva di problemi anche se sono sempre più disponibili,anche in
rete,repertori di manoscritti e stampe); prima più che adesso si trattava di
un'operazione assai delicata che metteva il filologo di fronte al fatto che di codici
di cui si avevano notizie in passato,da un certo punto in avanti non si era saputo
più nulla. Tant'è vero che accadeva spesso che il filologo non avesse mai avuto
davanti uno o più dei testimoni che pubblicava.
Solo nel corso del Novecento si è andata costituendo la disciplina chiamata
codicologia,che ci ha insegnato a osservare un gran numero di dati attraverso la
cosiddetta ispezione dei testimoni. Questa ci permette di spiegare facilmente ciò
che avviene a causa dello spostamento involontrario di fogli dei codici. Un codice
è costituito da fascicoli,del tutto uguale ad un nostro quaderno,con la differenza
che i fogli ora sono rilegati quando sono ancora bianchi,invece il copista di un
testo medievale lavorava su fascicoli non cuciti insieme e con le pagine non
ancora numerate. Per facilitare la corretta successione in basso al verso
dell'ultimo foglio si scriveva l'ultima parola successiva al testo in esso copiato,il
richiamo,che doveva trovare corrispondenza nella prima parola del fascicolo
successivo.
Quando si trattava di testi che richiedevano una diffusione veloce e ampia si
utilizzavano contemporaneamente più copisti che ogni giorno prendevano il
proprio fascivolo da ricopiare,senza curarsi che fosse lo stesso che avevano
usato il giorno precedente. Quando alla fine si passava alla rilegatura si faceva
attenzione che i fascicoli si susseguissero nella corretta numerazione ma
nessuno prestava attenzione a che finissero insieme i fascicoli realizzati da uno
stesso copista nè era possibile stabilire se questi fascicoli fossero stati copiati
tutti dallo stesso antigrafo.
Sorge spontanea una domanda: che importanza avrebbero avuto questi dettagli
se erano tutti uguali?
Uguali sì ma fino ad un certo punto. Tutti i copisti sbagliano,e hanno sempre
sbagliato,per fortuna dei filologi che riescono a capire qualcosa proprio grazie ai
loro errori. E' infatti la coincidenza in errore che prova la discendenza da un
comune ascendente. Che i testimoni abbiano in comune una lezione corretta non
dimostra nulla sui loro rapporti: la lezione corretta èpuò infatti risalire all'autore e
quindi al patrimonio originale della tradizione,comune a tutti i suoi rami. E' la
comunanza in errore che è indizio di parentela tra due testimoni.
Mescolando i fascicoli le corruttele di un copista si mescolavano con quelle degli
altri e ovviamente le corruttele ereditate da un antigrafo con quelle ereditate da
un altro. Questa dev'essere una delle più gravi cause della contaminazione,cioè
del passaggio di lezioni da un ramo all'altro della tradizione manoscritta,che
ostacola la ricostruzione della storia della tradizione.
Un fenomeno che diventa poi catastrofico quando il filologo ritiene di poter fare a
meno dello studio del testo intero,o deve farne a meno,e sceglie solo alcuni errori
che potrebbero essere sì significativi,ma solo per il fascicolo in cui sono
inclusi,mentre il filologo ne estende il significato a tutto il testo,costruendovi sopra
lo stemma codicum.
Questo rischio si può ridurre solo accertando che le famiglie di testimoni che
costruiamo presentino in comune non solo uno o due errori congiuntivi (errore
comune a due testimoni B e C e non al terzo A,significativo se è dimostrabile
che B e C non possano essere caduti in questo errore indipendentemente l'uno
dall'altro) ma anche un'ampia costellazione di lezioni caratteristiche ma adiafore
(diverse tra loro ma tutte accettabili) che coprano tutta l'estensione del
testo,confermando che i rapporti tra i codici in questione rimangono stabili in tutta
l'opera.
La costruzione dello stemma è dunque un'operazione delicatissima,del tutto
analoga a quella attraverso la quale si ricostruiscono i rapporti genealogici
all'interno di una famiglia. Il procedimento basato sull'individuazione degli errori è
intrisecamente dioctomico: una lezione è o giusta o sbagliata. Ciò porta a
individuare ogni snodo dello stemma codicum in forma binaria: da una parte i
testimoni che hanno l'errore,dall'altra quelli che non lo hanno.
Nella pratica filologica concreta possiamo trovare tre testimoni della nostra
opera,A B C,i cui rapporti sono stabiliti sulla base di errori comuni a tutti e tre (e
quindi riferibili a ω )e di errori comuni ad A B (e quindi riferibili a ß )
In questo caso metteremo a testo le lezioni comuni ad ABC,a meno che non
siano riconosciute come errori dell'archetipo ω,più le lezioni sulle quali
concordan AC oppure BC. Il procedimento produce un mosaico di lezioni che il
filologo sostiene essere il testo più vicino possibile al testo originale,ma in realtà
si tratta di un testo che così come è stato ricostruito non è mai esistito. Appare
dunque preferibile un'altra via.
Possiamo valutare,in alternativa all'individuazione di errori comuni,la qualità della
lezione tràdita da ciascuno dei testimoni. Sulla base dello stesso stemma C
dovrebbe essere il codice più vicino a ω, ma tra ω e C possono esserci state
innumerevoli copie,poi perdute. Potremo allora adottare come testo base il testo
di A,riparando solo le corruttele di cui si possa mostrare che provengono da ß e
gli errori di archetipo,nonchè gli errori del solo A.
Questo procedimento sicuramente adeguato se il testo stato composto in una
lingua normalizzata,ma le lingue con cui lavora la filologia moderna sono
debolmente o per nulla normalizzate. Se lavoriamo,ad esempio,con due codici
uno dei quali toscano e l'altro veneto,come si fa ad inserire qualche lezione del
primo nel testo del secondo,o vicecersa? La scelta della veste linguistica da
adottare dovrebbe tener conto non solo di una posizione alta,del codice in
questione,nella storia della tradizione (e dunque nello stemma) ma anche della
sua provenienza geografica,che dovrebbe essere vicina o identica a quella
dell'autore. Se non possiamo attingere all'originale ,almeno dobbiamo risalire ad
una forma testuale depurata da corruttele.
Un ulteriore e importante aspetto del lavoro filologico la costruzione dell'apparato
critico,cosa del tutto diversa dalle note esplicative. Esso l'insieme delle
annotazioni,di solito a pidi pagina,nelle quali sono registrate le varianti dei
testimoni rispetto alla lezione accolta a testo e qualche volta anche le scelte
pirilevanti degli editori precedenti. Nel caso di testim