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MORFOLOGIA
L’italiano è una lingua analitica, mentre il latino è lingua flessiva, cioè che sebbene
avesse qualche preposizione si esprimeva attraverso le desinenze delle declinazioni.
Nell fase classica, descritta nelle grammatiche, c’erano 5 declinazioni con 6 casi. In
latino volgare, un registro del latino e quindi non posteriore al latino classico, già in
età classica cominciò precocemente a non usare per le parole nuove (i neologismi) la
VI e la V, che diventano improduttive, cioè non la incrementa più, ed infatti se entrava
una nuova parola non entrava in queste due declinazioni. C'è una serie di metaplasmi
per cui le parole della V finiscono nella declinazione III se si tengono la –e, la loro
vocale, se invece viene fabbricato il doppione con la –a al posto della –e vanno a
finire nella I declinazione. Nella IV declinazione ci sono tutti e tre i generi: machile e
neutro dato che finivano in –us e –u confluiscono nella seconda, che ha due generi
(neutro e maschile) e i femminili si tengono il loro genere e devono cambiare
desinenza (tipo NURUS e SOCRUS diventano nura e sucra). Il latino parlato dunque
precocemente comincia a usare al posto di alcuni casi delle perifrasi fatte da
preposizione + accusativo. Nel corso di qualche secolo (sempre nel tempo del latino
volgare), prima della comparsa delle lingue volgari ha ridotto casi, a due (nominativo
e accusativo) e declinazioni, a tre. Le lingue romanze attuali sono analitiche cioè che
non hanno declinazioni: certo abbiamo flessioni di singolare e plurale, ma non più la
flessione che ci dice una funzione grammaticale. Nel medioevo c’è una zona
importantissima, che fino alla fine del XIII sec. (fino a che è durato il francese
medievale) ha usato una declinazione semplificata a due casi. Quest'area è quella
gallo-romanza, che in tutti i suoi dialetti (sia in francese antico, sia in Pittavino, sia in
Franco-provenzale -che esiste ancora oggi e si prende un pezzo di Svizzera-) continua
ad usare una declinazione a due casi.
GENERE: I tre generi in volgari si riducono in due, cioè maschile e femminile. In
generale i nomi in –a sono i femminili della prima, in –o i maschili della seconda e in
–e i nomi della terza ambigeneri. Il genere neutro scompare, però i nomi neutri si
conservano sia nel maschile sia nel femminile.
Neutro: Generalmente il neutro si assimila al maschile, ovvero la desinenza –
UM tende ad assimilarsi a quella –US (e questo già in alcuni scrittori del latino
classico, molto prima delle lingue romanze), però ci sono alcune eccezioni,
perché in alcuni casi si assimila al femminile.
Alcuni nomi neutri in francese, spagnolo antico, catalano e provenzale,
o al singolare hanno il genere femminile, es. MARE (n.)> la mer (fr.).
Questa eccezione è dovuta al collegamento di mare con terra, che è
sostantivo femminile.
I sostantivi MEL, SAL, LAC (in latino volgare LACTE) sono maschili
o nella Romània tranne nelle zone di Spagna, Guascogna, parte della
Provenza e Italia Settentrionale.
Alcuni sostantivi neutri che indicano coppie di oggetti, uscenti
o ovviamente in -A al plurale, sono stati sentiti come forme femminili
singolari in spagnolo e francese antico e che vanno ad indicare un
singolare quindi. Questi sostantivi in queste aree sono stati trasformati in
femminili singolari e poi su questi si è formato un plurale analogico in –
S. Francese antico Spagnolo
ARMA arme arma
BRACHIA brasse braza
In italiano i plurali neutri in –A sono diventati femminili ed usati con
o l’articolo femminile. Poiché queste forme hanno caratteri anomali, nella
lingua moderna si creano forme analogiche di maschile plurale con
l’articolo maschile, es. DITUM e DITA> il dito e le dita> il dito e il
dito; FOLIUM> foglio e FOLIA> foglia, il cui plurale è diventato
femminile.
I neutri della IV sono confluiti nella II.
o In romeno succede la stessa cosa dell’italiano, cioè i neutri singolari
o diventano maschili e i neutri plurali femminili.
Maschile e femminile: i maschili e i femminili mantengono normalmente il
loro genere originale, ma con alcune eccezioni.
I nomi di piante (POPULUS, FRAXINUS, PINUS, ALNUS, ULMUS)
o che in latino sono femminili, diventano maschili perché sono sentiti
come tali dato che escono in –US. In alcune aree si mantiene una forma
femminile, ad esempio nel meridione FICUS è femminile e in spagna
FAGUS> haya (femm.). Anche la parola ARBOR> albero diventa
maschile, ma rimane femminile in Sardo e Portoghese (Petrarca ogni
tanto si diverte a farla femminile). In francese: ARBORE(M)> arbore>
arbre (per la sincope cade -o- e rimane –e come vocale d’appoggio
perché c’è il gruppo consonantico -br-). In italiano ARBOR> albero (per
dissimilazione sulla prima R + per metaplasmo dalla III passa alla II
perché finisce in –o). In altre zone la dissimilazione la fanno sulla II R,
ARBOR> arbol.
I femminili della IV, poiché i maschili che finiscono in –us vanno a
o finire nella II, cambiano desinenza e vanno a finire nella I: NURUS e
SUCRUS diventano femminili, nura e sucra.
I femminili della V se lasciano la desinenza in –e confluiscono nella III,
o se invece creano il loro doppione con la desinenza –a, confluiscono nella
I.
I nomi astratti in –OREM che in latino sono maschili, diventano
o femminili, ma sono in area gallo-romanza, retro-romanza e balcano-
romaza. Si passa da maschile a femminile perché questi nomi si
associano con i femminili in –URA. Es. DOLOREM> la douleur.
Altri mutamenti avvengono in parole della III declinazione che non si
o possono identificare né con i femminili –AM né con i maschili –UM.
Nelle lingue romanze questi sostantivi oscillano, tranne nell’italiano,
perchè sull’italiano il latino ha una maggiore influenza. Un esempio è
FLOREM> fiore.
italiano francese Spagnolo rumeno
FLOREM maschile femminile femminile femminile
RIDUZIONE DEI CASI: Nelle lingue romanze si ha un sistema prima bicasuale
(con nominativo e accusativo) e poi monocasuale con il solo accusativo che è il caso
più stabile e che dà origine al sostantivo romanzo. Già dal quinto secolo si nota la
riduzione ad un sistema bicasuale con nominativo, accusativo e qualche scarsa
sopravvivenza del dativo.
Ablativo: è il primo caso a scomparire perché viene assorbito dall’accusativo.
Ci sono alcuni relitti però dell’ablativo plurale in –s in nomi di città francesi
che vengono dall’ablativo plurale in –s con la funzione di locativo, es. Poitiers,
Rheims.
Genitivo: rimane in parole come:
Nomi dei giorni della settimana, es. LUNAE DIEM> lunedì
o Nomi di piante, es. JOVIS BARBA> joubarbe (fr.)
o Toponimi composti, es. SANCTI EMERITI> (sp. ant.) Santemder>
o Santender
Il genitivo plurale rimane nella forma e nei derivati da essa di
o CANDELARUM, CANDELORUM, CEREORUM
In vari toponimi, es. VILLA FABRORUM> villafavareux
o In un certo numero di locuzioni medievali che subiscono l’influenza
o degli emanuenzi.
In questi tre ultimi casi il genitivo plurale viene conservato come aggettivo
senza funzione possessiva.
Dativo: il dativo rimane solo nei pronomi, es. CUI.
RIDUZIONE DELLE DECLINAZIONI: il passaggio da una declinazione ad
un’altra si chiama “metaplasmo”.
Quinta declinazione: i sostantivi (tutti femminili) della V declinazione sono
assimilati in gran parte per metaplasmo ai femminili della I, mentre altri alla III
declinazione.
Quarta declinazione: le parole femminili della IV vanno nei femminili della
prima (es. NURUS e SOCRUS> nura e socra), mentre i maschili nei maschili
della II.
Quarta e quinta declinazione vengono dette “improduttive” perché dal quinto
secolo in poi non cambiano dato che le parole si modellano su quelle della I, II o
III.
Terza declinazione: in volgare la gran parte delle parole diventa parisillabi e si
modella sul nominativo in –is, mentre una piccola parte rimane imparisillaba e
costituisce una classe a parte nella declinazione dell’antico francese e
provenzale.
SISTEMA BICASUALE E MONOCASUALE: LE DECLINAZIONI
Nel medioevo c’è una zona importantissima, che fino alla fine del XIII sec. (fino a che
è durato il francese medievale) ha usato una declinazione semplificata a due casi.
Quest'area è quella gallo-romanza, che in tutti i suoi dialetti (sia in francese antico, sia
in Pittavino, sia in Franco-provenzale -che esiste ancora oggi e si prende un pezzo di
Svizzera-) continua ad usare una declinazione a due casi.
La declinazione gallo-romanza bicasuale regge fino al XIII secolo nei testi scritti, ma
già prima di questo secolo non la sanno più con naturalezza e mettono le –s, specie se
sono copisti italiani.
I declinazione:
Provenzale e francese antico: il nominativo si chiama ca sujè e l’accusativo ca
regime.
DOMINA> domna (perché DOMINAE> DOMINE> *DOMNAS>
nei proparossitoni avviene la domnas (in area galloromanza al posto di
sincope della post-tonica) che –ae viene sostituita la desinenza analoga
va a sostituire femina, -ae. all’accusativo, cioè -as. Tra l’altro la
desinenza del latino classico –ae< -aj<
-as.) La -s è presente perché al di sopra
di massa-senigallia si conserva
DOMINA(M)> domna DOMINAS> domnas
Questo è un proparossitono che va a sostituire in senso semantico femina, -ae. Le due
forme del singolare sono uguali come quelle del plurale e in questo assomiglia molto
alla lingua moderna.
Altro esempio:
AMICA> amiga> amia AMICAE> *AMICAS> amigas> amias
(fase ulteriormente (> amies che è fr. Moderno, dove il
palatalizzata e si trova come suono –e sordo non si sente più come la
variante nell’occitano; -s)
mentre nel francese antico
da ultimo la –a si sentiva
come suono sordo)
AMICA(M)> amiga AMICAS> amigas> amias (> amies in
francese moderno in cui non si
pronuncia –es finale che è sordo)
Italiano:
DOMINA(M)> domna> donna DOMINAE> DOMINE> *DOMINES
(per assimilazione (desinenza analogica costruita sul
consonantica), che va a plurale della III)> DOMNES>
sostituire in ambito semantico domne> donne
femina, -ae. In italiano in plurale si fa in –e mentre
in area gallo-romanza –ae se lo
buttano via.
*si nota che in francese antico e in provenzale accusativo e nominativo singolari sono
ugual